Mussolini marcia su Roma e vuole prendere il potere. Un’immensa folla lo segue. Prima domanda: la folla che segue Mussolini sta compiendo un atto linguistico favorevole alla presa del potere da parte del Duce oppure no? Invece, coloro che guardano Mussolini sfilare senza dire una parola, stanno sostenendo il Duce o no?
In this short paper will present ideas taken from some recent crossings between philosophy of causation, philosophy of time and speculative physics[G1] (especially Albert 2000, Loewer 2007, Frisch 2007, Kutasch 2007) investigating on a way to reconcile counterfactual asymmetry and thermodynamic asymmetric features such as entropy. I will consider those proposals from their theoretical point of view and then present criticism taken from the authors above and some personal thoughts.
Providing an hypothetical synthesis between contemporary evolutionary theories and the main chomskian paradigm, and starting from a comparison among a Code Model of Language (tailored around an integration of Fodor’s L.O.T. view) and an ongoing original prospective about human language, Ferretti (2007) introduces many theoretical concepts. In this paper I will propose acritics of thosesolutions, underlining some uneasy consequences of his theoretical assumptions (with special regards over the notion of “intelligence”) trying, in the end, to sketch a personal proposal.
1.Introduction
Human Language is not totally social driven and conventional, rather its basis is structured beyond a strictly generative process that take part from given set of principles and parameters. With this simple[G1] idea in mind, Noam Chomsky (1959) wiped away most of the behaviorist approach ambitions[1], changing the rules concerning not only research programs in linguistics but also giving an important impetus to cognitive science in its childhood.
Nel 31 a.C. Ottaviano, grazie alla vittoria conseguita ad Azio a discapito di Antonio, si trovò ad essere padrone assoluto dello Stato Romano. La conclusione delle guerre civili, però, lasciva dubbio il futuro: a chi deve andare il potere? E come? I romani pur continuando a credere nei valori repubblicani e continuando a percepire la monarchia assoluta come una negazione delle proprie libertà, erano disposti ad affidare il potere ad una persona sola, confidando nel fatto che avrebbe potuto mantenere quella pace duratura interna che, ormai, mancava da quasi un secolo. In questo particolare momento, Ottaviano capì bene che per arrivare ad avere il potere assoluto doveva mantenere e rispettare le istituzioni politiche, almeno a livello formale: convenzionalmente con il 31 a.C. si fa iniziare il Principato, ovvero il regime istituzionale incentrato sulla figura di un reggitore unico chiamato princeps.
Durante la guerra sociale che investì Roma, Mitridate VI, il re del Ponto si preparava a guidare le province greche e asiatiche contro Roma. Già dal 104 a.C. il Senato era stato attento alle sue mosse e, impossessatosi anche della Cappodocia nel 92 a.C., era toccato a Silla, in qualità di pretore, intervenire per insediare un re più gradito ai romani. Sfruttando un periodo di debolezza interna, Mitridate VI attaccò nuovamente la Cappodocia, allorchè il Senato si trovò costretto a dichiarare guerra al re del Ponto, anche se le legioni romane erano ancora impegnate contro le popolazioni italiche; Mitridate sostenne un efficace propaganda di rivolta al mondo romano, propaganda diretta al mondo greco: si presentò come un sovrano filoelleno, che rivendicava la libertà di tutti e vendicatore dei soprusi dei Romani. Ben presto dilagò in Cappodocia (attuale Turchia) e fu, presto, padrone di tutta l’Asia minore. Nell’88 a.C. si rese necessaria un’azione contro Mitridate, in conseguenza del massacro di migliaia di cittadini romani che vivevano nelle province asiatiche. Il comando dell’esercito venne affidato a Lucio Cornelio Silla.
Durante la guerra in Oriente in Roma i popolari tentarono di riorganizzarsi. Il tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo revocò il potere consolare a Silla dandolo a Mario Druso. Lo Stato Romano giaceva, inoltre, in un profondo stato di crisi: la guerra sociale e la guerra contro Mitridate avevano impoverito le casse statali, così come le numerose razzie, massacri e devastazioni avevano portato alla perdita di numerosi capitali. Sulpicio Rufo propose una serie di provvedimenti per far fronte a questi problemi: richiamò dall’esilio quelli che erano stati perseguiti per collusioni con gli alleati italici, inserì i neocittadini italici in tutte le trentacinque tribù e impose un limite di indebitamento di duemila denari per ciascun senatore.
L’orrore è il dolore di un male intenzionale cosciente. L’orrore è prima di tutto dolore, un dolore ampio, capace di ottundere i sensi e ottenebrare la ragione. Ma è un dolore ben diverso da quello di una ferita. Esso è il dolore del bambino innocente che guarda il mondo con l’ingenuità del bene che viene sovrastato dal male. Così, l’orrore è un dolore che si subisce fino in fondo perché si radica direttamente nella natura dell’essere umano: essere uomini significa essere esseri capaci di provare orrore. L’orrore, infatti, sgorga come da una fonte dall’animo inquieto, doloroso e contratto, prostrato dalla sofferenza per la vita.
Gli studiosi più accreditati sullo studio delle origini dell’Urbe sono Gaetano De Sanctis promulgatore della critica temperata e Barthold Georg Niebuhr. La critica temperata è il metodo di studio della storia romana in cui si tendono ad analizzare più le fonti certe, come gli scavi archeologici, piuttosto che magari le fonti scritte, spesso errate o imprecise.
Le fonti storiografiche da cui attingere per conoscere la storia delle origini sono tratte dagli scritti di Tito Livio, Dionigi di Alicarnasso e Virgilio che narra le origini di Roma secondo la leggenda più nota che inserisce la fondazione di Alba Longa e la dinastia dei re albani tra l’arrivo di Enea nel Lazio e il regno di Romolo. Secondo questa leggenda Romolo il fondatore e il primo dei sette re di Roma era figlio di Marte e Rea Silvia che a sua volta era figlia di Numitore l’ultimo re di Alba Longa.
Impegnare se stessi senza costrutto, lavorare per non procurarsi che inimicizie è insensatezza suprema: a meno che uno non sia dominato da quella passione ignobile e perniciosa che consiste nel sacrificare la propria dignità e libertà al potere di pochi.[1]
La guerra di Giugurta non è un evento storico centrale nella vicenda imperiale Romana né, in senso lato, della politica estera, giacché i Romani non ampliarono di molto i loro confini né il conflitto fu di lunga durata. Né fu importante per la storia degli effetti, come invece fu la conquista della Macedonia e della Grecia o della Gallia. Fu importante, però, per le ripercussioni e per le conseguenze che la guerra ebbe sulla politica interna e sulla composizione dell’esercito.
La Germania è un testo di presentazione degli usi e costumi dei popoli che i romani chiamavano in blocco “germani”. Essi erano dislocati al di là del Reno (a est) e a nord del Danubio, i due fiumi che costituivano il limes dell’impero. Il libro fu scritto, probabilmente, come testo da conferenza nel quale la presentazione della Germania si sviluppa su più livelli: descrizione del territorio, analisi politica, analisi sociologica ed enumerazione delle popolazioni inscritte nell’area geografica descritta. Al principio Tacito presenta la Germania in questi termini: