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Categoria: Filosofia

Capitolo 15. I poteri della Parola

Prarthana1830590, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Consigliamo – Di Francesco Margoni I veda – Capitolo 1


Alcune stanze tratte dal Rg-veda (X,125) ci aiutano a chiarire l’immagine di potenza della Parola, per mezzo della descrizione di alcune sue (della Parola) proprietà. La descrizione che seguirà ci aiuterà, più generalmente, a comprendere ulteriormente la stessa particolare natura della Parola nella concezione vedica.

La forma – Il quarto capitolo de L’arte della guerra

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L’arte della guerra si basa sull’inganno e sulla capacità di sfruttare gli errori del nemico, perché l’errore implica la presenza della debolezza da sfruttare. La possibilità di non perdere dipende dalle nostre sole forze, mentre la vittoria dipendente congiuntamente dalla nostra capacità e dalla debolezza dell’avversario. La difesa è in vantaggio sull’attacco perché può essere inattaccabile mentre l’attacco è costretto a prendersi dei rischi per attaccare. Prendersi dei rischi significa concedere debolezze e avere debolezze significa esser caduti in fallo, così che l’attacco ha molte più probabilità di sbagliare che non la difesa, per questo “Se ti difendi sei più forte, se attacchi sei più debole”. La vera abilità consiste nel vincere chi si può battere facilmente e la vera abilità non è vincere cento battaglie: la suprema arte sta nell’abbattere un nemico già sconfitto. Il metodo della forma consiste di cinque condizioni: calcolare la lunghezza,  calcolare il volume, calcolare il numero degli elementi coinvolti, confrontare le parti e raggiungere la vittoria. Il territorio genera la lunghezza, la lunghezza il calcolo, il calcolo il confronto, il confronto la vittoria. Così si può concludere che “l’operazione militare vittoriosa è come cento grammi contrapposte a una piuma”.

Capitolo 14. Jnana – canto alla saggezza ispirata

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Consigliamo I veda – Capitolo 1


La pubblicazione intende chiarire, attraverso l’analisi del contenuto d’un passo del Rg-veda (X,71), la relazione che, secondo la concezione vedica, sussiste tra la Parola e gli uomini saggi che ne fanno uso, ma, più in generale, tra la Parola e la comunità umana.

La Parola (Vac) per i Veda è della massima importanza. I Veda stessi sono Parola, ovvero la rivelazione vedica, contenuta nei quattro testi che compongono la Samitha, è Parola. Ma cosa significa essere Parola? Non è subito chiaro. Solo una volta conclusa l’analisi dei testi credo si possa avere una risposta in grado di fare chiarezza sul punto. Per ora possiamo dare solo qualche utile indizio. Innanzitutto la Parola, nel senso inteso dai Veda, è Parola eterna e primordiale. È dunque una Parola precedente alla divinità stessa: non è di Dio e nemmeno da esso ispirata. Sembrerebbe dunque che ci troviamo di fronte ad un altro principio primo.

Strategia di attacco – Il terzo capitolo de L’arte della guerra


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Lo scopo di un combattimento non è quello di distruggere un nemico ma è quello di ridurlo all’impotenza per conquistarlo intatto. Un nemico distrutto non è più niente, un nemico impotente è costretto a eseguire gli ordini del vincitore. Attività di suprema importanza per vincere il conflitto: sconvolgere la strategia del nemico, spezzare le alleanze, attaccare il suo esercito, non assediare le sue città fortificate. La presa di una città fortificata ha un costo dispendioso in termini di tempo ed energie, per tanto, l’attacco ad una fortezza è quasi sempre privo di grande utilità. Il comandante abile è colui che assume come fine la vittoria suprema e non si discosta da tale direttiva, sicché la massima abilità è nella conquista senza combattere. Le condizioni della vittoria sono le seguenti: il sovrano non deve interferire con le decisioni del generale e il generale deve essere capace; tutti gli uomini dell’esercito sono animati dal medesimo scopo; bisogna sapere quando è il momento di attaccare e quando non lo è; bisogna saper comandare un esercito, piccolo o grande che sia; bisogna essere preparati ad ogni imprevisto. Conosci te stesso, e il nemico non potrà mai batterti: conosci te stesso e il nemico, e sarai invincibile.

Capitolo 13. La Parola – Vac

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Consigliamo I veda – Capitolo 1


La sezione dedicata al tema, centralissimo e fondamentale per la concezione vedica dell’essere e delle sue manifestazioni, della Parola, è composta da sette parti, che esporremo ognuna in una pubblicazione differente. A guisa introduttiva vediamo una strofa tratta dal Taittiriya-brahmana (II,8,8,5):

La Parola, imperitura, è la primogenita / della Verità, madre dei Veda e fulcro / di immortalità. Possa venire a noi / in felicità nel sacrificio. Possa ella, / nostra Dea protettrice, essere / sensibile alla supplica.

Dal mondo degli Scacchi al mondo della Bellezza

“The artist is the creator of beautiful things.
To reveal art and conceal the artist is art’s aim.
Those who find ugly meanings in beautiful things are corrupt without being charming.  This is a fault.
Those who find beautiful meanings in beautiful things are the cultivated.  For these there is hope.
They are the elect to whom beautiful things mean only Beauty.”

Oscar Wilde [1]

Introduzione

Gli scacchi sono un universo entro cui ogni giocatore può vedere aspetti diversi del gioco e individuare varie tematiche. Nonostante gli scacchi abbiano come base una struttura competitiva (guerresca), è possibile anche intravedere un aspetto estetico/meditativo e notare come il gioco abbia mantenuto inalterato nei secoli il suo simbolismo e una specifica funzione di trasmettere messaggi e sviluppare capacità mentali. Gli scacchi sono diventati nell’arco del tempo una metafora adattabile a campi molto diversi per illustrare idee astratte e sistemi complessi oltre che un efficace strumento utilizzato da psicologi e scienziati cognitivi per comprendere meglio l’animo e la mente umana.

“Ho sempre amato la complessità – ha detto Marcel Duchamp1 – e con gli scacchi si possono creare problemi magnifici”. Questa frase dell’artista francese potrebbe essere il motto di artisti e intellettuali del XX [XXI] secolo, ossia di coloro che si sono incaricati di interpretare la complessa trama sottesa alla contemporaneità per trarne, in modi diversi, verità e bellezza. Nel XX secolo gli scacchi sono stati applicati alla soluzione di difficili problemi e sono stati oggetto di ammirazione e critica sotto il profilo estetico. Chiaramente la vibrante frase del pittore e scacchista francese sui “problemi magnifici” non si riferisce tanto alla bellezza fisica della scacchiera o dei suoi pezzi (come ci propongono gli antiquari), ma alla dinamica stessa del gioco, alla sua tensione sottesa e ai suoi imprevedibili risultati. Duchamp ha inoltre dichiarato che “I pezzi degli scacchi sono le lettere dell’alfabeto con cui si formano i pensieri che, mentre fanno un disegno visibile sulla scacchiera, esprimono la loro bellezza in modo astratto, come in un poema” [2].

Operazioni belliche – Il secondo capitolo de L’arte della Guerra


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La guerra trae la sua possibilità dai mezzi materiali che si posseggono. La durata di uno scontro dipende dalla propria capacità di reggere lo sforzo fisico richiesto per sostenerlo. Lo sforzo bellico, qualche che sia la sua natura, richiede energie prolungate per il suo mantenimento e il consumo delle energie abbatte le forze e il morale, sicché laddove non c’è una mente salda, non c’è braccio che funzioni. La conoscenza dei problemi inerenti al confitto mostrano chiaramente il prezzo per cui si combatte e lo rendono quantificabile. In questo senso, la rapidità in guerra è una duplice virtù: rende minimo il consumo di energie vitali e raggiunge l’obbiettivo.

Il secondo capitolo de L’arte della guerra tratta delle ripercussioni dell’economia di guerra, intesa in senso più ampio del solo dispendio economico. Sun Tzu mette in evidenza la necessità di pensare al conflitto come ad una condizione di perpetuo e perdurante consumo di risorse materiali ed energie psichiche e fisiche. La catena che lega l’esercito alla madrepatria alimenta un circolo vizioso di impoverimento fisico ed economico e, conseguentemente, morale, ciò inteso nella dimensione emotiva della parola. Un esercito deve cercare di sostenersi esclusivamente sul territorio nemico, così da ridurre la forza dell’avversario senza imporre il pericoloso circolo vizioso. Questo è espresso con tutta l’acutezza e profondità delle parole di Sun Tzu:

Capitolo 12. La risoluzione dell’Uno

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Consigliamo I veda – Capitolo 1


Altri tre passi (tratti questa volta dalla Bhagavad-gita: IX,4-5; X,2-3e20e39-41; XIII,15 – dunque non propriamente dai Veda) per chiarire un concetto vedico veramente fondamentale: tutto sta e proviene dall’Uno, anche se l’Uno non sta completamente nel tutto.

Valutazioni strategiche – Il primo capitolo de L’arte della guerra

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Il primo capitolo de L’arte della guerra parla delle valutazioni strategiche e dei sistemi di valutazione del generale. Esso è rivolto al sovrano, colui che ha in mano le decisioni di uno Stato.

Un sovrano virtuoso sa far assumere il Tao (la Via) alle sue truppe, vale a dire che egli sa trasmettere il proprio scopo a tutti coloro che devono partecipare alla sua realizzazione, così che un pugno di uomini possa agire come un sol uomo: “Il Tao è ciò che induce il popolo a condividere lo stesso obbiettivo del governante al punto di non darsi pena di vita o morte per non deluderlo”.[1] Sun Tzu assume la sussistenza di un principio unificante e agente in modo che non si dia una dissipazione di energia nel contenere le singole spinte individuali o di sottogruppi, spinte che costituirebbero delle forze non perfettamente indirizzate verso un unico obbiettivo. Se questa condizione è violata, allora il generale avrebbe a che fare con dei problemi di sedizione interna, così che ciascuna componente dell’esercito costituirebbe un elemento ostile a se stesso, in quanto parte di un insieme, imponendo, così immediate difficoltà pratiche nella realizzazione delle operazioni militari: “Se impieghi un generale che segue le mie valutazioni, egli sarà sicuramente vittorioso. Fallo dunque rimanere. Se impieghi un generale che non segue le mie valutazioni egli sarà sicuramente sconfitto. Allontanalo”.[2] Il generale, dunque, deve essere valutato in base alle sue capacità relative a quanto detto.

Sun Tzu: uno studio sull’arte della guerra

Abstract

L’arte della guerra è un testo fondamentale sia da un punto di vista storico che individuale. La sua analisi costituisce un’importante occasione per studiare più a fondo le leggi stesse del conflitto e di come queste siano la base della stessa realtà quotidiana. Il saggio si divide in due parti: la prima tratta degli aspetti più astratti e filosofici che Sun Tzu considera esplicitamente o implicitamente. La seconda parte tratta del contenuto dei singoli capitoli. Nonostante l’attenzione per la lettera del testo, proponiamo continui riferimenti in merito alla quotidianità, al punto di vista individuale e al punto di vista storico.


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Struttura del’articolo

1.  Parte 1. La struttura: ontologia, figure centrali, epistemologia.

Capitolo 1: Ontologia

Capitolo 2: Figure centrali

Capitolo 3: Epistemologia

Capitolo 4: I tre generi di analisi di Sun Tzu: analisi descrittiva, normativa e prescrittiva

Capitolo 5: Sun Tzu come Maestro di vita



Capitolo 1

Ontologia

Sun Tzu non è un filosofo in senso stretto, ma egli lascia passare un’intera visione del mondo. Per questo è possibile soffermarsi sui fondamenti del suo pensiero e ciò che egli può intendere come assolutamente primitivo, rispondendo a domande filosofiche fondamentali come “cosa c’è?” e “in cosa consista la conoscenza?” In questo capitolo risponderemo alla prima domanda.

L’arte della guerra è un testo dominato da alcune tesi ontologiche di fondo estremamente importanti e profonde. Esse costituiscono la base sottostante ad ogni considerazione di natura strategica e tattica, giacché Sun Tzu ritiene che ogni decisione nell’arte del conflitto sia subordinata alla conoscenza degli elementi ultimi della realtà nelle loro configurazioni contingenti.