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Scuolafilosofica Posts

Recensione del film “Nel cuore di una tenebra immensa” di Giangiuseppe Pili

Se Blasetti ebbe a dire, agli albori del cinema italiano moderno, e non per gioco, che il suo tema era unico ed era l’imbecillità della violenza e della guerra, qui abbiamo, in Pili regista ed ideatore – nel contesto del nostro cinema contemporaneo il quale, a differenza di quello dei tempi di Blasetti che seppur non completamente nazionalizzato lo era certo almeno in parte, in una nazione diretta secondo precise ideologie (e sappiamo quali), comunque sottoposto a più o meno sapienti poteri di veto, ebbene, in un contesto nuovo ma non meno privo di elementi disapprovabili, dove abbiamo una produzione frastagliata e nauseante perché troppo libera (?), continuamente emancipata da un’infinità innegabile ma negata (e costantemente) di soggetti … che è, in sostanza, un cinema disapprovabile perché non funzionante, funzionale solo nell’imperativo d’accomodare i gusti più triviali dello spettatore, disattento alla sua (vera) ricchezza, occultata con parsimonia sotto a tutta la sabbia di tutti i deserti e le spiagge del mondo, trasandato e, per larghi strati (ovvero quelli emersi), trascurabile, e ancora (lo ripeto) trascurante, poiché schiavo di logiche mercantili padrone relative a mercati al contempo vicini e lontani, ormai quasi senza identità propria, ecco, qui, abbiamo invero una voce – abbiamo la concreta ed esplicita espressione di una voce, nuova anche se non nuovissima (Pili non è alla prima prova), la quale (voce) affronta con piglio deciso ma attento il vecchio tema caro, almeno a parole e qui da noi, a Blasetti.

Strategia di attacco – Il terzo capitolo de L’arte della guerra


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Lo scopo di un combattimento non è quello di distruggere un nemico ma è quello di ridurlo all’impotenza per conquistarlo intatto. Un nemico distrutto non è più niente, un nemico impotente è costretto a eseguire gli ordini del vincitore. Attività di suprema importanza per vincere il conflitto: sconvolgere la strategia del nemico, spezzare le alleanze, attaccare il suo esercito, non assediare le sue città fortificate. La presa di una città fortificata ha un costo dispendioso in termini di tempo ed energie, per tanto, l’attacco ad una fortezza è quasi sempre privo di grande utilità. Il comandante abile è colui che assume come fine la vittoria suprema e non si discosta da tale direttiva, sicché la massima abilità è nella conquista senza combattere. Le condizioni della vittoria sono le seguenti: il sovrano non deve interferire con le decisioni del generale e il generale deve essere capace; tutti gli uomini dell’esercito sono animati dal medesimo scopo; bisogna sapere quando è il momento di attaccare e quando non lo è; bisogna saper comandare un esercito, piccolo o grande che sia; bisogna essere preparati ad ogni imprevisto. Conosci te stesso, e il nemico non potrà mai batterti: conosci te stesso e il nemico, e sarai invincibile.

Origini della letteratura latina: il teatro romano arcaico e la figura di Livio Andronico

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Consigliamo Percorso di letteratura latinaSallustio


Il momento della nascita “ufficiale” della letteratura latina è stato un elemento molto discusso dagli studiosi del campo che però arrivarono a una conclusione: convenzionalmente è stata fissata nelll’anno 240 a.C. quando Livio Andronico mandò in scena una tragedia sua originale. La storia della letteratura latina ha una storia ben diversa da quella greca: i greci giovarono della figura di Omero, precursore e maestro nel medesimo tempo.

Le primissime forme di scrittura, sono precedenti al 240 a.C. e sono rintracciabili negli inviti a bere ritrovate come iscrizioni in olle e tazze di vino, oppure firme di artigiani nei loro manufatti o ancora proibizioni religiose. A partire dalla Roma medio repubblicana il quadro dell’alfabetizzazione si presenta assai ampio e articolato.

Capitolo 13. La Parola – Vac

Prarthana1830590, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Consigliamo I veda – Capitolo 1


La sezione dedicata al tema, centralissimo e fondamentale per la concezione vedica dell’essere e delle sue manifestazioni, della Parola, è composta da sette parti, che esporremo ognuna in una pubblicazione differente. A guisa introduttiva vediamo una strofa tratta dal Taittiriya-brahmana (II,8,8,5):

La Parola, imperitura, è la primogenita / della Verità, madre dei Veda e fulcro / di immortalità. Possa venire a noi / in felicità nel sacrificio. Possa ella, / nostra Dea protettrice, essere / sensibile alla supplica.

Dal mondo degli Scacchi al mondo della Bellezza

“The artist is the creator of beautiful things.
To reveal art and conceal the artist is art’s aim.
Those who find ugly meanings in beautiful things are corrupt without being charming.  This is a fault.
Those who find beautiful meanings in beautiful things are the cultivated.  For these there is hope.
They are the elect to whom beautiful things mean only Beauty.”

Oscar Wilde [1]

Introduzione

Gli scacchi sono un universo entro cui ogni giocatore può vedere aspetti diversi del gioco e individuare varie tematiche. Nonostante gli scacchi abbiano come base una struttura competitiva (guerresca), è possibile anche intravedere un aspetto estetico/meditativo e notare come il gioco abbia mantenuto inalterato nei secoli il suo simbolismo e una specifica funzione di trasmettere messaggi e sviluppare capacità mentali. Gli scacchi sono diventati nell’arco del tempo una metafora adattabile a campi molto diversi per illustrare idee astratte e sistemi complessi oltre che un efficace strumento utilizzato da psicologi e scienziati cognitivi per comprendere meglio l’animo e la mente umana.

“Ho sempre amato la complessità – ha detto Marcel Duchamp1 – e con gli scacchi si possono creare problemi magnifici”. Questa frase dell’artista francese potrebbe essere il motto di artisti e intellettuali del XX [XXI] secolo, ossia di coloro che si sono incaricati di interpretare la complessa trama sottesa alla contemporaneità per trarne, in modi diversi, verità e bellezza. Nel XX secolo gli scacchi sono stati applicati alla soluzione di difficili problemi e sono stati oggetto di ammirazione e critica sotto il profilo estetico. Chiaramente la vibrante frase del pittore e scacchista francese sui “problemi magnifici” non si riferisce tanto alla bellezza fisica della scacchiera o dei suoi pezzi (come ci propongono gli antiquari), ma alla dinamica stessa del gioco, alla sua tensione sottesa e ai suoi imprevedibili risultati. Duchamp ha inoltre dichiarato che “I pezzi degli scacchi sono le lettere dell’alfabeto con cui si formano i pensieri che, mentre fanno un disegno visibile sulla scacchiera, esprimono la loro bellezza in modo astratto, come in un poema” [2].

Operazioni belliche – Il secondo capitolo de L’arte della Guerra


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La guerra trae la sua possibilità dai mezzi materiali che si posseggono. La durata di uno scontro dipende dalla propria capacità di reggere lo sforzo fisico richiesto per sostenerlo. Lo sforzo bellico, qualche che sia la sua natura, richiede energie prolungate per il suo mantenimento e il consumo delle energie abbatte le forze e il morale, sicché laddove non c’è una mente salda, non c’è braccio che funzioni. La conoscenza dei problemi inerenti al confitto mostrano chiaramente il prezzo per cui si combatte e lo rendono quantificabile. In questo senso, la rapidità in guerra è una duplice virtù: rende minimo il consumo di energie vitali e raggiunge l’obbiettivo.

Il secondo capitolo de L’arte della guerra tratta delle ripercussioni dell’economia di guerra, intesa in senso più ampio del solo dispendio economico. Sun Tzu mette in evidenza la necessità di pensare al conflitto come ad una condizione di perpetuo e perdurante consumo di risorse materiali ed energie psichiche e fisiche. La catena che lega l’esercito alla madrepatria alimenta un circolo vizioso di impoverimento fisico ed economico e, conseguentemente, morale, ciò inteso nella dimensione emotiva della parola. Un esercito deve cercare di sostenersi esclusivamente sul territorio nemico, così da ridurre la forza dell’avversario senza imporre il pericoloso circolo vizioso. Questo è espresso con tutta l’acutezza e profondità delle parole di Sun Tzu:

Gustavo Benso marchese di Cavour

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Gustavo di Cavour, nato a Torino nel 1804, fu il primogenito di Michele Antonio Benso conte di Cavour e fratello, dal 1810, del più famoso Camillo Benso di Cavour, che come vedremo ebbe validi motivi per essere superiore al fratello più piccolo, come qualità di diplomatico e politico. La scelta di indagare su questa figura politica del risorgimento italiano nasce nel momento in cui ho affrontato lo studio della storia della Sardegna contemporanea e ho avuto modo di osservare come questo personaggio, oltre non avere spazio in nessuna delle mie enciclopedie cartacee e anche sul web, ridicolizzi appunto quel “feudo” che era all’epoca la Sardegna del periodo sabaudo e dell’Italia unita che andava delineandosi nel periodo subito successivo.

Il disagio della democrazia – Carlo Galli

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Non c’è una società democratica con un pensiero unico, o senza pensiero.

Carlo Galli

Il disagio della democrazia è un saggio di filosofia politica di Carlo Galli, già autore di altre opere importanti nel settore. Il fine dell’analisi è comprendere il motivo della disaffezione diffusa della società nei confronti della politica e della politica stessa nei confronti di se stessa.

Il lavoro si muove continuamente su tre generi distinti e convergenti, se non coincidenti, di analisi: filosofica, genealogicamente concettuale e storica. Galli argomenta sia dal punto di vista di storia della politica (vedi i primi due capitoli), sia dal punto di vista della storia della filosofia politica occidentale (vedi i continui riferimenti ai “classici” del pensiero politico filosofico moderno, Locke, Hume, Kant in particolare) e sia da un punto di vista di storia contemporanea (vedi le considerazioni del quinto capitolo).

Capitolo 12. La risoluzione dell’Uno

Prarthana1830590, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Consigliamo I veda – Capitolo 1


Altri tre passi (tratti questa volta dalla Bhagavad-gita: IX,4-5; X,2-3e20e39-41; XIII,15 – dunque non propriamente dai Veda) per chiarire un concetto vedico veramente fondamentale: tutto sta e proviene dall’Uno, anche se l’Uno non sta completamente nel tutto.

Valutazioni strategiche – Il primo capitolo de L’arte della guerra

By vlasta2, bluefootedbooby on flickr.com – https://www.flickr.com/photos/bluefootedbooby/370458424/, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1616406

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Il primo capitolo de L’arte della guerra parla delle valutazioni strategiche e dei sistemi di valutazione del generale. Esso è rivolto al sovrano, colui che ha in mano le decisioni di uno Stato.

Un sovrano virtuoso sa far assumere il Tao (la Via) alle sue truppe, vale a dire che egli sa trasmettere il proprio scopo a tutti coloro che devono partecipare alla sua realizzazione, così che un pugno di uomini possa agire come un sol uomo: “Il Tao è ciò che induce il popolo a condividere lo stesso obbiettivo del governante al punto di non darsi pena di vita o morte per non deluderlo”.[1] Sun Tzu assume la sussistenza di un principio unificante e agente in modo che non si dia una dissipazione di energia nel contenere le singole spinte individuali o di sottogruppi, spinte che costituirebbero delle forze non perfettamente indirizzate verso un unico obbiettivo. Se questa condizione è violata, allora il generale avrebbe a che fare con dei problemi di sedizione interna, così che ciascuna componente dell’esercito costituirebbe un elemento ostile a se stesso, in quanto parte di un insieme, imponendo, così immediate difficoltà pratiche nella realizzazione delle operazioni militari: “Se impieghi un generale che segue le mie valutazioni, egli sarà sicuramente vittorioso. Fallo dunque rimanere. Se impieghi un generale che non segue le mie valutazioni egli sarà sicuramente sconfitto. Allontanalo”.[2] Il generale, dunque, deve essere valutato in base alle sue capacità relative a quanto detto.