Secondo i Veda non solo c’è poca vita spirituale in assenza di fede, ma, più fondamentalmente, senza fede manca la stessa possibilità di una vita umana autentica. Giungiamo dunque ad occuparci del terzo e ultimo modo in cui emerge la vita, a livello interiore o spirituale. Il perno attorno al quale gira la nascita della vita interiore è la figura della fede.
Sempre dal Rg-veda (X,90), uno dei passi più interessanti incontrati fin’ora, riguardante l’Uomo Cosmico e la creazione dell’universo per mezzo del sacrificio di esso. Il Purusa o Uomo Cosmico è sia il concetto di uomo esteso all’intero cosmo esistente e agli dei, sia il concetto del cosmo, o in generale della totalità dell’esistente, inteso con le categorie proprie dell’uomo. Forse è più semplice definire l’Uomo Cosmico attraverso la chiarificazione del suo ruolo all’interno del processo creativo della realtà. Egli, attraverso il sacrificio di se stesso, dà la possibilità alla realtà di essere e divenire; il suo corpo è smembrato e dilaniato di modo che la molteplicità degli esseri possa sussistere – e questo significa, per converso, che la molteplicità degli esseri partecipa di un solo Essere, appunto l’Uomo Cosmico. Ma vediamo cosa ci dice con esattezza il passo X,90 del Rg-veda.
Mille teste ha l’Uomo / mille occhi, mille piedi; / cingendo la Terra da ogni lato, / la superò per l’ampiezza di dieci dita.
Il passo è preso dal Rg-veda (X,121), ed è in sostanza una preghiera e un inno di lode e glorificazione al dio primo, responsabile della creazione (Signore delle creature = Prajāpati). A questo dio, l’unico a pervadere (paternamente) tutto ciò che è vivente (il che sta a dire che esso è la fondamentale condizione necessaria delle forme viventi), viene chiesto di esaudire i propri desideri, così da venire in possesso di molti doni (rayi, tesori; la cui sostanza non viene comunque esplicitata).
Lo scopo della prossima pubblicazione di una serie di articoli, già iniziata con un articolo di introduzione generale volto a rispondere brevemente alla domanda cosa sono i Veda, è quello di presentare al lettore un percorso riflessivo sviluppatosi durante la lettura d’un antologia di testi Veda (scelti da R. Panikkar, edizione italiana BUR a cura di M.C. Pavan). Ogni articolo si soffermerà a commentare o presentare, sinteticamente e nell’ordine stabilito dall’edizione antologica della BUR, generalmente una raccolta di poche unità di passi vedici, raccolti attorno ad un tema comune. Ogni pubblicazione aiuterà a capire meglio e progressivamente l’insegnamento che è possibile trarre dai Veda, il quale, ne sono convinto, possa essere recepito non esclusivamente dagli iniziati; ma soprattutto avrà lo scopo di presentare in termini chiari e semplici il contenuto dei testi. Non si tratterà tuttavia di un commento accademico al testo, anche se, pur sempre e prima di tutto, di riflessioni condotte e presentate nel rispetto dell’obbiettività e della precisione, ma personali, in quanto la parola contenuta nei testi vedici è parola viva solamente quando, per così dire, ruminata dal lettore, il quale con essa compie un percorso di trasformazione interiore e comunque personale. Intendo dunque condividere questo percorso, poiché credo possa essere fonte di stimolo o anche solo di intrattenimento, oltre che di chiarificazione complessiva e di promozione d’un contenuto culturale e modo di pensare per lo più ignorato. Il lettore si prepari ad un lungo viaggio.
I Veda sono un insieme di testi composti all’incirca tra la metà del secondo millennio e la metà del primo millennio a.C. Un fatto curioso è relativo a questi testi e ai loro tramandatori: non esiste alcun elemento materiale o reperto archeologico rilevante che permetta di ricostruire il periodo storico di formazione dei Veda. Pertanto tutto quello che possiamo sapere sul periodo storico, sulla cultura e sulle popolazioni che ci tramandarono questi testi, lo dobbiamo inferire dalle fonti scritte a nostra disposizione, ovvero, nel caso, dai Veda. Questo significa anche che non ci sono fatti materiali esterni al testo su cui sia possibile appoggiarsi per analizzarlo per così dire da fuori, e che, dunque, l’analisi del testo deve appoggiarsi sul testo stesso. La popolazione di riferimento è comunque quella degli Indo-ariani, i quali erano una popolazione nomade, originaria dell’odierna regione settentrionale dell’Afganistan, dunque dell’Asia centrale, e spostatasi, verso il secondo millennio a.C., nel Subcontinente indiano.