Ci proponiamo di approfondire il pensiero di Carcaterra sulle norme costitutive, in rapporto ai performativi.
La discussione specifica sul tema delle norme costitutive è stata avviata dalle due monografie di Carcaterra Le normecostitutive, del 1974, e La forza costitutiva delle norme, del 1979. In questi due lavori, Carcaterra svolge una critica del modello prescrittivista.
Carissimi lettori e lettrici di Scuola Filosofica,
a breve il secondo appuntamento con i seminari di Scuola Filosofica all’Accademia d’arte di Cagliari con una novità: la partecipazione dell’editore “l’Universale” di Cagliari.
L’incontro, dal titolo “Storie del Novecento – Il mondo diviso tra destra e sinistra” si svolgerà il 29 febbraio presso il Lazzaretto di S. Elia a Cagliari a partire dalle ore 16 e vedrà la partecipazione di:
– Eleonora Todde (ricercatrice dell’Università di Cagliari)
[1]In astratto, l’efficacia di un principio si auto-conferma, e quindi appare se si manifesta come vigente, anche quando quel principio è adoperato per validare o invalidare norme secondarie in conflitto con quel principio. E’ questa funzione della validazione o dell’invalidazione l’essenza del principio su cui poggiano siffatte norme primarie, sicché si comprende il senso per il quale la realtà stessa della validazione o invalidazione, nel suo operare costante e concreto, conferma il principio e la ratio delle disposizioni in questione. Si tratta, essenzialmente, di metanorme, ossia di norme che si occupano di altre norme.
Occorre penetrare l’essenza del diritto, per comprendere e la ragione dell’estrinsecazione delle norme, di cui esso si compone. Per Cotta, il principio costitutivo del diritto, quale forma coesistenziale, è la regola[1]. La regola è presente anche in altre forme coesistenziali (si pensi al rapporto amicale, familiare o politico), ma nel rapporto giuridico essa è presente nella suo concetto più puro, esteso in tutte le direzioni. Il rapporto interpersonale assume la massima estensione e stabilità. Occorre esplicitare la distinzione tra giuridicità generica (esistono delle regole in altre forme della coesistenza, ma si rimane su un’indole prevalentemente formale, benché si ripercuota sull’autenticità della relazione) e la giuridicità specifica del diritto in sé. Quando di esamini la giuridicità in sé del diritto, la sua funzione propria è di realizzare la legalità universale, basata sul riconoscimento che il primo, elementare elemento di struttura del diritto è l’universalità degli uomini. L’analisi strutturale del diritto è confermata sia del sentire comune, sia della riflessione della filosofia classica del diritto. Il diritto ha una propria funzione, vale a dire di attuare la legalità universale secondo giustizia, superando la realtà del diritto degli Stati. L’analisi cottiana prende così le mosse dalla regola ma approda alla giustizia.
GIANNI e PINOTTO sono i protagonisti immaginari del libro La matematica in cucina [edizione Bollati Boringhieri 2004, ristampa 2013] scritto da Enrico Giusti, fisico di formazione e matematico di professione (laureato in fisica, è stato docente universitario di Analisi matematica e Storia delle matematiche, e ha collaborato con matematici del calibro di Ennio De Giorgi ed Enrico Bombieri). I nomi dei protagonisti del libro sono ispirati a quelli di un famoso duo comico statunitense venuto alla ribalta nel secolo scorso.
Fino a qui abbiamo visto che l’esperienza è il risultato della combinazione di dati immessi dallo spazio e dal tempo all’interno della nostra mente. Kant non avrebbe parlato di mente, ma fa capire l’idea. La domanda successiva, che è una delle direttive principali di tutto il pensiero kantiano applicato alla conoscenza, è relativa all’unità di questi dati di senso. Ovvero, la nostra esperienza ordinaria non è disgiunta per istante in entità individuali separate, come avrebbe voluto, o meglio, ritenuto la filosofia della mente elaborata da David Hume. Per Hume noi abbiamo solo dati di senso esperiti per ciascun istante. L’unità delle idee è dovuta a principi di aggregazione come somiglianza e continuità. Ma, obietterebbe Kant, che pure considerò Hume il filosofo che lo “svegliò dai dogmi della metafisica”, come è possibile allora che noi non abbiamo singole collezioni di dati di senso ma vere e proprie unità? La parola che usa Kant per indicare questa unità di dati di senso è “fenomeno”. Un fenomeno è qualsiasi cosa l’intelletto – la mente – riunisca in un’unità a partire dai dati di senso. Una palla è un fenomeno in questo senso: essa è una un’unità di dati di senso dove l’unità è data infatti non dai dati ma dalla mente – intelletto.
Molte volte facciamo coincidere con l’Amore un sentimento di proprietà e di appartenenza, saltando il livello della libertà che rappresenta il luogo stesso dove l’Amore vive e ha bisogno di vivere. L’eros vive al suo interno una condizione di continua ambiguità equivocando, all’interno della relazione etica come metafisica, tra l’immanenza e la trascendenza, passando dall’altruismo all’egoismo e rischiando continuamente di trasformare il desiderio metafisico, dell’invisibile, mistero in cui si racchiude l’enigma della femminilità, in bisogno fisico del visibile che si esprime nella voluttà e nel godimento. La partita dell’eros come relazione che mantiene la metafisicità, rischiando continuamente di perderla, viene giocata tutta nel desiderio dell’intimità erotica attraverso la ricerca della nudità senza profanazione.
Saponaro ci ha ricordato che l’astrattismo di Kandinsky e la fenomenologia di Husserl nascono più o meno negli stessi anni. Ma < come > si praticheranno le loro teorizzazioni? Per la fenomenologia di Husserl, se un certo uomo si relaziona col mondo, genericamente lo fa avendo coscienza < di > quello. Gli esempi sono molto immediati da capire. Io posso avere la coscienza < di > un tavolo, < di > un’anima, < di > un sogno, < di > un oggetto (tanto materiale quanto astratto), ecc… A Husserl interessa il “filtro” coscienziale. Fra il soggetto conoscente e l’ente conosciuto, sempre s’inserisce la preposizione semplice del < di >. E’ la caratteristica intenzionalità, che rientra nel metodo della fenomenologia. Ciò che meramente ci appare, “punta” alla sua oggettivizzazione nell’esteriorità. E’ una forma di posizionamento, da parte della coscienza. Husserl se ne serve per ricusare le teoretiche del passato. Non avviene la completa riduzione dell’oggetto da conoscere al soggetto che conosce. Ciò valeva per l’idealismo. Nemmeno avviene la mera adeguazione dell’intelletto all’esistenza d’un ente. Ciò valeva per il realismo. Husserl insomma cerca la novità d’una “terza via”, per l’apparenza dal sensibile all’ideale. Il suo < di > per l’intenzionalità è dialetticamente ri-movibile. L’oggetto non si fa bloccare da una sintesi idealistica, mentre il soggetto non si fa bloccare da un adeguamento realistico. Prima di razionalizzare tutto mediante la metafisica, conviene dunque posizionare come un certo uomo si relaziona col suo mondo di vita. L’esistenza appare fra i limiti dell’esteriorità. E’ la dimensione del < come > a consentire l’apparenza d’una sintetizzazione idealistica che s’adegui alla realtà.
Carissimi lettori e lettrici di Scuola Filosofica,
anche quest’anno si conferma la collaborazione tra il nostro blog e l’Accademia d’arte di Cagliari nell’organizzare un ciclo di seminari di argomento storico filosofico.
Ringraziamo l’Accademia e in particolare il docente di scrittura creativa Giorgio Binnella per la loro partecipazione all’iniziativa.
Si parte domenica 26 gennaio dalle ore 18 alle ore 20 con il seminario “Riflessioni filosofiche sul cinema di guerra – Capire la guerra attraverso il cinema”. Il seminario sarà tenuto dal prof. Giangiuseppe Pili all’Accademia d’arte di Cagliari presso il Lazzaretto di S. Elia a Cagliari.
Pervenire alla perfezione e quindi alla felicità attraverso la ragione
La felicità e perfezione sono due temi pervasivi della filosofia Occidentale e, da un certo punto di vista, essi sono i due obiettivi stessi della filosofia. Si può dire, infatti, che un certo modo di pensare la filosofia sia terminato nella biforcazione attuale di analitici e continentali che condividono un comune punto di vista: la filosofia non serve a portare alla felicità o alla perfezione. Si può, infatti, concludere che la filosofia contemporanea o, genericamente, post-classica è fondata proprio su questa diversione generale dalle fondamenta stesse della tradizione filosofica. Qualsiasi cosa la filosofia analitica e continentale siano, e si può discutere a lungo sulla loro natura, di sicuro esse non hanno come scopo la felicità o la perfezione di chi le segue e non hanno alcuna pretesa in tal senso. Questo non era il caso della filosofia dell’età classica, identificando proprio l’età classica della filosofia con il periodo in cui la filosofia Occidentale riteneva infatti che il supremo scopo del pensare fosse infatti quello di pervenire alla perfezione e quindi alla felicità attraverso la ragione.