GIANNI e PINOTTO sono i protagonisti immaginari del libro La matematica in cucina [edizione Bollati Boringhieri 2004, ristampa 2013] scritto da Enrico Giusti, fisico di formazione e matematico di professione (laureato in fisica, è stato docente universitario di Analisi matematica e Storia delle matematiche, e ha collaborato con matematici del calibro di Ennio De Giorgi ed Enrico Bombieri). I nomi dei protagonisti del libro sono ispirati a quelli di un famoso duo comico statunitense venuto alla ribalta nel secolo scorso.
Fino a qui abbiamo visto che l’esperienza è il risultato della combinazione di dati immessi dallo spazio e dal tempo all’interno della nostra mente. Kant non avrebbe parlato di mente, ma fa capire l’idea. La domanda successiva, che è una delle direttive principali di tutto il pensiero kantiano applicato alla conoscenza, è relativa all’unità di questi dati di senso. Ovvero, la nostra esperienza ordinaria non è disgiunta per istante in entità individuali separate, come avrebbe voluto, o meglio, ritenuto la filosofia della mente elaborata da David Hume. Per Hume noi abbiamo solo dati di senso esperiti per ciascun istante. L’unità delle idee è dovuta a principi di aggregazione come somiglianza e continuità. Ma, obietterebbe Kant, che pure considerò Hume il filosofo che lo “svegliò dai dogmi della metafisica”, come è possibile allora che noi non abbiamo singole collezioni di dati di senso ma vere e proprie unità? La parola che usa Kant per indicare questa unità di dati di senso è “fenomeno”. Un fenomeno è qualsiasi cosa l’intelletto – la mente – riunisca in un’unità a partire dai dati di senso. Una palla è un fenomeno in questo senso: essa è una un’unità di dati di senso dove l’unità è data infatti non dai dati ma dalla mente – intelletto.
Molte volte facciamo coincidere con l’Amore un sentimento di proprietà e di appartenenza, saltando il livello della libertà che rappresenta il luogo stesso dove l’Amore vive e ha bisogno di vivere. L’eros vive al suo interno una condizione di continua ambiguità equivocando, all’interno della relazione etica come metafisica, tra l’immanenza e la trascendenza, passando dall’altruismo all’egoismo e rischiando continuamente di trasformare il desiderio metafisico, dell’invisibile, mistero in cui si racchiude l’enigma della femminilità, in bisogno fisico del visibile che si esprime nella voluttà e nel godimento. La partita dell’eros come relazione che mantiene la metafisicità, rischiando continuamente di perderla, viene giocata tutta nel desiderio dell’intimità erotica attraverso la ricerca della nudità senza profanazione.
Saponaro ci ha ricordato che l’astrattismo di Kandinsky e la fenomenologia di Husserl nascono più o meno negli stessi anni. Ma < come > si praticheranno le loro teorizzazioni? Per la fenomenologia di Husserl, se un certo uomo si relaziona col mondo, genericamente lo fa avendo coscienza < di > quello. Gli esempi sono molto immediati da capire. Io posso avere la coscienza < di > un tavolo, < di > un’anima, < di > un sogno, < di > un oggetto (tanto materiale quanto astratto), ecc… A Husserl interessa il “filtro” coscienziale. Fra il soggetto conoscente e l’ente conosciuto, sempre s’inserisce la preposizione semplice del < di >. E’ la caratteristica intenzionalità, che rientra nel metodo della fenomenologia. Ciò che meramente ci appare, “punta” alla sua oggettivizzazione nell’esteriorità. E’ una forma di posizionamento, da parte della coscienza. Husserl se ne serve per ricusare le teoretiche del passato. Non avviene la completa riduzione dell’oggetto da conoscere al soggetto che conosce. Ciò valeva per l’idealismo. Nemmeno avviene la mera adeguazione dell’intelletto all’esistenza d’un ente. Ciò valeva per il realismo. Husserl insomma cerca la novità d’una “terza via”, per l’apparenza dal sensibile all’ideale. Il suo < di > per l’intenzionalità è dialetticamente ri-movibile. L’oggetto non si fa bloccare da una sintesi idealistica, mentre il soggetto non si fa bloccare da un adeguamento realistico. Prima di razionalizzare tutto mediante la metafisica, conviene dunque posizionare come un certo uomo si relaziona col suo mondo di vita. L’esistenza appare fra i limiti dell’esteriorità. E’ la dimensione del < come > a consentire l’apparenza d’una sintetizzazione idealistica che s’adegui alla realtà.
Carissimi lettori e lettrici di Scuola Filosofica,
anche quest’anno si conferma la collaborazione tra il nostro blog e l’Accademia d’arte di Cagliari nell’organizzare un ciclo di seminari di argomento storico filosofico.
Ringraziamo l’Accademia e in particolare il docente di scrittura creativa Giorgio Binnella per la loro partecipazione all’iniziativa.
Si parte domenica 26 gennaio dalle ore 18 alle ore 20 con il seminario “Riflessioni filosofiche sul cinema di guerra – Capire la guerra attraverso il cinema”. Il seminario sarà tenuto dal prof. Giangiuseppe Pili all’Accademia d’arte di Cagliari presso il Lazzaretto di S. Elia a Cagliari.
Secondo molti psicologi sperimentali, la capacità di distinguere tra norme morali e norme convenzionali è una capacità essenziale dell’essere umano, presente già nel bambino piccolo. Seppur oggetto di indagine di centinaia di ricerche, nessuno sinora si era chiesto se tale capacità si conservasse con l’invecchiamento dell’individuo. A colmare questa lacuna è uno studio da me condotto, recentemente uscito su Cognitive Development.
Prima di riportare i risultati principali dello studio, sarà utile chiarire cosa si intende per ‘norma morale’ e ‘norma convenzionale’. Secondo alcuni autori, in molti casi le persone trattano in maniera diversa le due classi di norme (Turiel, 2002). Ad esempio, ‘picchiare il compagno di banco senza un ragione precisa’ è un chiaro esempio di violazione di una norma morale. Diversamente, ‘indossare il pigiama a scuola’ viola una convenzione sociale (quella che, appunto, prescrive di indossare abiti appropriati al contesto sociale).
Guy Consolmagno S.I. e Paul Mueller S.I. sono gesuiti statunitensi, autori del libro Battezzeresti un extraterrestre? … e altre domande tra scienza e fede poste all’Osservatorio astronomico vaticano [2014, io utilizzo l’edizione Rizzoli del 2018]. Il primo è un astronomo e geologo planetario, attuale direttore della Specola Vaticana; anche il secondo è un astronomo della Specola Vaticana, fisico ed esperto di storia e filosofia della scienza.
Pervenire alla perfezione e quindi alla felicità attraverso la ragione
La felicità e perfezione sono due temi pervasivi della filosofia Occidentale e, da un certo punto di vista, essi sono i due obiettivi stessi della filosofia. Si può dire, infatti, che un certo modo di pensare la filosofia sia terminato nella biforcazione attuale di analitici e continentali che condividono un comune punto di vista: la filosofia non serve a portare alla felicità o alla perfezione. Si può, infatti, concludere che la filosofia contemporanea o, genericamente, post-classica è fondata proprio su questa diversione generale dalle fondamenta stesse della tradizione filosofica. Qualsiasi cosa la filosofia analitica e continentale siano, e si può discutere a lungo sulla loro natura, di sicuro esse non hanno come scopo la felicità o la perfezione di chi le segue e non hanno alcuna pretesa in tal senso. Questo non era il caso della filosofia dell’età classica, identificando proprio l’età classica della filosofia con il periodo in cui la filosofia Occidentale riteneva infatti che il supremo scopo del pensare fosse infatti quello di pervenire alla perfezione e quindi alla felicità attraverso la ragione.
I don’t know what “reality” is. As a Kantian, I am only allowed to think that its full comprehension is impossible to my intellect and reason. However, as Kant recognized, nobody can really live without wondering on what reality is. In this respect, I am a neo-spinozist. I believe in an indefinite/infinite universe in which everything happens because a set of causes made it the case. However, this universe is a mechanism with an important feature: there is no organizing principle. There is no purpose in what it creates. Statistically, it allows some particular “creations” which we use to call “men” and “women”. As part of a universal mechanism without specific project, they act as if they are under control of their portion of universe because they see only a very limited portion of reality and then they see, by feedback, that some causal principles allow them to act as they wish (in a certain extent but for them is enough). But this is 90% untrue. Everything outside their direct control – and partially even it – it is a creation which is orchestrated far, very far from them.
John Polkinghorne è un fisico teorico, teologo e pastore anglicano. È autore del libro Credere in Dio nell’età della scienza [1998, io utilizzo l’edizione Raffaello Cortina 2000 (collana SCIENZA E IDEE, diretta dal filosofo della scienza Giulio Giorello)].