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Categoria: Narrativa Italiana

Linguistica Italiana – Minimi linguistici in “Fontamara” di Ignazio Silone

Wikimedia Commons; Copyright: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Aielli_Fontamara_murale.jpg

 

  • 1. Introduzione:

Ponendo come massima d’ispirazione generale, ed assunto fondamentale del carattere d’indagine, l’idea che il socialismo sia naturalmente intrinseco alla classe proletaria[1], appare necessario conciliare questo caposaldo con un accurato ricamo del tessuto linguistico quando la finalità è quella di romanzare la realtà contadina di un piccolo paesino, fondato interamente sul lavoro nei campi ed improvvisamente portato in rovina dall’oppressione fascista. Tale è lo spirito fondamentale del romanzo Fontamara di Ignazio Silone, pubblicato nel 1930 in Svizzera[2] con l’intento di raccontare, in termini vagamente autobiografici ed amaramente ironici, una realtà in cui l’autore stesso crebbe, da cui scaturirono gli ideali rivoluzionari che lo portarono ad aderire nel 1921 al Partito Comunista (Cassata in Silone 1978:7).

Il giorno del giudizio – Salvatore Satta

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Satta, Salvatore; (1979), Il giorno del giudizio, Ilisso: Nuoro


Il giorno del giudizio è una possibile prova della resistenza e della grandezza dell’italiano come lingua. Essa può ancora avere un senso e potrà ancora averlo. Questa resilienza della lingua italiana non è un caso. Essa viene da autori che italiani lo sono stati per adozione linguistica o per scelta volontaria. Salvatore Satta è incidentalmente un sardo e, come tale, egli ha imparato l’italiano dopo o, al massimo contemporaneamente, la lingua del luogo. Come Joseph Conrad, Satta ha una lingua italiana di seconda pelle, indipendentemente dal momento in cui la deve aver imparata come egli stesso dice, tra letture, scuola e ricopiatura di atti notarili ovvero: in modo del tutto artificiale. Egli infatti è un vero italiano, ovvero un acquisito, un traslitterato dalla regione alla penisola.

La pelle – Curzio Malaparte

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Consigliamo Il giorno del giudizio di Salvatore Satta


E unitici al corto dei becchini, ci avviammo dietro la bandiera. Era una bandiera di pelle umana, la bandiera della nostra patria, era la nostra stessa patria. E così andammo a vedere buttare la bandiera della nostra patria, la bandiera della patria di tutti i popoli, di tutti gli uomini, nell’immondezzaio della fossa comune.

  La pelle – Curzio Malaparte

La pelle è un romanzo con caratteri autobiografici di Curzio Malaparte, un romanzo da uno stile denso, preciso, univoco e perfetto. Si tratta di un romanzo privo di una trama sistematica, se con questo si intende una sequenza di fatti riportati in un ordine che scandisce la sequenza temporale degli eventi. Uno dei motivi è dovuto non solo alla rapsodicità degli eventi presentati, ma pure alla principale caratteristica degli avvenimenti stessi: il significato del susseguirsi degli stati di cose non è limitato agli anni della guerra in Italia, della campagna americana e della liberazione del paese. Il significato di quegli eventi parla a tutti coloro che sono immersi in questo mondo, tutti coloro i quali si chiedono, giorno dopo giorno, se vivano in Terra o all’inferno.

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana – Carlo Emilio Gadda

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Quer pasticciaccio brutto de via Merulana è un romanzo di Carlo Emilio Gadda uscito a puntate su una rivista letteraria ma edito in unico volume solo nel 1957 dalla Garzanti. Si tratta indubbiamente di uno dei massimi capolavori in lingua italiana della storia della letteratura da Dante al XXI secolo, difficile trovare paragoni in opere letterarie precedenti e successive, se non altro per densità, precisione, profondità e grandezza.

La trama del romanzo è apparentemente ispirata alla cronaca nera, pervasa da una vena quasi giallistica in cui il latrocinio di una ricca vedova (tal contessa Menegazzi) è il prodromo per il delitto quintessenziale della “donna” per eccellenza, Liliana in Balducci, amica e lontana cugina del protagonista Don Ciccio Ingravallo, ispettore di polizia molisano trapiantato a Roma, esule integrato quanto estraneo nella capitale italiana. Perché tutti siamo integrati ed estranei con la realtà che ci circonda, una delle possibili interpretazioni ultime del romanzo.

Il deserto dei Tartari – Dino Buzzati

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Fino ad allora egli era avanzato per la spensierata età della prima giovinezza, una strada che da bambini sembra infinita, dove gli anni scorrono lenti e con passo lieve, così che nessuno nota la loro partenza. Si cammina placidamente guardandosi con curiosità attorno, non c’è bisogno di affrettarsi, nessuno preme di dietro e nessuno ci aspetta, anche i compagni procedono senza pensieri, fermandosi spesso a scherzare. Dalle case, sulle porte, la gente grande saluta benigna, e fa cenno indicando l’orizzonte con sorrisi d’intesa; così il cuore  comincia a battere per eroici e teneri desideri, si assapora la vigilia delle cose meravigliose che si attendono più avanti; ancora non si vedono, no, ma è certo, assolutamente certo che un giorno ci arriveremo.

 Dino Buzzati

Il deserto dei Tartari è un libro di Dino Buzzati edito per la Rizzoli nel 1940. La trama del libro è assai lineare:[1] Giovanni Drogo, giovane ufficiale, viene spedito alla fortezza Bastiani, ai confini estremi di un regno dai contorni e geografia non precisati. Al principio Giovanni non è particolarmente felice di insediarsi nella fortezza. Già l’abbandono della casa natia, con i parenti e gli amici e una potenziale futura moglie, gli lasciano un senso di smarrimento privo di compenso che egli stesso intuisce ma non comprende. Chiede immediatamente il trasferimento, ma gli viene sconsigliato per ragioni di carriera: è possibile, certamente, ma perché doverlo fare subito? Meglio aspettare qualche mese, quattro possibilmente, così da dare l’aria di aver svolto il minimo di tempo del servizio per poi potersi congedare dalla fortezza senza macchie.

Lazzaro, vieni fuori – Andrea Pinketts

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Lazzaro, vieni fuori è il primo romanzo pubblicato da Andrea Pinketts, poliedrico autore e letterato italiano. Questo libro, pubblicato nel 1992, ha aperto le porte del successo all’autore milanese che inizierà la sua attività letteraria col suo celebre personaggio Lazzaro Sant’Andrea, protagonista di mirabolanti ed emozionanti avventure e disavventure. Dunque romanziere di successo, ma non solo; negli ultimi anni ha infatti intrapreso la carriera televisiva con diverse collaborazioni: citiamo fra queste quella con Alessandro Lucarelli, nella trasmissione Blu notte.

La casa in collina – Cesare Pavese

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Io non credo possa finire. Ora che ho visto cos’è la guerra, cos’è la guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: – E dei caduti che facciamo? Perché sono morti? – Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.

Cesare Pavese

La casa in collina è un romanzo breve, o racconto lungo, ambientato durante la seconda guerra mondiale nella campagna torinese. Il racconto non ha una trama particolarmente elaborata e si riassume brevemente: un professore di scuole medie vive l’esperienza della guerra, prima indirettamente e poi in prima persona. Da principio sembra che il rombo della guerra sia solo lontano, ma poi si intensificano i bombardamenti, gli eserciti si avvicinano e quando avviene il crollo del regime fascista anche l’ultima sicurezza viene meno. Incominciano a dominare le paure per prossima guerra civile, il cui incipit è uno stato di attonicità sorda e inquieta, ma ancora calma, che rafforza la percezione della caducità del momento presente. Il protagonista è costretto ad abbandonare la casa di campagna in cui dimora, i suoi amici vengono dispersi ed è presto costretto ad allontanarsi da un fanciullo, che sospetta possa essere suo figlio. Dopo aver soggiornato in un convento, imboscato e fuggiasco, decide di ritornare a casa, tra il terrore della morte per le esplosioni e il rischio di essere trovato dai tedeschi o da qualche banda locale.

Il paradiso non è più qui. Pugliese A..

Non un Georges Simenon, non un Ellery Queen, non un Stanley Gardner, né un S.S. Van Dine. Più semplicemente, senza dover richiamare i grandi “giallisti”, un Andrea Pugliese, scrittore genovese, già pubblicato dalla FBE edizione in Persone smarrite (2005), Mangia! (2006), Neo-Conf ritratto del nuovo conformista (2006) e 100 pizzini di Bernardo P. prima di andare a letto (2007).

Andrea Pugliese sulla scia di diversi scrittori italiani come Sandrone Dazieri, Andrea Camilleri o Massimo Carlotto, scrive un romanzo in stile noir cercando di colpire l’attenzione dei lettori, con una lettura rapida, scorrevole e oserei dire scontata. Le ultime pubblicazioni, non solo della editoria italiana, ma anche di quella estera, ci hanno insegnato che il lettore (e di conseguenza lo scrittore per il perseguire dei propri interessi), preferisce leggere/scrivere un romanzo in cui ci siano le indicazioni base, con una trama non troppo complicata, protagonisti senza una grande identità e possibilmente privi di morale, il tutto condito da tre elementi imprescindibili: il sesso, la droga e la violenza… a quando l’alcol e la pedofilia?

Giùllemani. Farci L. C.

Di recente è uscito il primo libro di Carola Ludita Farci, Giùllemani, edito dal Cenacolo di Ares, una giovane casa editrice che valorizza gli scrittori emergenti.

Una giovane scrittrice emergente è anche Carola L. Farci. Nata a Cagliari nel novembre 1989 è oggi laureata in Lettere e in procinto di specializzarsi in Lingua e letteratura italiana con una tesi su Sergio Atzeni, l’intramontabile scrittore la cui ammirazione e ricordo è conservato in ogni sardo amante della letteratura.

Giùllemani è un romanzo che parla di una ragazza fresca di diploma, che decide di lasciare la sua amata isola, la Sardegna, per andare a studiare a Pisa, luogo che ha da offrirgli maggiori possibilità dal punto di vista culturale e degli stimoli vitali.