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Categoria: Filosofia

5. Esibizione: cosa è e in cosa consiste

DZankell, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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L’esibizione è l’apparenza di una singola persona concepita nella sua interezza. In questo senso, l’esibizione è sempre un atto la cui causa risiede nell’esistenza stessa di un soggetto, riconosciuto intersoggettivamente. Sicché l’esibizione non esisterebbe, se non esisterebbero gli altri. Da qui lo scetticismo nutrito su chi sostiene, piuttosto ingenuamente, che in un’isola deserta ci si mostrerebbe esattamente come al centro di Manhattan. E’ falso per la semplice ragione che in un caso l’esibizione non c’è, mentre nell’altro c’è: ovvero, in un caso l’esibizione semplicemente non sussiste. Perché? Perché l’esibizione è un fenomeno in cui il soggetto è solo una parte, mentre l’altro è l’osservatore. Tolto il soggetto è tolta la sua esibizione. Tolto l’osservatore è tolta l’esibizione, dall’altro estremo.

Quindi, si può dire che il soggetto sia il noumeno kantiano rispetto all’osservatore (perché quest’ultimo non può sapere cosa passa realmente nella testa del soggetto). E l’associazione con il kantismo non è un caso perché Kant stesso nella prima critica (Kant (1787)) sottolinea il fatto che la conoscenza dell’altro soggetto ricade nella metafisica, ovvero fa parte del noumeno che ha importanti ricadute in sede morale ma non da un punto di vista epistemologico, laddove esso è appunto il limite stesso della ragione conoscitiva. Dal punto di vista dell’osservatore, l’esibizione è ciò che può essere esperito immediatamente. Soltanto in seconda istanza l’osservatore può riconoscere il soggetto come tale, ovvero riconoscergli, per esempio, una certa personalità.

4. L’ambiguità della moda e i tre cardini di essa

Cathleen Naundorf, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Consigliamo Leggere il linguaggio della moda


La moda, dunque, è solo una piccola frazione del sistema dei vestiti. Il ‘sistema della moda’ si fonda sul sistema dei segni e dei significati del più ampio mondo della rappresentazione di se stessi attraverso l’abito. Questo mostra in modo inequivocabile che la parola ‘moda’ è ambigua perché racchiude sia la variazione degli abiti, sia la variazione dei segnali e marcatori che si impostano una volta scelto l’abito. Inoltre, la moda varia sia sul breve periodo che sul breve periodo (onda lunga e onda corta, cfr. 2.), lungo e corto periodo che si è già visto essere legati ma autonomi (cfr. 2) a tal punto che le autorità epistemiche variano (cfr. 3).

La parola moda è così ambigua in quattro sensi e rispetto a due tipologie diverse di oggetti: (a) trucco e (b) vestito, rispetto (c) all’onda lunga o (d) all’onda corta. Va dunque notato che la parola si applica in modo consono sia alla moda del vestito, sia a quello che si dice essere ‘in voga’, che infatti viene forse impropriamente, ma chiaramente, detto ‘alla moda’. Una canzone può essere ‘in voga’ e quindi essere ‘di moda’. Se questo significato può essere criticato dai puristi, rimane il fatto che segnala il fatto che la moda è un fenomeno che riguarda la massa e attiene alla logica intersoggettiva in cui il soggetto è in una certa misura passivo (da qui uno dei motivi per cui alcuni rifiutano in blocco tutto il complesso di significati impliciti della moda e di tutto quello che ne consegue). Quindi, c’è un senso in cui è lecito parlare della moda come di ciò che fornisce l’insieme di regole di codifica e decodifica dei segnali impostati su marcatori (cfr. 6) riconosciuti nell’onda corta: questo è ciò che va in voga nell’esibizione (cfr. 5).

3. Modelle e top model: le due autorità

Cathleen Naundorf, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Consigliamo Leggere il linguaggio della moda


La moda ha attirato studiosi (non troppi) per diverse ragioni ma, a mio parere, essa si travisa nel momento in cui non si tiene sufficientemente presente che la moda ha un obiettivo ristretto, che è quello di imporre un certo stile di vestiario ad un numero sufficientemente limitato di persone, vale a dire quelle che possono permettersi i capi della moda. Certo, poi questi hanno un ritorno sulla vita di tutte le persone economicamente capaci di comprarsi vestiti seguendo più o meno quello che credono gli interessi. Gli abiti della moda diventano ‘modelli di consumo di vestiario’ e, quindi, influenzano quelle persone che sono comunque sensibili al problema di come mostrare cosa con cosa nel modo appropriato, un insieme non equivalente e ben più ampio di quello delle persone che si interessano specificamente di moda.

I ‘modelli di consumo di vestiario’ seguono una catena di diffusione dell’informazione precisa: in primo luogo vengono prodotti, poi vengono indossati e infine vengono fotografati (riviste) o filmati (sfilate). Il vestito è solo una parte insignificante della moda come fenomeno mediatico di massa, su cui purtroppo non è lecito soffermarsi in questa sede, sebbene sia indubbiamente interessante scoprire i meccanismi più sottili di una simile industria culturale. In ogni caso, il passo che interessa a noi consiste nella base della moda, ovvero essa nasce nel momento in cui il vestito viene indossato. I modelli di vestiario vengono interpretati dalle modelle, che vengono rappresentate nelle riviste. L’abito, dunque, diventa così modello con interpretazione. L’abito da solo, soprattutto quando così sofisticato, non è interpretabile o non è infinitamente interpretabile. Serve un interprete che ti mostri come applicare le norme della moda nel modo giusto. A questo servono le modelle.

2. Onda lunga e onda corta: i due intervalli temporali della moda

Cathleen Naundorf, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Consigliamo Leggere il linguaggio della moda


L’onda lunga della moda impone il trend dell’evoluzione complessiva del vestiario. L’onda lunga, cioè, interviene sui singoli pezzi di vestiario solo in quanto essi sono legati da una visione unica che si applica al vestito. Ad esempio, la lunghezza della scollatura non è slegata dal resto dell’abito, così come la lunghezza e la tipologia della gonna (con pieghe o senza, a tubo o no, lunga o corta etc. vedi Barthes (1993)) varia in funzione della sua relazione con il resto dell’abito.

Quindi, rispetto al lungo periodo, considerare la variazione di un singolo elemento è ininfluente, perché la causa risiede nelle idee degli stilisti che si modificano solo di poco. Questo perché la componente soggettiva dello stilista è vincolata al concetto generale della categoria di abito che sta modificando: siamo vincolati ad usare certi tipi di abito in certi tipi di contesto, sicché la componente intersoggettiva, che sancisce le norme di utilizzo di abiti in contesti istituzionali, oppone un limite alla rivisitazione complessiva dell’abito da parte della soggettività dello stilista.

1. La moda come sistema complesso: normatività, prescrizione e descrizione

Cathleen Naundorf, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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La moda si configura come insieme di imperativi. Ad esempio, la prescrizione ‘usa i jeans slavati’ indica come ci si deve vestire, ma anche come giudicare il vestito degli altri. Sicché la moda è, tipicamente, un esempio di disciplina ambigua, in cui la prescrizione e la qualificazione seguono dallo stesso tipo di precetto. Ovvero, la formulazione della regola consente tanto la valutazione quanto la prescrizione. E non è un caso, infatti, che alcuni percepiscano la moda sia come una (imposizione) morale che come un sistema precetti pratici.

La descrizione nella moda, invece, è tipicamente l’identificazione di un modello che è anche un oggetto specifico: lo specifico capo di vestiario mostrato nella rivista non solo è un oggetto particolare, ma è anche il ‘modello’ di un concetto astratto di modo di vestire. Classicamente si considera il problema della rappresentazione di sé come qualcosa di codificato mediante regole che sono sia normative (sanciscono qualità) sia prescrittive (ti dicono cosa fare e come farlo).

Leggere il linguaggio della moda (P1)

Cathleen Naundorf, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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Introduzione e premesse

Fissiamo subito alcune premesse di questa analisi Leggere il linguaggio della moda: (a) essa ha una utilità prettamente descrittiva, non si impegna in una disamina morale di quanto viene analizzato ed ha, così, uno scopo puramente scientifico. Questa postilla e premessa generale ci scongiurerà da considerazioni eventuali di natura morale. Va detto che ciò che rientra nell’esibizione è un contenuto moralmente carico e passibile di una indagine morale, come implicitamente si può evincere da alcuni richiami kantiani. Ma non era questo il nostro scopo, perché su questo io penso che ciascuno debba essere libero di farsi una sua opinione. A condizione che, appunto, se ne faccia una.

Tre modelli di democrazia

democracy

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Abstract

In questo articolo proponiamo tre modelli di democrazia (il teorema della giuria di Condorcet, il teorema delle abilità diversificate e lo sperimentalismo di Dewey), enucleati in chiave epistemica. La sfida della democrazia alle altre forme di governo consiste anche, se non principalmente, nella sua maggiore efficienza nella capacità di produrre, disseminare e aggregare conoscenza. Su questo punto esiste ormai una letteratura filosofica variegata che nasce dai problemi dell’epistemologia sociale e della filosofia politica, inquadrata in un tentativo di superare certe questioni relativa alla teoria di John Rawls. La nostra analisi ricalca alcune parti di Anderson (2006), la quale propone queste tre possibili modellizzazioni, tre condizioni di valutazione dei modelli e anche alcune critiche.

Il problema della Self Knowledge – Una breve introduzione

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Consigliamo – A cura di Giangiuseppe Pili e l’Introduzione schematica all’epistemologia


Abstract

In questo breve articolo analizziamo l’overture al dibattito della self-knowledge, un problema antico quanto attuale. Due posizioni generali affrontano il problema da due punti di vista abbastanza diversi: gli internisti sostengono che la self knowledge sia fondata internisticamente sul soggetto, indipendentemente dalla sua storia causale; mentre gli esternisti rivendicano la centralità del ruolo causale e delle condizioni esterne al soggetto per l’attribuzione della self knowledge. Data l’ampiezza del dibattito e la complessità dei problemi considerati, in tangenza di tre discipline filosofiche piuttosto complesse (filosofia del linguaggio, filosofia della mente e epistemologia), invitiamo il lettore a procedere ad una ricerca approfondita ed autonoma.

Trash! – Una guida filosofica all’incategorizzabile

Trash

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Una delle attività più diffuse nell’era dei social, di internet e dei media della rete è la condivisione, diffusione e produzione di materiali comunemente qualificati come “trash”. Si intende, che senza gli spettatori, la produzione di simili materiali sarebbe ipso facto inutile. A differenza di un quadro di Goya, di un film di Orson Wells, che hanno un valore intrinseco, estetico, inestimabile, la categoria del trash ha senso solamente se c’è qualcuno che la guarda. E’ lo spettatore che conferisce in modo significativo la qualifica di “trash” a qualcosa. Su questo ci torneremo.

Prima di cominciare, vorrei chiarire il fatto che questo è uno studio filosofico, una analisi scientifica che non vuole prendere parte alla questione morale. E come tale, dunque, rifiuta ogni sua categorizzazione in tal senso. Sicché il lettore è avvisato: non troverà giudizi di valore e l’autore non si sente impegnato a dover eventualmente difendersi in tal senso, come si conviene ad una spassionata analisi filosofica.