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Categoria: I Grandi Temi della Filosofia

Contro le critiche di Searl e Putnam alla teoria della linguistica generativotrasformazionale di Chomsky

Σ, retouched by Wugapodes, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

I limiti della teoria della linguistica generativo-trasformazionale ideata da Noam Chomsky sono piuttosto evidenti se rapportati alle idee della sociolinguistica che hanno preso piede nella società moderna, teorie che possono prescindere dall’universalità di Uriel Weinrich nel saggio Languages in contact del 1953.

Il presente saggio si premura di ipotizzare come le lingue siano costantemente in contatto l’una con l’altra nel loro dinamismo, un principio che è stato presentato sotto il nome di Teoria delle onde per spiegare come il contatto tra due o più codici linguistici sia la base delle mutazioni fonomorfologiche accadute in fase di cosiddetta grammatica storica. La vicinanza temporale delle teorie può renderle benissimo una l’ampliamento dell’altra, non vi è dubbio che la teoria di Noam Chomsky sia in determinati punti piuttosto sbrigativa e, per certi versi, inconcludente. Partendo dal presupposto che la teoria della linguistica generativo-trasformazionale di Chomsky si fondi sull’idea che il livello fondamentale di articolazione del linguaggio a finalità comunicative sia la sintassi, è superfluo asserire che la mancanza di considerazione dei livelli di semantica e pragmatica crei delle lacune che richiedono di essere colmate. E sebbene Chomsky, nella formulazione della propria teoria, non abbia tenuto in conto queste lacune, in fase di analisi sono assolutamente non trascurabili.

La macellazione dell’arte che “maschera” la monumentalità della filosofia

Per il filosofo Deleuze, tanto l’arte quanto la musica non ricercherebbero l’invenzione d’una forma, bensì la captazione d’una forza. Certo il fenomeno estetico ha una qualità riproduttiva, ma nel complesso ci espone solo l’intensità della sua rappresentazione. Di conseguenza, per Deleuze in linea generale nessun’arte è unicamente figurativa. La stessa idea della rappresentazione diventa subito mutevole. L’arte deve darci una percezione di sé in via dinamica, così pare impossibile coglierne dei “limiti”, la cui accettazione è necessaria per postulare ogni tipo di configurazione. Klee ha sostenuto che la sua pittura “non rende il visibile, ma rende visibile”.

Riflessioni sulla felicità – La passione, i vizi umani e le virtù umane secondo Aristotele, Tommaso d’Aquino e Spinoza

Abstact: Lo scopo di questo articolo è focalizzare in poche pagine alcune concezioni tradizionali sulla felicità portandone all’evidenza gli aspetti essenziali emergenti dal complesso, articolato e millenario sistema concettuale che le caratterizza. Un’interpretazione dell’etica svolta sulla base delle riflessioni di Aristotele, Tommaso d’Aquino e Baruch Spinoza, con il fine di rendere chiara e fruibile la ratio che definisce il concetto tradizionale di felicità, per mostrarne la concretezza e l’attualità anche tramite esempi. Il punto di partenza è l’Etica Nicomachea di Aristotele, scelta per la sua caratteristica di proporre un concetto di felicità concreto e alla portata della vita reale, rispettoso nei confronti del gioco delle passioni, dell’amicizia, della misura delle capacità personali e della disposizione di ogni singolo nell’orientamento etico. Ho voluto accompagnare i punti salienti dell’etica aristotelica con le spiegazioni del più grande interprete medievale del filosofo di Stagira: Tommaso d’Aquino. Il santo ci offre un quadro estremamente sintetico, che ha introdotto con una lucidità senza precedenti nel cuore della Chiesa Cattolica e nella storia medievale la filosofia dello Stagirita e la suddivisione delle virtù proposta da Platone, fornendo anche una descrizione altrettanto chiara e sintetica del loro contrario, i vizi. Nonostante le differenze essenziali rispetto ai filosofi citati, ho voluto mettere in relazione ad essi Spinoza, un filosofo moderno, perchè ha sottolineato l’importanza di comprendere profondamente le passioni nel perseguire la felicità e ne ha mostrato quindi la logica.

Opacità Referenziale – Possibile Non Assurdità Degli Enunciati Mooreani

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In questo post tratterò del tipo di enunciati definiti mooreani[1]. Tali enunciati sono composti da due parti congiunte da un connettivo logico: la prima parte (fattuale) enuncia che p; la seconda parte (soggettiva) afferma che il soggetto S non crede che p. Generalmente assumono la forma “p e non credo che p”, ad esempio “Piove e non credo che piova”.

Lo scopo che mi prefiggo in questo breve testo è quello di delineare alcuni specifici e semplici contesti linguistici ed epistemici nei quali è possibile emettere enunciati simili senza che si dia alcuna assurdità. Tale scopo è analogo a quello delle selfless assertions[2], ovvero delle particolari forme di asserzione in cui chi asserisce, per particolari ragioni, non crede a quanto sta asserendo.

Sul Valore della Filosofia – Bertrand Russell

https://en.wikipedia.org/wiki/File:Bertrand_Russell_1957.jpg

Introduzione

In questo breve testo ho pensato di toccare un argomento che chiude perfettamente un anno denso, come lo sono tutti gli anni: iperdensi. [1] Ora, sebbene ci siano e possano essere molti argomenti a favore dell’esistenza della filosofia, questo è quello di Bertrand Russell.

Sebbene Russell abbia toccato questo argomento in modo diverso in tempi e scopi diversi, ricostruirò il suo argomento così come lo tratteggia nel suo testo “Sul valore della filosofia”. [2] È un breve saggio, scritto magnificamente tanto quanto può essere stimolante. Bello e rinvigorente, come verosimilmente non lo sono i pilastri della filosofia analitica dei nostri giorni – e si può sostenere che, in effetti, Russell qui è lontano dall’essere un filosofo analitico vero e proprio. Comunque sia, l’argomento si mostrerà per quello che è, sia esso appropriato o inappropriato, solo bello o anche vero. Ricordare che la veridicità ultima è qualcosa di impossibile in filosofia, come dice esplicitamente Russell, è ancora la sua formulazione di un ideale razionale prezioso. Vale la pena leggere questo testo dopo più di cento anni? Vediamo.

Platone e la coralità fra le Idee in pre-costruzione della terraferma

Nel Timeo di Platone, Socrate dichiara di non aver nulla da commentare, preferendo lo starsene in ascolto degli altri. Possiamo immaginare che egli voglia ironizzare… Platone introduce la figura del demiurgo, il quale plasma un “ricettacolo” di materia casuale (o chora) guardando al modello universale delle idee. C’è dunque la dialettica d’una trascrizione? Socrate ha ironizzato credendosi un “ricettacolo” in miniatura, prima di “plasmare” le proprie confutazioni. Per Derrida, esisterebbe un “ricettacolo” delle pre-comprensioni linguistiche. Qualcosa che avvii alle strategie di comunicazione[1]. E’ anche il “ricettacolo” della contestualità, caricandovi una spazialità decostruttivistica. Se il tempo funge da immagine mobile per l’eternità, quello “si plasma” nel vagheggiamento del presente. Ci sono le arti molto corali, come l’architettura e la musica. Filtrate sul Timeo di Platone, entrambe non dovrebbero apparire né intelligibili né sensibili, bensì contestuali nella “trascrizione” dalle idee al reale. Nietzsche propende decisamente per la musica, la quale ci libera in un coinvolgimento dell’invisibile[2].

La Calda Geometria Dell’amore Alchemico

Un “calor di gallina” alchemico che la scienza matematica e fisica non percepisce ancora


Perché la geometria è spesso descritta come fredda e arida? La ragione è perché è incapace di descrivere la forma di una nuvola, di una montagna, di una costa o di un albero. Le nuvole non sono sfere, le montagne non sono coni, le coste non sono cerchi, e la corteccia non è liscia, né il lampo viaggia in linea retta.” (Benoit B. Mandelbrot).

Nel 1993 è stato conferito a Mandelbrot il prestigioso Premio Wolf per la Fisica, “per aver trasformato la nostra visione della natura“. Come egli scrive, il frattale è una risposta all’inadeguatezza della geometria classica (detta euclidea), nel descrivere la natura. Tuttavia Mandelbrot, per quanto sia stato un prestigioso fisico, riconosciuto con l’onoris causa in numerose università del mondo, aveva trascurato di approfondire la semplice matematica della sezione aurea, la stessa che informa la natura da lui esplorata con la geometria dei frattali.

Ed ecco che oggi un semplice dilettante della matematica in me, preso per la geometria della sezione aurea, trova il modo di infondere quel calore che sembrava mancare per assimilarla alla natura, con una nuova visione alla radice della geometria da cui si ricava il magico numero irrazionale di 1,618…, il rapporto aureo. Vedremo che è l’alchimia a far da madrina a questa nuova visione geometrica da cui scaturisce il magico calore che, a Benoit B. Mandelbrot, parve mancare. Il “calor di gallina“, gli alchimisti lo definiscono, il magico “fuoco” appena tenue che occorre per covare l’uovo filosofico da cui nasce il Rebis alchemico. Non a caso perché si tratta di una colomba bianca, altro simbolo che l’assimila alla natura.

«L’alchimista doveva racchiudere ermeticamente la materia prima della sua opera in un vaso e quindi, per farla passare dallo stato vile detto “del piombo” a quello sublime “dell’oro”, doveva sottoporla all’azione di un fuoco misterioso. Ebbene, molti testi denominano il vaso alchemico “Uovo filosofico”, mentre l’Athanor, il “forno filosofico” dentro il quale l’alchimista “cuoceva” il vaso alchemico, era anche detto “nido” o “casa del pollo”.

The Principle of Transposition – The Untold Story about History

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  1. Introduction

Although one can dislike the philosophy of history as a kind of bad surrogate for something else, it is curiously one of those areas of thought in which it is impossible not to think sometimes.[1] Most often than not, the philosophy of history is a comment on the margins of something considered more important, such as a particular set of principles assumed as meaningful by a person (character in Kantian terms) or by a group of people often not randomly chosen (ideology in my terms, religions in others’.) However, human history, as part of the total history of the universe of which is a tiny and almost insignificant subset, strikes for recurrent patterns which can be characterized as emerging properties. One of those is being characterized by actions and words about those actions. Human history is a combination of actions and stories about those actions.

Il Demiurgo di Platone ha l’Idea di Artisticità sui numeri idealmente contratti

Per Platone, accade che le cose sensibili partecipano delle loro idee. Il nostro mondo è comunque finito, per cui potrà soltanto tendere ad universalizzarsi. Nell’esperienza quotidiana, una forma si percepisce alla “compartecipazione” dei propri limiti. Ma sarà un’idealità relativa allo spazio ed al tempo, mentre si dovrà presupporre l’idealità… per l’idealità relativa allo spazio ed al tempo. Allora Platone ricorre alla matematica. In quella, per esempio le relazioni d’uguaglianza ci appaiono sul serio perfette. E’ una compartecipazione, fra i “limiti” dei numeri, che immediatamente si svincola dallo spazio e dal tempo[1]. Dunque la forma dell’uguale sembra la più “consigliabile” per aiutarci a percepire l’universalizzazione, che in se stessa dialetticamente non può darsi senza postulare pure la particolarizzazione. Se le idee sono la causa delle cose sensibili, le seconde ovviamente derivano dalle prime. Allora Platone immagina di togliere lo spazio ed il tempo. Nell’eternità, le singole idee saranno sempre uguali a se stesse. Qualcosa da percepire comunque in via di derivazione, ma solo per la necessità dialettica che un universale postuli un particolare. Le idee platoniche non sarebbero completamente staccate dal mondo materiale. Prima, bisognerà che percepiamo l’eternità del loro divenire[2].

La Costituzione estetica al genitivo impolitico d’un Potremmo

Da Heidegger, il Destino della Metafisica Occidentale non sembra tanto l’aver “ridotto” l’Essere ad un ente particolare. Questo identificherà l’idea di Platone, il motore immobile di Aristotele, la res cogitans di Cartesio ecc… Piuttosto, il Destino della Metafisica Occidentale si compirebbe avendo “esagerato” l’Essere. Servirà “caricarvi” il potere d’un ente particolare, ed essenzialmente per lo strutturalismo in politica. Heidegger menziona il “mistero” d’un cammino verso il linguaggio. Forse egli ci chiede di rimpiazzare la politica, e mediante l’estetologia. Solo quest’ultima è percepibile mettendo la creatività prima della libertà. Precisamente, l’estetologia vale nella sua formatività. La creatività presuppone il potremmo, per cui uno si limita da solo, verso un servizio agli Altri, senza la necessità dell’autogiustificazione (mediante la “banalità” d’un potere).

Da Heidegger, ci ricordiamo la dialettica fra il Welt e la Erde. Il primo identificherà il Mondo (per il concettualismo del potere); la seconda rinvierà alla Terra (da un “lirismo” del potremmo)[1]. Forse, l’ontologismo di Heidegger va filtrato tramite il vitalismo di Deleuze. Se la filosofia è creazione di concettualismi “muscolari”, alla “misteriosa” e “lirica” Erde s’allaccia una “non più meccanica” de-territorializzazione[2]. Il cammino verso il linguaggio di Heidegger diventa la perdita del presupposto plato-hobbesiano per cui l’uomo deve governarsi solo tramite la politica. Qualcosa da percepire in chiave estet-ontologica. Se i concetti per Deleuze sono agonistici, giacché quelli “s’allargano” gli uni sugli altri, allora bisognerebbe “svelare” un Destino della Generazione Metafisica, tramite dei “parti” concettuali(stici).