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Tag: Paolo Meneghetti

L’amicizia dell’acqua verso la “clessidra” della luce

A Venezia, presso la Galleria “Alberta Pane”, si può visitare fino al 23 Dicembre la mostra collettiva d’arte contemporanea che si chiama Be water, my friend. Essa è stata curata da Chiara Vecchiarelli. Vi partecipano gli artisti internazionali Eva L’Hoest, David Horvitz, Jojo Gronostay, Nicola Pecoraro, Enrique Ramirez e Luciana Lamothe. Esteticamente, si percepisce il tentativo di maneggiare la liquidità. Dalla fenomenologia, possiamo immaginare che l’uomo viva “in un limbo” fra la materialità vissuta e l’astrazione del concettualismo. Gli orizzonti sono sempre fluidi da percepire. Il linguaggio della mente ha le sue pre-comprensioni, che “balzano” in accordo con le sinapsi cerebrali. Un inquadramento concettualistico può solo stazionare, fra i “tiranti” degli orizzonti prospettici. Citando il titolo della mostra, l’acqua è un elemento indispensabile alla vita, e ci diventa amica poiché, dialetticamente, noi non la percepiamo né troppo nostra, né “sulle sue”. A Venezia, in generale le installazioni hanno cercato il minimalismo estetico.

A noi piace immaginare che l’acqua funga un po’ da “clessidra” per la luce. Se l’origine universale permea, allora la sua consumazione nel tempo si dà all’immersione. Il vissuto è sempre stringente. Diversamente, all’estasi d’una trasfigurazione noi avremmo il corpo a librare, per compartecipare d’una sospensione permeante. L’acqua ci esibisce virtualmente le “ampolle” delle onde. Ma quelle richiederanno l’alternanza d’una consumazione. La temporalità è resa fluida, in accordo con l’esistenzialismo, ad esempio mediante le anticipazioni (dal passato) o le previsioni (per il futuro). L’acqua deve raccogliere la propria trasparenza, in una pozza finale. Simbolicamente, è come se la “spinta” della luce c’invitasse a “stringere la mano” con la materialità. Uno specchio d’acqua si percepisce tranquillamente materno, al “grembo” della vitalità. L’evaporazione avverrà lentamente, per l’uomo, fra i “ritardi calcolati” a causa dei ricordi, o delle attese, laddove le decisioni da prendere gli appaiono sommerse (dalle varie criticità).

L’installazione di Luciana Lamothe s’intitola Plan. Un’impalcatura alquanto grezza, avendo i tubi non del tutto allacciati fra di loro, “cede” paradossalmente ad un rinforzo, grazie ad una pedana superiore, dalle fibre di legno. Simbolicamente, bisogna chiedersi quanto si può diventare flessibili, rispetto ad una pianificazione iniziale. Anzi, di fronte ai “misteri” dell’Universo, il caso fortuito d’una semplice decifrazione costituirebbe già un successo! La pedana favorisce il “salto” della pre-comprensione socioculturale. Bisogna “smontare le gabbie” del concettualismo, e per “librarsi” in una “lettura” degli eventi. Senza la naturalezza indeterminata d’una curiosità, lo stesso scienziato non può scoprire nulla… Serve un “occhio” allenato a percepire il “flusso” degli eventi. Le leggi della fisica trasformano costantemente l’immediatezza della realtà. Potenzialmente la nostra vita è un libro aperto. Per esperire il mondo, ne “leggeremo” gli accadimenti. La pedana permette di “sfogliare” il salto. Dal canto suo, col tuffo si vorrebbe una “leggiadria” per l’immersione, dialetticamente. La forza di gravità sarà derivata da un orizzonte “scandito”. All’estremità del “trampolino”, prima del “tuffo” verso l’ignoto, appare un libro. Per via delle pagine sfogliate, percepiremo un binocolo. Ovviamente “ci si immerge” nella rilassatezza d’una lettura. Il rinforzo della pedana è prospettico. Si proverà a decifrare il “mare” di frammenti cartacei sui quali Enrique Ramirez ha imbastito la sua contemplazione dello Spazio, e da una videoinstallazione. Questa si chiama La gravedad.

Tuttavia non c’è solo la “tranquillità” della cometa, che sbuca rapidamente per suggestionare nel merito d’un ultimo desiderio da “cogliere al balzo”, speranzosamente. Enrique Ramirez cita anche la storia brutale in Sudamerica dei desaparecidos: gli oppositori politici uccisi nell’oceano, dai voli della morte. Forse noi dovremo sperare che almeno gli ideali si salvino sempre? Il volantino in aria si percepirà in chiave politica. Ci piace immaginare che il “tuffo” nella lettura d’un libro abbia addirittura mandato al macero la carta delle pagine. Il segreto è sempre sommerso, contro la verità che risale a galla. Allora il “binocolo” di Luciana Lamothe tenterebbe lo spionaggio, pedinando i frammenti? Il testamento spirituale lasciato da qualcuno che muore va reinterpretato, mentre mutano le condizioni socioculturali, nel corso del tempo. Pare che Enrique Ramirez esteticamente avalli una decantazione, complice il tono esoterico ma candido dei suoi “foglietti”.

Una “sete di successo” per il piccione… lavatore

Alla Biennale di Venezia 2022, si può visitare il Padiglione Nazionale dell’Argentina, con le installazioni oniriche dell’artista Monica Heller. Esteticamente, lei c’invita a percepire che “tramonti” il principio per cui < noi siamo sulla stessa “barca” >, citando l’esistenzialismo. Simbolicamente, al rostro per uno “sfondamento” conoscitivo si sostituiranno le Colonne d’Ercole per una limitazione “sospettosa”. Si raffigura l’antropomorfismo, in una satira sui ritmi normali della vita. Grazie alla tecnica, esasperiamo l’impulso a civilizzare l’intero mondo. Qualcosa che avrebbe la sua miniatura, artisticamente, sul formato GIF per tenerci “incollati” al mero “tramonto” del realismo. Nella società tecnologica, le Colonne d’Ercole della curiosità conoscitiva diventano le sliding doors del dubbio valutativo. Se noi < stiamo sulla stessa “barca” >, ciò accade perché le scoperte scientifiche accelerano a dismisura. Si reagirà frenando, in accordo coi “paletti” dell’etica. A Monica Heller interessa comunque la satira sulle “gabbie” del loop. A Venezia, il titolo della sua mostra appare tautologico: L’importanza dell’Origine sarà importata dall’origine della sostanza. Fra la volontà dell’idealismo e la “gravità” del materialismo, dibattere sul primato dell’una sull’altra rappresenta una “lunga storia”… Ma il progresso tecnologico, sempre più in combutta con l’immaginario, non sa da che parte andare. Lungi dall’emancipare, ci si “ferma” alla coreografia stantia.

La scultura è una fiamma all’esistenzialismo con la febbre

Il filosofo Bachelard ci ricorda che un tempo i sapienti solevano meditare di sera, leggendo i libri posti su tavoli ed illuminati da una candela. La fiamma costituiva l’apertura d’un mondo, guidando l’ispirazione degli intellettuali contro il “vuoto nero” dello sfondo (della mente). La candela evocava immagini senza limite, attraendo in modo indefinito (verso la sua fonte, impossibile da vedere con chiarezza). Bachelard così si convince che la fiamma gode “di vita”. Ciò vale perché la candela andrà a “combattere” contro l’oscurità, e trasfigurata di continuo la sua fonte (essenza). Ambedue le condizioni renderanno la fiamma simbolicamente intima.

La macellazione dell’arte che “maschera” la monumentalità della filosofia

Per il filosofo Deleuze, tanto l’arte quanto la musica non ricercherebbero l’invenzione d’una forma, bensì la captazione d’una forza. Certo il fenomeno estetico ha una qualità riproduttiva, ma nel complesso ci espone solo l’intensità della sua rappresentazione. Di conseguenza, per Deleuze in linea generale nessun’arte è unicamente figurativa. La stessa idea della rappresentazione diventa subito mutevole. L’arte deve darci una percezione di sé in via dinamica, così pare impossibile coglierne dei “limiti”, la cui accettazione è necessaria per postulare ogni tipo di configurazione. Klee ha sostenuto che la sua pittura “non rende il visibile, ma rende visibile”.

Platone e la coralità fra le Idee in pre-costruzione della terraferma

Nel Timeo di Platone, Socrate dichiara di non aver nulla da commentare, preferendo lo starsene in ascolto degli altri. Possiamo immaginare che egli voglia ironizzare… Platone introduce la figura del demiurgo, il quale plasma un “ricettacolo” di materia casuale (o chora) guardando al modello universale delle idee. C’è dunque la dialettica d’una trascrizione? Socrate ha ironizzato credendosi un “ricettacolo” in miniatura, prima di “plasmare” le proprie confutazioni. Per Derrida, esisterebbe un “ricettacolo” delle pre-comprensioni linguistiche. Qualcosa che avvii alle strategie di comunicazione[1]. E’ anche il “ricettacolo” della contestualità, caricandovi una spazialità decostruttivistica. Se il tempo funge da immagine mobile per l’eternità, quello “si plasma” nel vagheggiamento del presente. Ci sono le arti molto corali, come l’architettura e la musica. Filtrate sul Timeo di Platone, entrambe non dovrebbero apparire né intelligibili né sensibili, bensì contestuali nella “trascrizione” dalle idee al reale. Nietzsche propende decisamente per la musica, la quale ci libera in un coinvolgimento dell’invisibile[2].

Il Demiurgo di Platone ha l’Idea di Artisticità sui numeri idealmente contratti

Per Platone, accade che le cose sensibili partecipano delle loro idee. Il nostro mondo è comunque finito, per cui potrà soltanto tendere ad universalizzarsi. Nell’esperienza quotidiana, una forma si percepisce alla “compartecipazione” dei propri limiti. Ma sarà un’idealità relativa allo spazio ed al tempo, mentre si dovrà presupporre l’idealità… per l’idealità relativa allo spazio ed al tempo. Allora Platone ricorre alla matematica. In quella, per esempio le relazioni d’uguaglianza ci appaiono sul serio perfette. E’ una compartecipazione, fra i “limiti” dei numeri, che immediatamente si svincola dallo spazio e dal tempo[1]. Dunque la forma dell’uguale sembra la più “consigliabile” per aiutarci a percepire l’universalizzazione, che in se stessa dialetticamente non può darsi senza postulare pure la particolarizzazione. Se le idee sono la causa delle cose sensibili, le seconde ovviamente derivano dalle prime. Allora Platone immagina di togliere lo spazio ed il tempo. Nell’eternità, le singole idee saranno sempre uguali a se stesse. Qualcosa da percepire comunque in via di derivazione, ma solo per la necessità dialettica che un universale postuli un particolare. Le idee platoniche non sarebbero completamente staccate dal mondo materiale. Prima, bisognerà che percepiamo l’eternità del loro divenire[2].

La Costituzione estetica al genitivo impolitico d’un Potremmo

Da Heidegger, il Destino della Metafisica Occidentale non sembra tanto l’aver “ridotto” l’Essere ad un ente particolare. Questo identificherà l’idea di Platone, il motore immobile di Aristotele, la res cogitans di Cartesio ecc… Piuttosto, il Destino della Metafisica Occidentale si compirebbe avendo “esagerato” l’Essere. Servirà “caricarvi” il potere d’un ente particolare, ed essenzialmente per lo strutturalismo in politica. Heidegger menziona il “mistero” d’un cammino verso il linguaggio. Forse egli ci chiede di rimpiazzare la politica, e mediante l’estetologia. Solo quest’ultima è percepibile mettendo la creatività prima della libertà. Precisamente, l’estetologia vale nella sua formatività. La creatività presuppone il potremmo, per cui uno si limita da solo, verso un servizio agli Altri, senza la necessità dell’autogiustificazione (mediante la “banalità” d’un potere).

Da Heidegger, ci ricordiamo la dialettica fra il Welt e la Erde. Il primo identificherà il Mondo (per il concettualismo del potere); la seconda rinvierà alla Terra (da un “lirismo” del potremmo)[1]. Forse, l’ontologismo di Heidegger va filtrato tramite il vitalismo di Deleuze. Se la filosofia è creazione di concettualismi “muscolari”, alla “misteriosa” e “lirica” Erde s’allaccia una “non più meccanica” de-territorializzazione[2]. Il cammino verso il linguaggio di Heidegger diventa la perdita del presupposto plato-hobbesiano per cui l’uomo deve governarsi solo tramite la politica. Qualcosa da percepire in chiave estet-ontologica. Se i concetti per Deleuze sono agonistici, giacché quelli “s’allargano” gli uni sugli altri, allora bisognerebbe “svelare” un Destino della Generazione Metafisica, tramite dei “parti” concettuali(stici).

Roland Barthes e la moda che atrofizza ogni variazione di stile (dal sigillo del “gangster” al nomignolo del ciclista)

Per Barthes, la dimensione del linguaggio (necessariamente codificato sia dalla sintassi sia dalla grammatica) non sosterrebbe mai i sensi d’una qualsivoglia parola. Fra il primo e la seconda, mancherebbe una separazione. Più semplicemente, succede che il linguaggio sia la singola parola. La filosofia di Barthes rientra nel tradizionale strutturalismo. Il senso d’una qualsivoglia parola comunque non sarebbe “nulla”, senza la simultaneità del suo codificarsi, grazie al linguaggio. La grafia testuale oppure la sonorità della voce precisamente si strutturano. Esse non si sostengono sul senso delle parole, perché lo determinano.

Però il linguaggio poetico è diverso, parendo strutturato al rinviare oltre se stesso. Là, tutte le parole hanno un senso “sorretto”. C’è la strutturazione della grammatica e della sintassi, ma verso la propria ristrutturazione d’un simbolismo. Per Barthes, la moda vanterebbe quasi una linguistica “poetica”. Ad esempio, la maglia sarà universalmente “codificata” per “riscaldare” il corpo. Però, quella finisce per diventare “liricamente” mitologica (idealizzandosi). La maglia presto si percepirà in tutto il “calore” della “comodità (praticità) esistenziale”. L’origine strutturalistica della moda col tempo tenderebbe simbolicamente al mitologico. I vestiti quindi si supportano, come accade per le parole poetiche. Sembra che quelli “atrofizzino” idealisticamente il mero funzionalismo alla loro origine. Certo ogni lirismo dovrà “cedere il passo” allo strutturalismo.

Una dimora fenomenologica senza la prominenza dell’idealismo

Secondo Emmanuel Levinas, la casa è la condizione di base tramite cui qualsiasi uomo può attivarsi. Così si conoscerà a livello intellettuale, ci si manterrà in vita, si prenderanno le decisioni pratiche ecc… Tutti gli uomini esistono nel loro mondo dal momento che si trovano in quello. Ma va precisata la fenomenologia del caso[1]. L’uomo si situa nel suo ambiente di vita nella misura in cui ha qualcosa. Martin Heidegger sostiene che ognuno di noi è essenzialmente “gettato”, al momento di nascere. Tale trovarsi per Emmanuel Levinas esprime pure (nel contempo) l’uomo ad una “proprietà”… in se stesso. Dunque subentra la percezione d’un dimorare? Più precisamente, ogni persona è tale siccome si fa “gettare” nel proprio mondo… “partendo da se stessa”. In altre parole, alla nascita noi già stiamo “avendo”. E’ un’occasione ove s’esprime la “proprietà… di sé”, grazie al possesso dell’intimità. Allora Emmanuel Levinas apre al simbolismo. Se l’uomo è tale nella misura in cui “parte”… da se stesso, ne deriva che egli va “dimorando”. Si respinge il soggettivismo dell’idealismo. Anzi, la coscienza di qualcuno si dà solo nella misura in cui essa può “dimorare”… sul proprio mondo di vita.

L’oggetto emerso sui 3/4 del negativo – Le fotografie di Franco Vimercati


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(courtesy to rivista Kritika, che in origine aveva pubblicato questo articolo)

A Venezia, presso il Palazzo Fortuny, è stata ospitata dal 1 Settembre al 19 Novembre la mostra personale dal titolo Tutte le cose emergono dal nulla, con le fotografie di Franco Vimercati. Sempre egli inquadra certi oggetti, d’uso quotidiano. Riconosciamo soprattutto i vasi, le caffettiere, i calici, le sveglie. La mostra di Venezia è stata curata da John Eskenazi ed Elio Grazioli.