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Categoria: Problemi e Paradossi Logici e Semantici

Opacità Referenziale – Possibile Non Assurdità Degli Enunciati Mooreani

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In questo post tratterò del tipo di enunciati definiti mooreani[1]. Tali enunciati sono composti da due parti congiunte da un connettivo logico: la prima parte (fattuale) enuncia che p; la seconda parte (soggettiva) afferma che il soggetto S non crede che p. Generalmente assumono la forma “p e non credo che p”, ad esempio “Piove e non credo che piova”.

Lo scopo che mi prefiggo in questo breve testo è quello di delineare alcuni specifici e semplici contesti linguistici ed epistemici nei quali è possibile emettere enunciati simili senza che si dia alcuna assurdità. Tale scopo è analogo a quello delle selfless assertions[2], ovvero delle particolari forme di asserzione in cui chi asserisce, per particolari ragioni, non crede a quanto sta asserendo.

Il paradosso meretricio

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Consigliamo I paradossi dalla A alla Z di Michael ClarkUn paradosso per lo storicismo


Problema: in una strada x ci sono n prostitute. Nella strada z perpendicolare a x, ci sono n – 1/2 prostitute. Nella strada y, dove y è parallela a x ci sono 0 prostitute. Perché le prostitute tendono a concentrarsi tutte in una o due strade al massimo pur lasciando tutte le altre immediatamente vicine vuote?

Il problema del paradosso meretricio nasce da una constatazione di fatto. Ho abitato in tre città diverse e ho avuto modo di vederne molte di più. Ma il risultato è sempre lo stesso. Che si passi in macchina o si passeggi a piedi, quando si conoscono ormai da un po’ le strade di una città, si scopre facilmente che le prostitute sono concentrate in una strada e poi si diradino al massimo in una o due ma non si spandano a macchia d’olio (come per certi versi sarebbe intuitivo aspettarsi). Tra l’altro si tratta di una constatazione comune.

Ho forti dubbi che ci sia una sorta di superorganizzazione del traffico, una sorta di rettiliana affiliazione internazionale generale delle signore (o signori), perciò la soluzione va cercata in altro. E sia detto per inciso che la stessa regola di massima concentrazione varrebbe anche nel caso delle case chiuse, in cui le lavoratrici si concentrano direttamente negli stabili e che le lascia libere dalle infinite malattie, tirannie e violenze del mondo della strada, la cui ingiustizia è almeno pari alla tristezza della loro condizione lavorativa. Perché nessun uomo di fede o laico può realmente pensare che sia accettabile avere delle giovani donne abbandonate al ciglio della strada piuttosto che con un tetto sulla testa. Perché se è vero che siamo tutti esseri umani e abbiamo tutti una dignità, allora ciò vale anche per chi è costretto ad usare il proprio corpo per guadagnare, quel corpo che altri usano quando e come vogliono e magari per provare ad essere felici… detto questo non mi sento in dovere di replicare a inutili commenti sull’argomento, nel caso strano in cui ce ne fossero. Chiedo ai lettori di portare pazienza, ma temo che non sia la sede giusta per inutili quanto sterili polemiche.

Un argomento per l’impensabilità della morte

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Se io penso me morto, allora non penso me morto. Perché penso. Se penso non posso pensare alla sospensione del pensiero, proprio perché sto pensando (un effetto collaterale della prova cartesiana dell’esistenza indubitabile del cogito). Se con “morte” intendo il mio “annullamento” allora la morte non la posso immaginare. Se con “morte” intendo “trasformazione materiale del mio corpo” allora sto limitando di molto questo annullamento. E allora l’unica conclusione coerente è ammettere che la morte è prospettabile ma non immaginabile. Io penso, infatti, che molte prospettive religiose si costituiscano proprio sul fatto che concepire sé come morti è impossibile logicamente e psicologicamente. In fondo, niente mi lascia supporre che io debba morire se non il fatto che gli altri muoiono.

Il paradosso di Berry e il paradosso di Richard: soluzioni per ciascuno

“Sia dato un linguaggio qualsiasi (ricordiamo, con un numero finito di caratteri). L’insieme di tutte le proposizioni simboliche con meno di 100 caratteri è finito. Di esse, alcune definiscono numeri naturali, come <<il numero che sommato a 5 fa 7>> (che ha 30 caratteri, inclusi gli spazi). Consideriamo l’insieme di tutte le proposizioni simboliche con meno di 100 caratteri che definiscono numeri naturali. Tale insieme è finito e definisce sempre un numero finito di numeri naturali. Sia m il più grande di tali numeri. Allora la proposizione <<il numero naturale successivo al più grande definibile con meno di 100 caratteri>> definisce il numero naturale m+1 e ha meno di 100 caratteri (per l’esattezza 80). Assurdo”. Esso è noto come “paradosso di Berry”, ma non si tratta davvero di un paradosso, se con tale termine intendiamo un assurdo inevitabile (che è ciò che abbiamo convenuto). Soffermiamoci sull’affermazione “tale insieme è finito e definisce sempre un numero finito di numeri naturali”. Cosa si intende qui per “definisce”? Se il linguaggio è semantico può essere capace di definire con poche frasi un numero anche infinito di enti matematici; un esempio si ha nella stessa definizione di un qualsiasi Sistema assiomatico formale (non banale), in cui, servendosi di metamatematica, vengono definiti infinite proposizioni e teoremi. Gli stessi, infiniti, numeri naturali sono, evidentemente, definiti mediante un numero finito di caratteri; si ammetterà che è cosí se si ammette che è possibile definirli! Ci si sta riferendo, dunque, a un tipo limitato di “definizione”, un tipo in cui non sono ammesse “circolarità” o retrospezioni. L’ultima frase del “paradosso”, invece, definisce un numero usando una retrospezione, cioè con criterio differente. Si confondono, pertanto, diversi livelli d’interpretazione. Un esempio concreto chiarirà del tutto la questione. Se si usano i caratteri alfa-numerici, le possibili sequenze ordinate di tali simboli con una lunghezza minore di 100 caratteri sono tantissime, ma finite. Supponiamo di voler definire, mediante alcune di tali combinazioni, un numero finito di numeri naturali. Il criterio per farlo può variare ad arbitrio, dipendendo dalla lingua usata e/o da ogni altra nostra preferenza. Per esempio, è probabile che si decida di assegnare ogni stringa del tipo “00…01” al numero 1, cioè al successore di 0. Anche “il successore di 0″, se siamo italiani, sarà probabilmente considerata una definizione di 1. Uno stesso numero, dunque, potrà avere più di una definizione; mentre, per semplicità, possiamo stabilire che ogni proposizione definisca al più un solo numero naturale[1]. Immaginando di passare in rassegna tutte le possibili combinazioni, è del tutto probabile che ne scarteremo parecchie: alcune, in quanto prive di un significato convenuto (come <<ahT_l&Kak>>), altre perché si riterrà che non definiscono numeri naturali (come <<il gatto non ha digerito il topo>>). Ovviamente, nulla ci vieta di convenire che certe stringhe più o meno strane, come <<il mio numero fortunato>> o <<il numero dei vizi capitali>> definiscano certi numeri naturali. Prima o poi, ci imbatteremo nella misteriosa sequenza: <<il numero naturale successivo al più grande definibile con meno di 100 caratteri”>>. Che fare? Ammetteremo che Antonio decida di non associarvi alcun numero, mentre Francesca, forse in base a certi studi, la considererà la definizione di un determinato naturale, per esempio di 239987. Terminato il nostro lavoro, riconsideriamo la frase convenendo che il suo termine “definibile” si riferisca, appunto, al nostro lungo e meticoloso lavoro. Se si ammette così, essa definisce adesso un indiscusso naturale, sia per Antonio che per Francesca. Il punto fondamentale è che, per entrambi, la frase possiede ora un valore semantico differente da quello prima considerato: infatti Antonio non vi aveva associato alcun numero, mentre Francesca un numero che, come si può immediatamente riconoscere, non può essere lo stesso. Per entrambi, non c’è modo di correggere le convenzioni in modo da far coincidere i due numeri, ovvero i due diversi valori semantici.

Il mistero dei calzini spaiati

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E’ possibile spiegare perché i calzini sono spesso spaiati? Noi abbiamo, forse, trovato la risposta.

Ho scoperto che in molte famiglie (la mia inclusa) si vive un annoso problema casalingo: i calzini sono spesso spaiati.

Perché?
La domanda non sarebbe, di per sé, particolarmente divertente, se non fosse che sembra al quanto innaturale avere i calzini spaiati. Dopo tutto, essi sono sempre venduti a coppie identiche, sicché al massimo, non si dovrebbe avere che un calzino singolo, qualora se ne perda fortuitamente uno. Ma allora perché sono così spesso spaiati? I rimedi sono generalmente tre: comprare le calze tutte uguali, abituarsi a usare calzini spaiati come se non lo fossero, oppure quello di enumerare prima e dopo il lavaggio le coppie.

The radical legalist paradox. The Sabatini’s paradox

We are going to show a paradox, which emerges from the position of the “radical legalist”. The core of the position is sustained from the conviction that the solution of moral problems consists in the application of legal laws, instead of an analysis of the moral terms. In other words, the moral laws doesn’t exist and, so, the moral terms hasn’t any significance. The position could be more precise: the principle idea is that the moral problems are unsolvable for a rational analysis, postulating that that analysis is impossible for the reason that is denied the existence of any rational law, both strong and weak formulation. The strong formulation of rational morality says that the reason can formulate valid moral laws; the weak formulation defend the idea that we can find an agreement (may be a reasonable agreement, may be not the expression of the reason in a strong sense), if the agreement is possible, then we can trust that there is a solution of the problem, may be not only one, but at least one. 

Un paradosso per lo storicismo – Il futuro è imprevedibile

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Consigliamo – Popper e le fonti della conoscenza di Francesco Margoni


Argomento storicista

Tesi – Storicismo 1 (T1): l’evoluzione sociale è prevedibile (ogni evento sociale E vale la proprietà essere prevedibile per un soggetto S, P(E,S)).

Tesi – Storicismo 2 (T2): posto T1, allora il futuro sociale al tempo t2 è prevedibile al soggetto S sulla base delle conoscenze sociali disponibili a S al tempo t1, dove il tempo t1 è precedente al tempo t2.

Tesi – Storicismo 3 (T3): per generalizzazione della T2, ogni evento sociale E al tempo t2 è prevedibile per ogni S solo se S al tempo t1 possiede le conoscenze necessarie e sufficienti per prevedere lo sviluppo degli eventi sociali.

Tesi – Storicismo 4 (T4): per (T2) e (T3), il futuro sociale è prevedibile per il soggetto S al momento presente.

Il paradosso dell’ultima spiaggia, ovvero dell’argomento ultimo

Molto spesso capita di ritrovarsi in disaccordo con il proprio partner. Di fronte all’analisi, uno dei due può capitolare con un ultimo straordinario argomento: “hai ragione, ma sono fatto così”. Di fronte a questo controargomento molto spesso ci si sente con le spalle al muro ed è, in vero, l’ultima spiaggia per chi lo pronuncia. Abbiamo detto che si tratta di un “controargomento” perché, in realtà, è una formulazione di una posizione che nega la possibilità di una discussione ulteriore per due ragioni (a) riconosce le ragioni dell’altro rispetto alle proprie (dunque, non c’è più bisogno di continuare a discutere) e (b) ciò nonostante afferma che tali ragioni non sostituiranno la propria precedente convinzione. L’argomento nasconde, naturalmente, una sfida implicita: se mi vuoi, devi prendermi così come sono, anche quando non ho ragione, so di non averla e non farò nulla per modificare il mio comportamento. Chi proferisce una frase del genere è all’ultima spiaggia perché formula un argomento che nega qualunque altra possibilità di replica perché sostiene la validità della posizione dell’avversario e, tuttavia, non la riconosce sufficiente per cambiare idea o atteggiamento. Da un punto di vista più rigoroso, si potrebbe tradurre la frase come segue: io possiedo una credenza a tale che essa ha un certo peso all’interno delle credenze che reputo importanti; la tua credenza non a risulta vera o valida e squalifica la mia precedente credenza a; ciò non di meno, la forza della credenza a è tale per cui la manterrò come se fosse vera o valida, così che il mio comportamento, per quanto irragionevole o sbagliato, sarà reiterato sulla base della non cancellazione della credenza a.

Il paradosso del legalista radicale o il paradosso di Sabatini

Presentiamo un paradosso emerso dalla posizione di chi sostiene che per dirimere le questioni umane sia sufficiente adottare il codice legale, sia esso civile o penale, prescindendo da un’accurata analisi a livello morale. L’idea è quella che, stando alle controversie sui problemi morali, essi risultano insolubili sul piano della semplice analisi razionale, postulando che tale analisi sia impossibile per via del fatto che non sussiste alcuna ragione morale (sia essa intesa in modo forte, come possibilità di formulare leggi pratiche morali, sia essa intesa in modo meno forte, come possibilità di trovare accordo perché la morale è fondata su basi irrazionali). L’argomento può essere presentato come segue:

Il legalista nudo e puro riconosce la validità della seguente frase (a):

(a) Ogni legge vale solo se è inscritta nel codice legale di uno Stato.