“La cura di sé, prende forma, e non può che formarsi, a partire da qualche riferimento all’Altro.”
-M. Foucault L’ermeneutica del soggetto
Il concetto di “cura di sé” è decisamente molto più complesso rispetto all’attuale mania dal retrogusto vagamente yuppie di frequentare le palestre, comprarsi l’orologio e le scarpe capaci di misurare le calorie che perdiamo mentre pensiamo di fare attività fisica, mangiare solo frutta verde o contare ogni grammo che ingeriamo. “Niente di troppo”, “Conosci te stesso” e “Prenditi cura di te”, questi i tre precetti delfici, la cui origine e attribuzione era motivo di dibattito già nell’antichità. In particolare l’ultimo, “Prenditi cura di te”, prima di essere lo slogan di una fin troppo nota catena di cosmetici, era uno dei più evocativi, come è oggi uno dei più densi e misteriosi a livello di significato. Originariamente cosa voleva dire prendersi cura di sé?[1]
Di seguito si propone un sunto, ragionato ma fedele, del discorso Concetti filosofici e risultati pratici, tenuto da James nel 1898 all’Unione Filosofica dell’Università di California. Il testo del discorso, pubblicato nel 1904 con il titolo The Pragmatic Method, secondo una visione diffusa «sancisce ufficialmente la nascita del pragmatismo» (Vimercati, 2000).[1]
In via introduttiva è utile chiarire quale sia la posizione di James nei confronti del pragmatismo di Peirce. Posto che, come afferma Peirce, il significato di una concezione (metafisica, ad esempio) è chiaribile solo attraverso la comprensione della condotta (o dell’abito) che essa ispira o comunque che da essa discende, per James è naturale allora prendere in esame, nella considerazione e di fronte ai dilemmi metafisici o più in generale filosofici, la condotta pratica, ovvero propriamente la vita, piuttosto che la logica. In sostanza, James si propone di ampliare il messaggio e il metodo di Peirce; dove Peirce intende il pragmatismo come un metodo sperimentale non tanto volto a stabilire verità, quanto piuttosto a chiarire concetti e dissolvere problemi, mostrandone l’inconsistenza, James opera uno spostamento di obbiettivo: il praticalismo o pragmatismo, o meglio, la massima pragmatica di Peirce, servirebbe a chiarire e distinguere il vero dal falso. Di fronte al dilemma, il filosofo deve stabilire quali siano le condotte che discendono da entrambi i corni, e stabilirne le differenze, per poi operare una scelta in favore della concezione che implica per noi la condotta più conveniente e a noi più consona: e questo corno del dilemma sarà quello vero, dal momento che la nozione di verità è chiarita nei termini delle conseguenze pratiche sensibilmente apprezzabili prodotte dalla teoria. Ma vediamo con maggior chiarezza come si delinea, nello scritto, questa visione ed evoluzione del pensiero di Peirce.[2]
John L. Austin nasce a Lancaster il 26 marzo del 1911 e muore a Oxford nel 1960. Egli fu uno studioso di Aristotele, di cui tradusse opere in inglese. Fu traduttore di testi filosofici importanti, come I fondamenti dell’aritmetica di Frege. Tenne diversi cicli di conferenze, di cui uno ad Harward e da cui fu tratto il libro Come fare cose con le parole.
Per una Analisi storico-filosofica sulla nascita della prigione e dei sistemi repressivi
Parte 1. Concetti preliminari e una brevissima storia dei cambiamenti disciplinari
E’ non mi è incognito come molti hanno avuto e hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate dalla fortuna e da Dio, che gli uomini con la prudenzia loro non possino correggerle, anzi, non abbino rimedio alcuno; (…) iudico esser vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso noi.