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Categoria: I Grandi Temi della Filosofia

Lo “stream of consciousness” che s’aggrappa alla tautologia

A partire dal 1960, Goodman s’allontana dai principi teorici del positivismo. Egli dunque abbraccerà il nominalismo ed il relativismo. La conoscenza né rispecchierà la realtà rielaborerà dei “dati dall’immediato”. L’uomo interagisce col suo mondo tramite i sistemi (parametri) simbolici. Questi ci permetteranno d’imbastire solo certe “descrizioni”, senza una verità assoluta. Goodman sostiene (seguendo la Gestalt di Arnheim e Gombrich) che la percezione non è passiva, bensì un’attività. Si può citare ad esempio la visione. L’occhio non sarà mai “innocente”[1]. Sia il modo in cui vediamo sia semplicemente ciò che vediamo cambia, in rapporto alla nostra situazione d’esperienza visiva (così per un interesse, una predisposizione, un’inclinazione ecc…). Oltre al “mito” del dato assoluto, cade pure il “mito” dell’arte solamente imitativa. Goodman ha un approccio estetico che risentirà del funzionalismo e dell’anti-essenzialismo. A lui interessa unicamente il modo in cui l’arte accade, in qualsivoglia epoca. Di certo, un oggetto per diventare estetico dovrà espletare una funzione di tipo simbolico[2]. Si consideri un determinato periodo. Là, qualcosa potrà funzionare come arte… Ma non è detto che ciò valga anche per il periodo immediatamente successivo. Dunque rimarrà soltanto lo storicismo? Forse, bisogna intervallare il modo tramite cui l’arte accade, rispetto al suo simbolismo. Tale percezione aiuterebbe a percepire meglio le variazioni dell’estetica, sotto i corsi e ricorsi cari allo storicismo.

Ontology as Systematic Classification System

Personal observations and understanding of realist applied ontology


Abstract

The paper is about my observations and notes on applied ontology as systematic classification systems. The post explores what an ontology is, what is aimed for, how it shaped, what is its philosophical foundation, why this foundation is compatible with multiple philosophical positions. Inside the document, digression and further specifications and arguments are drawn to arrive at a deeper understanding of several multiple facets of the complex universe called ‘applied ontology.’ This is the second step toward the elaboration of a consistent ontology for my family enterprise, which will ultimately be used to ground its expansion in the market. Even though practically oriented, the observations can turn to be useful for all the researchers and scholars who are struggling to understand what an ontology is. That is to say to those who are not driven by a philosophical perspective (only). This is a working progress, and I will be ready to reply to any inquiring, comments, and questions from the interested reader.

Capire che cos’è il capitalismo

Trougnouf / CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)

Cosa è il capitalismo? Cercherò di scrivere questo breve testo nel modo più semplice e chiaro che mi è possibile. Infatti, credo nella necessità di far chiarezza per chi ha l’interiore necessità di capire e non di giudicare senza capire. Chi pensa di capire qualcosa senza entrare nel merito o è un ingenuo o è un illuso e in entrambi i casi non sta impiegando al meglio la sua ragione. A chi crede che basta sentire o emozionarsi per poter aver voce in capitolo ribattiamo che, se poi lui o lei tenta di articolare asserzioni motivate, allora ha già ceduto le armi alla ragione. Quindi qui offriamo ragioni e argomenti e chi cerca qualcosa di diverso, lui o lei è invitato a pascersi della propria sicurezza non garantita da solidi argomenti in altri luoghi del web, che sicuramente fanno meglio per lei o lui. Credendo fermamente nell’idea che nessuno meglio della persona sa cosa è meglio per lei, e se il suo meglio consiste nell’emozionarsi a costo zero, bene, qui ci sarà solo l’emozione del seguire un ragionamento. Con questa essenziale considerazione in mente, proseguo senza ulteriori indugi.

Chiarimenti sul liberalismo – Parte 2

Per capire meglio la natura del pensiero liberale a seguito dei due articoli sull’efficienza morale e sulla valutazione morale delle istituzioni pubbliche


Queste note sono nate da una bella conversazione con un nostro interessato lettore, che ha posto molte obiezioni pertinenti e classiche al pensiero liberale. Vivendo in un periodo che dice di essere liberale ma invece è illiberale alla radice, tali obiezioni sono interessanti per qualunque lettore di SF. Riporto solo le mie risposte.

Liberalismo, causalità e determinismo – Una difesa
Tre osservazioni. (a) Il liberalismo è compatibile con il determinismo forte – come lei suggerisce. Per il liberale ciò che conta è la possibilità d’azione in conformità con l’elaborazione dei valori a seconda di quanto uno crede o pensa. Questo l’ho esposto con molta chiarezza essendo io stesso un causalista (cioè ritiene che il libero arbitrio è un’idea filosofica errata). Questo è stato esplicitamente scritto dall’articolo “Efficienza come precondizione e valore morale“. Lì la posizione va proprio in linea con quelle evidenze empiriche che sembrano mostrare che il libero arbitrio non è in linea con le ultime ricerche scientifiche. (b) Le evidenze empiriche non eliminano la validità di alternative in questo senso. Primo, il libero arbitrio – come sosteneva Kant che era in parte causalista anche lui – è una condizione a priori e quindi non validabile empiricamente tanto è che Kant stesso lo pone come principio morale ma come indimostrabile – né sconfiggibile (come antinomia della ragione). Secondo, le evidenze scientifiche non dimostrano niente perché non sono appunto relative alle scienze dimostrative ma empiriche e, in quanto tali, suscettibili di revisione empirica. Ma in ogni caso, una tesi metafisica come il libero arbitrio rimane valida (difendibile) anche in presenza di limiti. Inoltre, il fatto solo di dire che siamo animali sociali – e quindi limitati nell’azione da elementi esterni – non significa niente se non che esistono limiti esterni. Nessun liberale direbbe il contrario. (c) Siamo passati da una analisi del liberalismo ad una analisi della libertà. Tornando al liberalismo, di nuovo, non c’è scritto da nessuna parte che il soggetto razionale è un solipsista morale. Inoltre, ma una visione alternativa in cui tutti è riposto nei fattori esterni non aiuta neppure le visioni contrarie. Sostenendo quanto sostiene, semplicemente qualsiasi visione politica diventa priva di responsabilità individuale che ricade nel paradosso che allora davvero nulla dipendendo dall’individuo tutto dipende da un non conclamato gruppo. In poche parole, una persona non risponde a me come libero cittadino razionale. Costui non esiste. Costui è un’istanza di un gruppo che si “materializza” (vallo a capire in che modo) e che mi scrive senza alcuna razionalità personale per mezzo di restrizioni naturali e sociali. Come dovrei prendere un’entità siffatta? Dal mio punto di vista, dovrei dire che non piacendo rispondere ad una macchina preimpostata non dovrei neanche rispondere. Invece, io credo che costui ha un suo punto di vista, che probabilmente non condivido ma che ha tutta la libertà e liceità di affermarlo e io ho la scelta di replicare o no. Siccome credo nel libero mercato delle idee e nel fatto che bisogna discutere per migliorare io e il lettore, rispondo supponendo che chi mi scrive sia un individuo le cui azioni sono sue in senso nitido – causalista o non causalista – e che costui è responsabile di esse. La sua storia personale, la sua appartenenza sociale (le varie, dalla famiglia, al rione alla città etc.) non mi interessano perché esse non eliminano la sua individualità e il fatto che costui è libero di causare il mondo in tal modo che io devo leggere e scrivere per dire il mio punto di vista.

Chiarimenti sul liberalismo – Parte 1

Per capire meglio la natura del pensiero liberale a seguito dei due articoli sull’efficienza morale e sulla valutazione morale delle istituzioni pubbliche


Queste note sono nate da una bella conversazione con un nostro interessato lettore, che ha posto molte obiezioni pertinenti e classiche al pensiero liberale. Vivendo in un periodo che dice di essere liberale ma invece è illiberale alla radice, tali obiezioni sono interessanti per qualunque lettore di SF. Riporto solo le mie risposte.

Military virtues – An individual perspective – 3

By Ssolbergj – The vexilloid of the Roman Empire

Always keeping in mind the importance of the classical period of Roman history, Vegetius suggests that the best soldiers are peasants in peace: they are more accustomed to the harsh reality of hard work for surviving, to the difficulties of a merciless and uncomfortable life. They are also well-motivated people not to die because they have a lot to lose. Even if it was not the subject of (fairly recent) studies, it was already clear in the past that humans considers the fear of loosing more relevant for making decision than betting to get something more. One strives for the defense of what already owns, rather than the love of risk for something better. According to the studies of neuroeconomics, this is true for a ratio of 2/1, so that peasants already have several virtues useful from a military point of view.

L’efficienza è un valore morale

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/b3/Increased_Efficiency_TEXT4.png

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Metaefficienza ed efficienza come precondizione e condizione dell’agire morale

1. Introduzione

L’efficienza non è spesso avvocata nel novero dei valori morali fondativi come, ad esempio, il dovere verso se stessi o il dovere verso gli altri. A chi sposa una certa religione, al dovere verso sé e gli altri (per altro comandati dall’assiologia religiosa quasi universalmente – per quanto ne sappia), si deve aggiungere il dovere verso la divinità. Dato che quest’ultimo dipende intrinsecamente da una visione religiosa di sfondo – quale che essa sia – non lo considereremo al pari del dovere verso se stesso e verso gli altri per la semplice ragione che essa non è parimenti universale rispetto alle possibili declinazioni della morale. Intanto, qui con “morale” intenderemo un insieme di principi che fondano i concetti stessi di “dovere verso se stessi” e “dovere verso gli altri”. Non ha qui importanza la distinzione tra approcci normativi o approcci descrittivi all’etica in quanto qui vogliamo solamente fissare un punto che, a nostro giudizio, risulta piuttosto oscurato, ovvero che se una persona intende sviluppare un atteggiamento etico di qualche sorta – di qualunque essa sia – l’efficienza deve necessariamente rientrare come valore derivato del suo stesso approccio.

Assonanze tra Hans Kelsen e David Hume

https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Hans_Kelsen_(Nr._17)_-_Bust_in_the_Arkadenhof,_University_of_Vienna_-_0291.jpg

Hans Kelsen fu uno dei più grandi giuristi del novecento e fonda la sua “teoria pura del diritto” su un fine piuttosto preciso: chiarificare il ruolo del diritto, riportarlo alla luce al di fuori di filtri di scienze al diritto estranee. Questo fine può essere raggiunto solo specificando quale è l’ambito d’indagine della giurisprudenza e quali siano i limiti del diritto stesso. Il problema maggiore della scienza del diritto è quello di riuscire a separarsi da tutte le altre scienze a cui, spesso, i giuristi fanno appello. Il diritto deve essere analizzato di fronte a se stesso e null’altro. La questione si presenta secondo diverse angolature, a seconda del rapporto di dipendenza del diritto con altre concezioni a sé estrinseche: la scienza della natura, la morale e la religione.

Vegetius and the principles of war – 2

Vegetius’ analysis is grounded on three main assumptions. They are the conditions to define a good army:

(EB) An army is good if and only if

(a) is organized rationally,

(b) each unit is efficient in relation to its role,

(c) is able to have sufficient means to act.

Points (a) and (b) are poorly formulated because they already imply and require a quality assessment, which makes the Vegetius’ definition slightly circular – it implies already an account of what a good army is even though he is explaining exactly that point. However, at least in the first glance, these principles immediately able to be grasped by anyone who is not a philosopher who naturally needs more rigor. In any case, let’s eliminate the problematic terms (“rational” and “efficient”) to obtain greater clarity regarding our topic:

The Art of War – Publio Flavio Vegezio Renato – 1

yeowatzup / CC BY (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)

The Art of War (De rei militaris or Epitoma de rei militaris) is a classic of war studies. It has a particular descriptive value and not strictly strategic, that is, not so much focused on a normative dimension (principles of war and what I’ve called pure theory of war). Publio Flavio Vegezio Renato (from now only Vegetius, as it is universally known in English) is not substantially interested in general and strategic elements of war and “military art”. Therefore, he is not so much interested in what we would say today the part of war most connected with the state politics (or an empire) or concerning the nature of the strategic planning of the military campaign. Rather, he is a historian and tactician of the classical Roman era. Let it be said straight away that the Vegetius’ Art of the war is not a text written in the Rome’s Republican period but during the epigonic phase of the empire (4th century AD). The influence of the classical Roman period (understood in the period between the monarchic and the republican period up to Augustus included in this broad concept of Latin classicism) extends for all the pages of the work of Vegetius. He was far by considering the Roman imperial mandate as ended with the center of gravitation of civilization. He tries to find the reasons why the ancient Roman armies had made the city the center of the known world (by the Romans).