La prima regia di Francesco Margoni sembra un film nato per suscitare forti e contrastanti sensazioni. La trama de Le figlie di Shakespeare aspettano è assai scarna e può essere enunciata in poche parole: quattro ragazze vanno in montagna per finire inguaiate per via dei problemi sentimentali che una di loro ha con il proprio fidanzato; sole nel bosco dovranno trovare la strada per tornare a casa.
Le intuizioni di uno spettatore digiuno di un certo genere cinematografico, che si richiama direttamente (i dialoghi, l’elemento estraniante di un albero ripreso in rosso, le varie immagini di Cordelia ripresa seduta in una sedia comparsa nel nulla, la maglietta insozzata di sangue senza causa apparente) o indirettamente (la stessa trama, l’uso di una scelta di regia quasi “intrusiva”, laddove l’immagine segue quasi ossessivamente per lungo tempo sempre lo stesso soggetto, un montaggio assai scarno) al surrealismo italiano o spagnolo (Ferreri, Bunuel su tutti): le assonanze del film di Margoni con quelle dei surrealisti si spinge sul piano astratto e non necessariamente fattuale, e mantiene dei tratti originali (come l’amore o l’apprezzamento per la femminilità).