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Tag: Filosofia della moda

7. Esibizione e vestiario: il fallimento dell’unisex

Cathleen Naundorf, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Se l’esibizione è il complesso delle attività congiunte di trucco, vestito, segnali, marcatori etc., va comunque detto che niente si può sostituire al corpo. Se il soggetto è l’oggetto dell’esibizione, ovvero la sua apparenza, allora il suo corpo è l’obiettivo de facto di tutta la sua esibizione. Questo è inevitabile. Se così stanno le cose, l’unisex è semplicemente un mito.

L’unisex è un mito perché la soggettività è sessualmente caratterizzata. Questo è stato, paradossalmente, messo in luce proprio dalle femministe perché esse fanno più di tutti notare che il soggetto concepito “alla occidentale” è un maschio bianco occidentale adulto economicamente caratterizzato e socialmente determinato. La negazione di questo non significa sospendere l’idea che un soggetto sia asessuato. Al contrario: il soggetto più astratto concepito dalla cultura notoriamente più amante delle astrazioni è sessualmente definito. Ogni soggetto ha uno sguardo sul mondo che non è privo di sessualità. A prescindere che questo possa essere opinabile, nel contesto dell’esibizione questo rimane un dato di fatto ovvio e banale ma non scontato da un punto di vista teorico.

5. Esibizione: cosa è e in cosa consiste

DZankell, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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L’esibizione è l’apparenza di una singola persona concepita nella sua interezza. In questo senso, l’esibizione è sempre un atto la cui causa risiede nell’esistenza stessa di un soggetto, riconosciuto intersoggettivamente. Sicché l’esibizione non esisterebbe, se non esisterebbero gli altri. Da qui lo scetticismo nutrito su chi sostiene, piuttosto ingenuamente, che in un’isola deserta ci si mostrerebbe esattamente come al centro di Manhattan. E’ falso per la semplice ragione che in un caso l’esibizione non c’è, mentre nell’altro c’è: ovvero, in un caso l’esibizione semplicemente non sussiste. Perché? Perché l’esibizione è un fenomeno in cui il soggetto è solo una parte, mentre l’altro è l’osservatore. Tolto il soggetto è tolta la sua esibizione. Tolto l’osservatore è tolta l’esibizione, dall’altro estremo.

Quindi, si può dire che il soggetto sia il noumeno kantiano rispetto all’osservatore (perché quest’ultimo non può sapere cosa passa realmente nella testa del soggetto). E l’associazione con il kantismo non è un caso perché Kant stesso nella prima critica (Kant (1787)) sottolinea il fatto che la conoscenza dell’altro soggetto ricade nella metafisica, ovvero fa parte del noumeno che ha importanti ricadute in sede morale ma non da un punto di vista epistemologico, laddove esso è appunto il limite stesso della ragione conoscitiva. Dal punto di vista dell’osservatore, l’esibizione è ciò che può essere esperito immediatamente. Soltanto in seconda istanza l’osservatore può riconoscere il soggetto come tale, ovvero riconoscergli, per esempio, una certa personalità.

4. L’ambiguità della moda e i tre cardini di essa

Cathleen Naundorf, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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La moda, dunque, è solo una piccola frazione del sistema dei vestiti. Il ‘sistema della moda’ si fonda sul sistema dei segni e dei significati del più ampio mondo della rappresentazione di se stessi attraverso l’abito. Questo mostra in modo inequivocabile che la parola ‘moda’ è ambigua perché racchiude sia la variazione degli abiti, sia la variazione dei segnali e marcatori che si impostano una volta scelto l’abito. Inoltre, la moda varia sia sul breve periodo che sul breve periodo (onda lunga e onda corta, cfr. 2.), lungo e corto periodo che si è già visto essere legati ma autonomi (cfr. 2) a tal punto che le autorità epistemiche variano (cfr. 3).

La parola moda è così ambigua in quattro sensi e rispetto a due tipologie diverse di oggetti: (a) trucco e (b) vestito, rispetto (c) all’onda lunga o (d) all’onda corta. Va dunque notato che la parola si applica in modo consono sia alla moda del vestito, sia a quello che si dice essere ‘in voga’, che infatti viene forse impropriamente, ma chiaramente, detto ‘alla moda’. Una canzone può essere ‘in voga’ e quindi essere ‘di moda’. Se questo significato può essere criticato dai puristi, rimane il fatto che segnala il fatto che la moda è un fenomeno che riguarda la massa e attiene alla logica intersoggettiva in cui il soggetto è in una certa misura passivo (da qui uno dei motivi per cui alcuni rifiutano in blocco tutto il complesso di significati impliciti della moda e di tutto quello che ne consegue). Quindi, c’è un senso in cui è lecito parlare della moda come di ciò che fornisce l’insieme di regole di codifica e decodifica dei segnali impostati su marcatori (cfr. 6) riconosciuti nell’onda corta: questo è ciò che va in voga nell’esibizione (cfr. 5).

3. Modelle e top model: le due autorità

Cathleen Naundorf, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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La moda ha attirato studiosi (non troppi) per diverse ragioni ma, a mio parere, essa si travisa nel momento in cui non si tiene sufficientemente presente che la moda ha un obiettivo ristretto, che è quello di imporre un certo stile di vestiario ad un numero sufficientemente limitato di persone, vale a dire quelle che possono permettersi i capi della moda. Certo, poi questi hanno un ritorno sulla vita di tutte le persone economicamente capaci di comprarsi vestiti seguendo più o meno quello che credono gli interessi. Gli abiti della moda diventano ‘modelli di consumo di vestiario’ e, quindi, influenzano quelle persone che sono comunque sensibili al problema di come mostrare cosa con cosa nel modo appropriato, un insieme non equivalente e ben più ampio di quello delle persone che si interessano specificamente di moda.

I ‘modelli di consumo di vestiario’ seguono una catena di diffusione dell’informazione precisa: in primo luogo vengono prodotti, poi vengono indossati e infine vengono fotografati (riviste) o filmati (sfilate). Il vestito è solo una parte insignificante della moda come fenomeno mediatico di massa, su cui purtroppo non è lecito soffermarsi in questa sede, sebbene sia indubbiamente interessante scoprire i meccanismi più sottili di una simile industria culturale. In ogni caso, il passo che interessa a noi consiste nella base della moda, ovvero essa nasce nel momento in cui il vestito viene indossato. I modelli di vestiario vengono interpretati dalle modelle, che vengono rappresentate nelle riviste. L’abito, dunque, diventa così modello con interpretazione. L’abito da solo, soprattutto quando così sofisticato, non è interpretabile o non è infinitamente interpretabile. Serve un interprete che ti mostri come applicare le norme della moda nel modo giusto. A questo servono le modelle.

Leggere il linguaggio della moda (P1)

Cathleen Naundorf, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Introduzione e premesse

Fissiamo subito alcune premesse di questa analisi Leggere il linguaggio della moda: (a) essa ha una utilità prettamente descrittiva, non si impegna in una disamina morale di quanto viene analizzato ed ha, così, uno scopo puramente scientifico. Questa postilla e premessa generale ci scongiurerà da considerazioni eventuali di natura morale. Va detto che ciò che rientra nell’esibizione è un contenuto moralmente carico e passibile di una indagine morale, come implicitamente si può evincere da alcuni richiami kantiani. Ma non era questo il nostro scopo, perché su questo io penso che ciascuno debba essere libero di farsi una sua opinione. A condizione che, appunto, se ne faccia una.