La morale degli aristocratici e l’oltreuomo – La morale secondo Nietzsche
Considerazioni finali sulla morale secondo Nietzsche
Conclusioni e considerazioni
Bibliografia
Introduzione schematica
Ridurre Nietzsche ad uno schema assiomatico, formalizzato e ben definito sarebbe un atto indebito. Tuttavia potrebbe essere molto utile mettere in chiaro da quali principi generali egli parta per aver sempre in mente il punto di partenza e il punto di arrivo.
Le proprietà morali sono emergenti rispetto a quelle naturali
Le proprietà morali sono somme complesse di proprietà naturali
(2) La conoscenza morale è espressa da giudizi sintetici a posteriori
(3) La conoscenza morale offre giustificazioni e motivi per l’azione
Le motivazioni morali per l’azione funzionano solo nella dimensione contingente
La moralità è capace di motivare gli agenti solo se ci sono determinate predisposizioni psicologiche
(4) La morale è prescrittiva e su questa base si possono operare previsioni di comportamento degli individui
Il realismo naturalista in etica riprende alcuni temi del naturalismo in generale: l’idea è quella di sforzarsi di concepire una morale che non abbia termini non riducibili ad altri incorporati nelle teorie scientifiche. Il naturalismo è una posizione che riduce ogni discorso a quello scientifico, assumendo questo come spiegazione unitaria del mondo.
Il problema di cosa siano le proprietà delle cose, se esse siano nelle cose o concepite dalla mente umana è un problema antico quanto la Filosofia stessa. Ne parla già Platone, che vedeva le proprietà le idee, indipendenti e immateriali esistenti in un mondo distinto dal nostro. Ma subito il suo discepolo Aristotele critica tale concezione in modo molto preciso sostenendo l’implausibilità del mondo delle idee e la necessaria concezione empirista: le proprietà delle cose sono nelle cose e le conosciamo attraverso la percezione.
Ci sono dei periodi storici in cui l’operazione più importante consiste nel riprendere problemi antichi e rileggerli in chiave più attuale. Oggi viviamo in un periodo simile, in cui i problemi e il linguaggio della filosofia moderna costituiscono la base della nostra concezione filosofica ma sono ormai obsoleti, soprattutto in senso formale. Non è un caso che un linguista attento e geniale come Chomsky si rifaccia direttamente ai capisaldi della filosofia moderna per ritrovare le radici della sua concezione linguistica. In filosofia della mente non ci si può sottrarre dal dialogare con pensatori come Cartesio, Hume e Kant, ma anche con Berkeley, Locke, Spinoza o Hegel. Ma è chiaro che quegli stessi problemi e quelle stesse soluzioni e le stesse loro parole non ci piacciono più. E’ importante, dunque, oggi riuscire a ritrovare nelle radici della modernità i problemi da affrontare per consegnarli al patrimonio dell’umanità che ha da venire. Un compito, questo, non facile e pericoloso, per via del fatto che con l’attualizzazione si finisce spesso per dimenticare pezzi qui e là o per fraintendere.
Tutte le proprietà morali sono ricondotte agli stati psichici di piacere e dolore
Piacere e dolore sono dei termini morali naturali dunque, sono passibili di calcolo
Le proposizioni in cui compaiono i termini di “piacere” e “dolore” hanno valore prescrittivo
Esistono differenze nei piaceri
Per discernere i vari tipi di piacere si può ipotizzare la presenza di giudici imparziali che emettano sentenze imparziali sui vari piaceri
Quantità di uguali di piacere sono desiderabili per persone diverse
Se tutte le proprietà morali sono proprietà naturali e tutte le proprietà morali sono ricondotte agli stati psichici di piacere e dolore allora tutti i moventi per ciascuna azione nascerà o dalla massimizzazione del piacere o dalla minimizzazione del dolore. Mill accetta pienamente l’idea utilitaristica, ben radicata nella cultura empiristica inglese, secondo cui il bene consiste esclusivamente nel piacere. Che ciò sia vero è dato dal fatto che gli uomini agiscano in base a quel presunto assunto, sempre o per lo più. Di conseguenza, tale principio è assunto sia come movente reale delle azioni sia come movente universale: ogni massima pratica equivale ad un imperativo categorico, nel suo genere.
La libertà è un tema tra i più antichi della filosofia. Se essa esista e in cosa consista è un dibattito aperto e non sempre ben definito. Parlare esclusivamente del termine “libertà” è assai insufficiente e vago. Il problema va inserito all’interno di una cornice che preveda due livelli:
La natura della causalità fisica,
Le procedure attraverso cui noi giungiamo alle nostre decisioni.
Il primo livello attiene alla realtà dei fatti e la sua interpretazione. A seconda di come noi concepiamo la relazione tra oggetti, con la conseguente variazione dell’immagine del funzionamento del soggetto, noi escludiamo l’esistenza di una certa concezione della libertà. Per esempio se escludiamo che esista una sostanziale differenza tra il primo e il secondo livello.
Iniziamo la nostra analisi a partire dagli assiomi fondamentali della causalità per Spinoza.
3) Da una data causa determinata segue necessariamente un effetto e , al contrario, se non si dà alcuna causa determinata è impossibile che segua un effetto.
4) La conoscenza dell’effetto dipende dalla conoscenza della causa e la implica.
5) Le cose che non hanno tra loro nulla in comune non possono neppure essere comprese l’una per mezzo dell’altra, ossia il concetto dell’una non implica il concetto dell’altra.
Si tenga conto dell’ultima proposizione della prima parte dell’etica, la proposizione 36:
Nulla esiste dalla cui natura non segua un effetto.
Il terzo assioma stabilisce che dato un qualunque evento, definito come causa, non può non seguire un secondo evento, detto effetto. Per qualunque azione in natura esiste una causa precedente ed un effetto susseguente. La catena di eventi non s’interrompe in un punto qualunque, al contrario non esiste alcun evento che non sia inserito nel mezzo tra le sue cause e i suoi effetti.
Il riconoscimento della virtù è anteriore a qualunque legge
L’obbligo di rispettare le regole morali nasce dalla ragione
Le virtù morali sono di diversi generi. Ci sono:
Virtù morali verso sé
Virtù morali verso gli altri
Virtù morali verso Dio
Le qualità morali sono di diversi generi. Sono:
Grazia
Giustizia
Veracità
Gratitudine
In caso di conflitto di norme morali si deve procedere nella disamina del singolo caso
L’intuizionismo razionalista nacque in risposta alle tesi volontariste secondo cui la morale non sia anteriore alle leggi ma successiva. In poche parole, l’etica si fonda e si sostanzia sull’ordinamento giuridico vigente che richiede, come unica base, una volontà legislatrice che sia anche in grado di far rispettare le leggi che essa stessa pone. D’altra parte, le obiezioni forti al volontarismo sono due ed entrambe piuttosto incisive: se gli attributi morali (bene, giustizia etc.) sono definiti posteriormente alla legge e se la legge distingue ciò che è bene da ciò che è male, allora le leggi non sono né buone né cattive e così pure la volontà che le determina. La seconda è che non si può pensare ad un ordinamento più giusto essendo l’ordinamento stesso definito dalla legge.
Searl mostra in modo molto intelligente come il punto di vista chomskiano sia controintuivo e, probabilmente, ciò sta alla base della scetticità che ha incontrato in ambito accademico da principio. Non è raro nel mondo della scienza che chi si rivendichi scienziato non accetti tutte poi le conseguenze d’esserlo, come è stato mostrato in modo emblematico da Thomas Kuhn.
La teoria “folk” del linguaggio è riassumibile in questi termini:
Il fine della lingua è la comunicazione.
Gli atti linguistici si possono studiare a partire dall’interazione con gli altri comportamenti manifesti non linguistici concomitanti.
La comprensione dei meccanismi fisici che soggiacciono alla capacità linguistica sono ininfluenti per la descrizione del linguaggio stesso.
Spieghiamo ciascun punto. Il linguaggio è un mezzo di comunicazione. Esso è definito in basa al fine, cioè all’intenzione associata al parlante. Se considerassimo il linguaggio privo di fine, dovremmo concluderne che esso esiste indipendentemente dall’intenzione del parlare. Ma ciò è contraddittorio nella misura in cui “parlare” implica l’intenzione. Inoltre, si può anche considerare come dato di fatto che il linguaggio sia usato in vista dello scambio di idee, di vedute o di ciò che si vuole.
La giustificazione della norma è posta dal legislatore
La giustificazione può non essere espressa
La norma non è giustificata in termini di utilità di coloro che ricadono in essa
Le leggi morali sono prescrittive in quanto imposte da un’autorità e l’autorità ha la forza per farle applicare
Le leggi non sono entità fisiche
Le leggi non hanno valenza causale
Le leggi morali sopravvengono rispetto alle leggi naturali
Il bene è la qualità di un’azione aderente alla legge
Il male è la qualifica di un’azione non aderente alla legge
L’idea cardine del volontarismo è che il bene e il male non siano precedenti alle leggi ma successivi. Essere al di là del bene e del male significa essere al di là della legge. Di conseguenza, non c’è moralità là dove non ci sia una norma.
La norma è posta da una volontà e in tale volontà non solo risiede la sua ragion d’essere ma pure la sua possibilità di diventare operativa (e da questo atto primo della volontà si pone il nome “volontarismo”). La legge viene imposta con la forza dell’autorità la quale ha sia il potere di inventarne di nuove sia quello di farle applicare. Esempi di autorità capaci di fondare le leggi sono Dio e lo Stato. Quest’idea fu posta, ad esempio, da Hobbes nel Leviatano.
La giustificazione di una legge non nasce da un valore atteso di utilità da parte di chi ne è soggetto: se Dio avesse voluto, avrebbe potuto far le leggi più inique e insensate. Allo stesso modo, se l’autorità statale determina le leggi più ingiuste, nessuno è autorizzato a trasgredirle per la sola ragione che non c’è una giustizia e un bene sovraordinato alle leggi ma le norme depongono ogni ordine inferiore.