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Che i greci avessero una fantasia a tratti aggressiva è testimoniato dal fatto che furono insuperabili nel concepire la tragedia. Tra i pezzi cult del genere è annoverabile un’opera della vecchiaia del drammaturgo Euripide, le Baccanti. La tesi e morale del testo di Euripide, voluta o non voluta dallo stesso poeta, è circoscritta e chiara: è giusto credere agli dei della tradizione ed osservare il culto normale, ed è sbagliato non farlo. La tragedia consiste nel castigo inflitto ad una famiglia (o, meglio, ad una città) che non volle riconoscere la divinità del dio. Dioniso, Bacco, Ditirambo o Bromio è il dio in questione: egli, giunto al termine di un percorso di evangelizzazione/conquista dell’Asia occidentale finisce nella Tebe greca, città che vuole sottomettere al proprio culto, ma qui viene ostacolato dall’ostinazione del governatore, Penteo.
La tesi di Euripide, alla luce delle vicende narrate nel testo teatrale, potrebbe essere riformulata in questi termini: credi agli dei della tradizione poiché ti conviene, vedi infatti ciò a cui va incontro il miscredente. Per la truce fantasia del greco le conseguenze del mancato riconoscimento del dio da parte di Penteo, l’eroe della miscredenza, ricadono, oltre che su di lui, Penteo, anche su due generazioni indietro e infine su tutta la città di Tebe. Le conseguenze dell’incredulità sono dunque spalmate su tre livelli: