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Categoria: Filosofia

VENERE IN CORNICE – Una colonna per sdraiarsi sulla temporalità / A column to lie down on the temporality

Per Giulia Carcasi, il legno è solo in apparenza fermo, giacché sottoposto al lento logorio delle pressioni interne. Diversamente la ceramica si rompe subito, facendo (bella?) mostra dei suoi cocci, alla caduta. Il pezzo di legno, quantunque artistico, sarebbe meno pregiato? Forse no, perché esibendo subito la propria bellezza (e come nel caso della ceramica), si rischia paradossalmente di “frantumare” il desiderio di contattarla, a volte anche per curarvi i piccoli difetti. La fotografia di Ola è in bianconero. Lei ha posato sulla stretta mensola d’una parete, ed all’esterno d’un palazzo urbano. Non è una situazione molto comoda… Pare che la mensola appartenga ad un’intercapedine di legno, che ha le tavole orizzontali. Ola indossa una corona di fiori bianchi, sulla testa. Questa esteticamente “s’opporrebbe” alla sensualità nera delle calze e dei tacchi. Non è chiaro quanto si percepisca la “lenta pressione” del matrimonio, evitandone la routine. Con questa, noi intenderemmo che la passionalità iniziale (ai corteggiamenti) si rendesse “puramente ombrosa” (all’affezionarsi). E’ una fotografia in cui molti elementi (la parete, il vetro, la corona, la vestaglia ecc…) si percepiscono quasi di ceramica.

According to Giulia Carcasi, the wood is only apparently fixed, because it is subjected to the lengthy wearing away of the inner pressures. Conversely the ceramic breaks immediately, making a (fine?) show about its shards, falling. Would a piece of wood, although artistic, be less precious? Maybe not, because if the beauty is immediately exhibited (and like in the case of the ceramic), paradoxically we run the risk of shattering the desire to contact that one, sometimes also to correct there the flaws. The photography of Ola is in black and white. She posed on the narrow shelf of a wall, and on the outside of an urban building. This is not a situation very comfortable… It seems that the shelf belongs to a cavity wall in wood, which has the horizontal planks. Ola wears a crown of white flowers, on the head. This one aesthetically “would be opposed” to the black sensuality of the stockings and of the heels. It is not clear how we perceive a “lengthy pressure” of the marriage, avoiding its routine. Through this one, we would mean that the initial passionateness (with the courting) is become “purely shady” (becoming attached to our partner). This is a photography where many elements (the wall, the glass, the crown, the gown etc…) are perceived almost in ceramic.

Linguistica Italiana – Minimi linguistici in “Fontamara” di Ignazio Silone

Wikimedia Commons; Copyright: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Aielli_Fontamara_murale.jpg

 

  • 1. Introduzione:

Ponendo come massima d’ispirazione generale, ed assunto fondamentale del carattere d’indagine, l’idea che il socialismo sia naturalmente intrinseco alla classe proletaria[1], appare necessario conciliare questo caposaldo con un accurato ricamo del tessuto linguistico quando la finalità è quella di romanzare la realtà contadina di un piccolo paesino, fondato interamente sul lavoro nei campi ed improvvisamente portato in rovina dall’oppressione fascista. Tale è lo spirito fondamentale del romanzo Fontamara di Ignazio Silone, pubblicato nel 1930 in Svizzera[2] con l’intento di raccontare, in termini vagamente autobiografici ed amaramente ironici, una realtà in cui l’autore stesso crebbe, da cui scaturirono gli ideali rivoluzionari che lo portarono ad aderire nel 1921 al Partito Comunista (Cassata in Silone 1978:7).

A Rationalistic Conception of Mysticism

https://pxhere.com/en/photo/1593351

(1) We were not supposed to be born like beasts.

Particularization on (1)

(2) I was not supposed to be born like a beast.

Dante + Logic + Me


Introduction – Rational Mysticism and Theory of Eternal Truth

Since I formulated the first conception of the theory of the free creation of eternal truths,[1] I immediately realized that I was opening the door to a peculiar form of mysticism. This was not an appreciated opening, to be fair. Any rationalist is, by very nature, against any principle that gives up the capacity of reason to formulate its principles and derive its theorems. However, the theory appeared to be compatible with a specific version of mysticism when it comes to how the truths are, in fact, generated.

Already the name of the theory seems to be against the tastes of analytic philosophy. Moreover, it has a specific universal afflatus, which is usually lost in the current philosophical production. To be more precise, it is left to the continental philosophers, who are well known to be as general as vague. Digging into a topic such as mysticism will bury the theory under all the tastes of current analytic philosophers, among which I still place myself – though I am open to any form of deep thinking. The eternal truth theory wants to be what philosophy used to be: a universal view of the world from nowhere, a vision, an inspiration, but also a consistent conception of the world. This is not welcomed anymore, and I, myself, see why. Philosophy exhausted these kinds of approaches between Greek and modern philosophy when the archetypical visions of the world were formulated. From that moment on, after Nietzsche, let’s say what can be done is to refine the portion of those visions better and better. It is a process of continuous refinement and improvement, not of invention, so to speak.

VENERE IN CORNICE – Il riflesso è l’apertura d’una scala / The reflection is the opening of a staircase

Per Chloe Gilholy, liricamente il loto fiorisce vicino al bicchiere di vino vuoto, e mentre le piccole candele sfavillano. Però, è la perdita della bellezza che durerà di più. Infatti la trasparenza del bicchiere va curata a prescindere dal suo contenuto: ad esempio contro la frantumazione accidentale, cadendo dal tavolo. La modella Beatrice ha posato per uno scatto assai concettuale. Noi le vediamo solo la testa, e lungo lo spigolo d’un tavolo. In primo piano, c’è un calice, che pare in parte riempito. Immaginiamo che le perline dell’orecchino fungano da fogliolina per il cocktail. Gli occhi arriverebbero a guardare perfino… se stessi, attraverso il caleidoscopio (laddove il vuoto di luce “rifiorisce”). Ma quanto il naso funzionerà da “candela”, e per la cera del volto, se la bellezza rimane sempre fuggevole? Lo sguardo di Beatrice si percepisce “deterritorializzato” verso l’intimità. Non c’è la “frenesia spumeggiante”, nelle perline… Piuttosto, diventerà un invito a curare la propria attenzione, dialetticamente: dal riflesso alla trasparenza.

According to Chloe Gilholy, lyrically the lotus blooms near an empty glass of wine, and while the little candles are sparkling. However, the loss of the beauty will last longer. In fact the transparency of the glass needs to be nursed regardless of its contents: for example against the accidental smashing, falling from a table. The model Beatrice posed for a shot very conceptual. We see only her head, and along a corner of a table. In the foreground, there is a goblet, which seems partially filled. We imagine that the small pearls of the earring function as a leaflet for the cocktail. The eyes would be able to watch even… themselves, through the kaleidoscope (where the empty space of light “blooms again”). But how much will the nose function as a “candle”, and for the wax of the face, if the beauty always remains fleeting? The Beatrice’s gaze is perceived “deterritorialized” into the intimacy. There is not a “bubbly frenzy”, in the small pearls… Rather, that will become a call to take care of the own attention, dialectically: from a reflection to a transparency.

(courtesy to Sarah Rubbera)

Dantedì 2023 – Una prospettiva sociologica del Dante uomo del Trecento

E. Delacroix - La Barque de Dante
Copyright: https://jenikirbyhistory.getarchive.net/amp/media/the-barque-of-dante-506ac6

 

Lettura di Inferno VIII in occasione del Dantedì 2023.

Introduzione:

In occasione del Dantedì[1] 2023, rivolto alla diffusione della meraviglia dantesca in ogni sua forma, è mia premura presentare un lavoro di analisi del celebre canto VIII dell’Inferno secondo una prospettiva più ampiamente sociologica, volta a dimostrare la peculiarità, di interesse storico, della mentalità dantesca che traspare. Si procederà dapprima ad una sinossi filologica di presentazione del lavoro dantesco per poi passare all’analisi interessata del celebre episodio di dialogo tra Dante e Filippo Argenti. Lo studio in questione è volto a creare dei ponti di collegamento con altri episodi tratti dalle tre cantiche, al fine di dimostrare come la mentalità dantesca, di impronta essenzialmente cristiana, differisse dai valori che, nella contemporaneità, sono attribuibili a tale etichetta. Fine ultimo del presente lavoro è presentare le sublimi peculiarità di Inferno VIII e, seguitamente, dimostrare come vi sia una netta ed insormontabile demarcazione tra l’ideologia politico-religiosa di un uomo del ‘300, puramente un uomo del suo tempo[2], e una qualsivoglia linea di pensiero, altrettanto politico-religiosa, della contemporaneità.

 

Inferno, canto VIII – una sinossi filologica e tematica

Ricostruire una sinossi filologica nello spazio di un articolo del presente calibro è impresa ben più che ardua, forse addirittura irrazionale. La tradizione di attestazione della Commedia (poi Divina a seguito del commento Boccaccesco) è caratterizzata da una sorprendente complessità a fronte delle innumerevoli attestazioni[3], tanto nella tradizione manoscritta quanto nella tradizione dei testi a stampa. Si tenterà pertanto di seguito di presentare una sinossi filologica delle prime attestazioni manoscritte, prendendo in esame due celebre manoscritti per un’analisi di taglio paleografico-filologico.

Blaise Pascal e (il suo) Dio

[Nota dell’autore. Qualche settimana fa avevo menzionato Blaise Pascal nei miei commenti a un articolo di Giangiuseppe Pili. Domenica scorsa Giangiuseppe mi ha inviato un messaggio e-mail in cui mi proponeva di scrivere un pezzo su Pascal per ScuolaFilosofica. Io gli ho risposto subito positivamente, rilevando la significativa coincidenza per cui, qualche ora prima, avevo iniziato a scrivere proprio un pezzo di tal genere per questo sito web! Tuttavia, non essendo io né un filosofo né un teologo di professione, il presente articolo non ha alcuna pretesa di esaustività né da un punto di vista filosofico né da un punto di vista teologico; vuole essere solo una riflessione (spero) articolata sul tema espresso nel titolo.]

Quest’anno ricorre il quarto centenario della nascita del filosofo e scienziato Blaise Pascal (Clermont, attuale Clermont-Ferrand, 19 giugno 1623 – Parigi, 19 agosto 1662).

On the understandability of the universe and the a priori proof of the existence of God

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:2001-Sunrise.png

And there it was God – Understanding the a priori proof of existence

Anybody who tried to understand and replicate the a priori proof of the existence of God should have experienced both a sense of wonder and distrust. The wonder comes from recognizing the power of reason, able to formulate a proposition about the world that, if thinkable, should be true for its only being formulable. Namely, the truth-value of that special statement must be true in force only of its being thinkable. This cannot be as a major cause of wonder! Indeed, how many times we formulate propositions in our mind that, then, just turn to be merely possible and, if true, in force of their match to something external to them, usually some conditions in nature or any other realm to which the proposition applies (e.g., numbers). Humans as we are, we spend time thinking about possibilities, different situations, counterfactuals, and how the world can be nicer to us or how our soulmate looks. And we forget that among those speculations, there are some special that actually turn out to be true only for their own nature of being formulable.

14 febbraio 842: i giuramenti di Strasburgo – Pillola linguistica

https://en.wikipedia.org/wiki/Strasbourg#/media/File:Strasbourg_Cathedral.jpg

Introduzione:

Pur non di meno valutando l’importanza della festa degli innamorati, di celebrazione ricorrente il 14 febbraio in onore di San Valentino[1], l’occhio di passion filologica non potrà mancar di notare come il medesimo giorno sia anche ricorrenza della sottoscrizione del patto di alleanza difensiva, conosciuto come Serments de Strasbourg (Giuramenti di Strasburgo), tra Lodovico il Germanico e Carlo il Calvo, figli dell’imperatore Lodovico il Pio (778-840), contro il fratello imperatore Lotario I. Il documento in questione, di datazione 14 febbraio 842 ma attestato unicamente dal posteriore ms. lat. 9768 BnF, di cui di seguito si propone la sinossi filologica, è riconosciuto come il primo documento cancelleresco di lingua romanza. La presente pillola linguistica si premura di presentare il documento dapprima sotto un punto di vista filologico e successivamente analizzando la patina linguistica che lo contraddistingue, dimostrandone l’importanza nella diffusione della lingua romanza di riferimento. Volendo dare un taglio romanzo alla presente pillola linguistica si andrà ad analizzare la varietà francese antica riportata nel giuramento di Lodovico il Germanico.

Life as an Open-Ended act of Creation – Or Why Life is Unsolvable

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Introduction to the theme – Or an eternal truth about human existence

Recently I was reading about the history of monasticism and science fiction. Though quite different readings, both converged into the same problem, I was recently wondering relentlessly. Though I strive for perfection through reason, a classic philosophical understanding of human endeavor already explored in the blog, I also questioned myself on why this should be worthy. This short post will address the problem of life as an open-ended act of creation due to its ultimate unsolvability.

Because life is unsolvable, it is open to any solution compatible with a very abstract understanding of human nature as dominated by reason. I know I cannot offer the reader something as new as already stated by many, such as Aristotle and Spinoza. However, considering that the best role of any rational being is to be the voice of truth, being truth eternal, there is nothing wrong in restating what is already well known, though imperfectly uttered or formulated.[1]

Manzoni e il manoscritto ritrovato – un falso lombardo a regola d’arte

Introduzione:

Sin dalla pubblicazione della ventisettana, il romanzo di Manzoni è stato ampiamente analizzato in ogni sua parte. Sulla sponda della linguistica, a lungo si è preso in esame l’evoluzionismo delle scelte manzoniane, in analisi comparativa con la quarantana, mettendo in luce come il Manzoni si sia mosso in direzione di un abbandono della patina fortemente ancorata ai lombardismi, quelli che lui definì idioti lombardismi a iosa, ed in direzione di una fiorentinizzazione della lingua, con in mente un progetto di unitarietà linguistica di enorme portata. Analizzando il romanzo è tuttavia innegabile il fascino esercitato dall’introduzione che il Manzoni antepone al suo romanzo. Volendo impiegare il medesimo artificio di occultazione della autorialità, già usato da Miguel de Cervantes nel Don Chisciotte (1605), da Vincenzo Cuoco nel Platone in Italia (1804; cfr. Di Massa, Gli albori del romanzo in Italia, 2022) e da Walter Scott nell’Ivanhoe (1819), Manzoni asserì di aver ritrovato un manoscritto secentesco che narrava la vicenda dei due promessi sposi. Al fine di accrescere l’autorevolezza del fatto, Manzoni trascrive un piccolo frammento, tratto dallo scartafaccio[1], per dimostrarne la reale esistenza. Trattasi di un finto manoscritto, filologicamente parlando, creato dal Manzoni stesso, la sua autorialità è assolutamente innegabile, ed è pertanto lecito chiedersi che tipo di patina linguistica abbia impiegato per ricreare questo falso manoscritto d’ipotetica mano secentesca[2].