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Scuolafilosofica Posts

Il paradosso di Berry e il paradosso di Richard: soluzioni per ciascuno

“Sia dato un linguaggio qualsiasi (ricordiamo, con un numero finito di caratteri). L’insieme di tutte le proposizioni simboliche con meno di 100 caratteri è finito. Di esse, alcune definiscono numeri naturali, come <<il numero che sommato a 5 fa 7>> (che ha 30 caratteri, inclusi gli spazi). Consideriamo l’insieme di tutte le proposizioni simboliche con meno di 100 caratteri che definiscono numeri naturali. Tale insieme è finito e definisce sempre un numero finito di numeri naturali. Sia m il più grande di tali numeri. Allora la proposizione <<il numero naturale successivo al più grande definibile con meno di 100 caratteri>> definisce il numero naturale m+1 e ha meno di 100 caratteri (per l’esattezza 80). Assurdo”. Esso è noto come “paradosso di Berry”, ma non si tratta davvero di un paradosso, se con tale termine intendiamo un assurdo inevitabile (che è ciò che abbiamo convenuto). Soffermiamoci sull’affermazione “tale insieme è finito e definisce sempre un numero finito di numeri naturali”. Cosa si intende qui per “definisce”? Se il linguaggio è semantico può essere capace di definire con poche frasi un numero anche infinito di enti matematici; un esempio si ha nella stessa definizione di un qualsiasi Sistema assiomatico formale (non banale), in cui, servendosi di metamatematica, vengono definiti infinite proposizioni e teoremi. Gli stessi, infiniti, numeri naturali sono, evidentemente, definiti mediante un numero finito di caratteri; si ammetterà che è cosí se si ammette che è possibile definirli! Ci si sta riferendo, dunque, a un tipo limitato di “definizione”, un tipo in cui non sono ammesse “circolarità” o retrospezioni. L’ultima frase del “paradosso”, invece, definisce un numero usando una retrospezione, cioè con criterio differente. Si confondono, pertanto, diversi livelli d’interpretazione. Un esempio concreto chiarirà del tutto la questione. Se si usano i caratteri alfa-numerici, le possibili sequenze ordinate di tali simboli con una lunghezza minore di 100 caratteri sono tantissime, ma finite. Supponiamo di voler definire, mediante alcune di tali combinazioni, un numero finito di numeri naturali. Il criterio per farlo può variare ad arbitrio, dipendendo dalla lingua usata e/o da ogni altra nostra preferenza. Per esempio, è probabile che si decida di assegnare ogni stringa del tipo “00…01” al numero 1, cioè al successore di 0. Anche “il successore di 0″, se siamo italiani, sarà probabilmente considerata una definizione di 1. Uno stesso numero, dunque, potrà avere più di una definizione; mentre, per semplicità, possiamo stabilire che ogni proposizione definisca al più un solo numero naturale[1]. Immaginando di passare in rassegna tutte le possibili combinazioni, è del tutto probabile che ne scarteremo parecchie: alcune, in quanto prive di un significato convenuto (come <<ahT_l&Kak>>), altre perché si riterrà che non definiscono numeri naturali (come <<il gatto non ha digerito il topo>>). Ovviamente, nulla ci vieta di convenire che certe stringhe più o meno strane, come <<il mio numero fortunato>> o <<il numero dei vizi capitali>> definiscano certi numeri naturali. Prima o poi, ci imbatteremo nella misteriosa sequenza: <<il numero naturale successivo al più grande definibile con meno di 100 caratteri”>>. Che fare? Ammetteremo che Antonio decida di non associarvi alcun numero, mentre Francesca, forse in base a certi studi, la considererà la definizione di un determinato naturale, per esempio di 239987. Terminato il nostro lavoro, riconsideriamo la frase convenendo che il suo termine “definibile” si riferisca, appunto, al nostro lungo e meticoloso lavoro. Se si ammette così, essa definisce adesso un indiscusso naturale, sia per Antonio che per Francesca. Il punto fondamentale è che, per entrambi, la frase possiede ora un valore semantico differente da quello prima considerato: infatti Antonio non vi aveva associato alcun numero, mentre Francesca un numero che, come si può immediatamente riconoscere, non può essere lo stesso. Per entrambi, non c’è modo di correggere le convenzioni in modo da far coincidere i due numeri, ovvero i due diversi valori semantici.

Geni e morale, relazione possibile?

La ricerca neuroetica degli ultimi quindici anni ha dimostrato, attraverso studi di risonanza magnetica funzionale (fMRI), che alcune differenze individuali dell’attivazione cerebrale possono associarsi a diverse decisioni morali. Parallelamente, studi farmacologici hanno evidenziato il ruolo cruciale svolto dal neuropeptide ossitocina nel comportamento sociale e nella elaborazione delle emozioni.

Storia della geografia medievale e moderna

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Consigliamo Storia della Geografia Antica e Friederich Ratzel


Come abbiamo avuto modo di leggere nell’articolo sulla geografia antica, le numerose conoscenze apprese nell’epoca di maggiore fioritura dell’ellenismo, nei floridi circoli alessandrini, andarono perse con l’inizio dell’epoca altomedievale: cosa succedette di preciso?

Con la fine dell’impero romano, nel 476 d.C., tutte le grandi opere che erano state partorite dal genio di scienziati e stimati pensatori, andarono in gran parte perdute per via del fatto che all’epoca non era ancora stata istituita la figura importante dell’amanuense che, infatti, comparirà proprio in epoca medievale per sanare quella lacuna che era stata propria dei secoli precedenti. Un esempio per tutti: nelle conoscenze geografiche e negli scritti di Tolomeo veniva riscontrata la conoscenza dell’arcipelago delle Canarie che verrà del tutto persa fino al 1336 quando Nicoloso da Recco e Lancelotto Malocello, i due scopritori “ufficiali” dell’arcipelago, non avranno modo di comunicare al mondo la loro esistenza. Ancora più emblematico è il caso di Costantino di Antiochia: egli era un mercante bizantino, noto con il nome di Cosma Indicopleuste, “navigatore indiano”, aveva effettuato un lungo viaggio che lo portò a scoprire l’India nel 520 d.C.; egli rifiutava apertamente le idee tolomaiche e andava predicando il fatto che la terra fosse una enorme isola piana rettangolare. Decisamente un passo indietro rispetto alle prestigiose scoperte dell’epoca ellenistica di Tolomeo  e prima ancora del centro di studio dei pitagorici. Ma si possono fare anche tanti altri di questi simili esempi.

Capitolo 19. La tragica origine del cosmo e della Parola

Prarthana1830590, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Consigliamo – Di Francesco Margoni I veda – Capitolo 1


Con la considerazione dei seguenti passi: Brhadaranyaka-upanisad (I,2,4-6;III,7,17e9,24-25) e Chandogya-upanisad (III,18,3;VII,2,1), intendiamo, in realtà e a dispetto del titolo incompleto, presentare prima un interessante ed eccentrico racconto della nascita della Parola, e poi la particolare concezione delle Upanisad rispetto alla parola (vac), intesa più come linguaggio che Parola o rivelazione.

Storia della geografia antica

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Consigliamo Storia della Geografia Antica e Friederich Ratzel


La prima descrizione del mondo conosciuto fu scritta nel VI-V secolo a.C. da Ecateo di Mileto, il quale suddivise la sua opera in due parti: Europa e Asia. Questa opera andava integrandosi ad una precedente rappresentazione della Terra vista da Anassimandro, oggi andata perduta. Molto probabilmente l’opera di Ecateo fu fonte di ispirazione letteraria e storica per l’opera più nota di Erodoto, vale a dire le Storie. Un grande merito di Ecateo fu quello di aver sfrondato del mito molte delle conoscenze del mondo antico: ad esempio nelle opere di Omero troviamo più volte citato un certo fiume Oceano, pieno frutto della fantasia dell’aedo greco; Ecateo si dilungherà a spiegare la sua inesistenza. Il geografo di Mileto fu il primo ad utilizzare il termine “delta” per indicare la fine di un fiume, citando quello del Nilo, dove era stanziata la popolazione egiziana.

Contro il pregiudizio sull’arte contemporanea

Articolo pubblicato sul numero 35 della rivista NUOVA META (rivista di critica delle arti fondata da Piero Maffessoli e diretta da Claudio Cerritelli) e titolato Contro il pregiudizio sull’arte contemporanea.

Proponiamo al lettore una riflessione sui modi della fruizione e comprensione propri dell’arte contemporanea, tesa ad argomentare la tesi che una certa credenza, ch’andremo a specificare, è pregiudiziale.

I confini logici della matematica. Ragunì G.

I  confini logici della matematica è un libro di logica matematica dai molteplici intenti e con un chiaro metodo analitico. Gli scopi che l’autore si propone sono diversi e tutti variamente ambiziosi: chiarificare la terminologia di una disciplina solo apparentemente trasparente, mediante argomentazioni metamatematiche; mettere in luce i limiti e i pregi di un approccio puramente sintattico alla matematica e, conseguentemente, la necessaria integrazione di un’analisi metamatematica alla logica matematica; precisare i problemi legati alla Teoria formale degli Insiemi, sia in termini epistemologici che di coerenza; mostrare i limiti di alcune impostazioni correnti in logica matematica; chiarire alcuni punti controversi, alla luce dell’analisi, su entrambi i Teoremi di Gödel. Questi scopi sono, più propriamente, i nuclei tematici più salienti ma, ad una attenta lettura, potrebbero risultare una selezione ingiustificabilmente esemplificatrice. In realtà, si tratta di un’opera la cui complessità è lasciata intravedere continuamente in ogni pagina, nonostante possa apparire sfuggevole alla luce della sua compattezza.

Le ragioni di esistenza del libro vengono enunciate nella prefazione dell’autore. Egli era partito dalla curiosità intellettuale verso i teoremi di Gödel e dalla necessità di chiarire a se stesso fino a che punto si può essere certi del fondamento delle proprie deduzioni logiche. Eppure, nonostante la logica matematica sia una disciplina formale (termine qui usato in modo intuitivo), fondata su delle convenzioni condivise, rimane il fatto che spesso non sia così agevole nella comprensione:

Il percorso che mi ha portato alla sua comprensione si è reso particolarmente difficoltoso essenzialmente per tre motivi. Il primo è che il tema, come spesso succede in Matematica, non si presta ad essere isolato: per comprendere bene ogni particolare, bisogna prima aver chiaro cos’è il modello di una Teoria, la metamatematica, il Teorema di completezza semantica, le funzioni ricorsive…; in breve, avere almeno un’idea approssimativa, ma solida dei fondamenti della Logica. Il secondo motivo è dovuto all’ambiguità della terminologia usata; sembra davvero incredibile che in un argomento così delicato, che richiederebbe il massimo della precisione, si continui ad adoperare un linguaggio così propenso alla confusione (…). Il terzo motivo è costituito dagli equivoci, scorrettezze ed errori che abbiamo creduto riscontrare in diversi temi. Per andare avanti, dopo mesi di riflessioni e ricerche di nuove pubblicazioni, non restava che avere la presunzione di correggerli o rassegnarsi a non comprendere; ovviamente esponendosi alla possibilità di trovarci noi stessi in errore. Alcune di tali revisioni e correzioni hanno un carattere marginale, altre più fondamentale. Tutto ciò giustifica le ragioni stesse del libro; che dunque, seppur scritto con l’obbiettivo irrinunciabile di essere pienamente comprensibile al lettore inesperto, introduce anche alcune novità in Logica.[1]

Queste giustificazioni sorreggono gli intenti e mostrano la superficie e il punto più profondo, al contempo, del lavoro. Da un lato, infatti, siamo di fronte ad un’opera che vuole portare un’analisi dal quasi vuoto al pieno e il ‘quasi’ sta per il fatto che alcune basilari convenzioni sul linguaggio naturale devono essere già preconosciute; d’altra parte, la conoscenza almeno sommaria degli argomenti trattati senz’altro agevola la comprensione delle molte sfumature del libro. Da un altro lato, però, l’opera porta avanti diversi intenti concomitanti che fanno sì che la lettura non costituisca solo una guida per il lettore “inesperto”, ma può fornire importanti chiarimenti anche per gli specialisti. Questo secondo fatto, che potrebbe passare inosservato dalla dichiarazione di intenti esplicita dell’autore in Prefazione, non solo non è di secondaria importanza, ma è tra gli scopi principali del lavoro.

Capitolo 18. La Parola, il Principio e la Mente

Prarthana1830590, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Consigliamo – Di Francesco Margoni I veda – Capitolo 1


La presente pubblicazione si divide in due parti: la prima affronta il tema del ruolo relativo di Parola e Mente nel processo di creazione del cosmo e la loro relazione con il creatore; la seconda la disputa tra Parola e Mente su chi, fra esse, sia la superiore. I passi relativi alla prima parte sono: Tandya-maha-brahmana (XX,14,2), Taittiriya-brahmana (II,8,8,4), Satapatha-brahmana (I,4,4,1;X,5,3,1-5); i passi relativi alla seconda: Satapatha-brahmana (I,4,5,8-12).

Il paradiso non è più qui. Pugliese A..

Non un Georges Simenon, non un Ellery Queen, non un Stanley Gardner, né un S.S. Van Dine. Più semplicemente, senza dover richiamare i grandi “giallisti”, un Andrea Pugliese, scrittore genovese, già pubblicato dalla FBE edizione in Persone smarrite (2005), Mangia! (2006), Neo-Conf ritratto del nuovo conformista (2006) e 100 pizzini di Bernardo P. prima di andare a letto (2007).

Andrea Pugliese sulla scia di diversi scrittori italiani come Sandrone Dazieri, Andrea Camilleri o Massimo Carlotto, scrive un romanzo in stile noir cercando di colpire l’attenzione dei lettori, con una lettura rapida, scorrevole e oserei dire scontata. Le ultime pubblicazioni, non solo della editoria italiana, ma anche di quella estera, ci hanno insegnato che il lettore (e di conseguenza lo scrittore per il perseguire dei propri interessi), preferisce leggere/scrivere un romanzo in cui ci siano le indicazioni base, con una trama non troppo complicata, protagonisti senza una grande identità e possibilmente privi di morale, il tutto condito da tre elementi imprescindibili: il sesso, la droga e la violenza… a quando l’alcol e la pedofilia?

Caratteri letterari del periodo augusteo, 43 a.C. – 17 d.C.

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Consigliamo Percorso di letteratura latina e Storia Romana parte II


Con “età augustea” gli storici intendono quel periodo che parte dalla morte di Cesare per terminare alla morte di Augusto, o ancora dalla morte di Cicerone alla morte di Ovidio, contemporanee a quelle dei due politici romani. A partire dal 43 a.C. emerge la figura di Gaio Giulio Cesare Ottaviano che si farà nominare Augustus, Augusto, un impegnativo cognomen che assume a partire dal 27 a.C. e non prima.