Press "Enter" to skip to content

Categoria: I Grandi Temi della Filosofia

Il pieno e il vuoto – Il sesto capitolo de L’arte della guerra

Un ebook intero su Sun Tzu a soli 2,99? Allora vai qui!

Ti interessa approfondire questi argomenti? Leggi Filosofia pura della guerra!

Iscriviti alla Newsletter!


Per avere un vantaggio ottimale sul nemico bisogna essere primi ad arrivare sul campo di battaglia. Il nemico andrà dove vuoi se saprai fargli immaginare di trarre vantaggio operando una certa mossa, ovvero il nemico è suscettibile alla logica dei premi e delle punizioni, tanto quanto lo sei tu: “Ciò che fa muovere il nemico dove vuoi tu, e di sua iniziativa è la prospettiva dei vantaggi. Se invece vuoi impedirgli di andare in un certo luogo, prospettagli un danno”. Per colpire un nemico attaccalo dove non si può difendere e scegli di difendere ciò che sai che ti attaccherà. Per combattere un nemico non dargli mai delle tue intenzioni e valuta e compara sempre tutte le alternative: “E così, se desidero intraprendere la lotta, il nemico non potrà sottrarvisi: perché attaccherò ciò che è costretto a salvare”. Non dare la possibilità al nemico di leggere le tue mosse implica che il nemico dovrà difendere tutto e contemporaneamente, così egli dovrà concedere debolezze: la guerra non si vince se non sfruttando le debolezze dell’avversario. Bisogna temere il nemico in ristrettezza numerica perché tenderà ad organizzarsi con più precisione che se avesse molte truppe: “La scarsità di forze induce a preparare la propria difesa. Persino un nemico superiore numericamente può essere indotto a non combattere”. La tattica prevede la scoperta dei piani dell’avversario attraverso ricognizioni e pungolamenti che costringono il nemico a effettuare mosse che mostrino i suoi piani. Così “la vittoria si consegue adattandosi al nemico”.

Carl Von Clausewitz – Analisi di filosofia della guerra


Abstract

Carl Von Clausewitz. Analisi di filosofia della guerra intende ricostruire il pensiero dell’uomo d’arme, storico e pensatore del warfare Carl Von Clausewitz. L’analisi è partizionata secondo una distinzione tematica dei principali nuclei del pensiero di Clausewitz in relazione alla dottrina pura della guerra. L’analisi critica condotta ha garantito la possibilità di approfondire singoli punti tematici particolarmente rilevanti in sede di dottrina del warfare, in particolare abbiamo privilegiato l’aspetto epistemologico della teoria di Clausewitz rispetto ad aspetti più propriamente interessanti per la pratica militare. In particolare, l’epistemologia clausewitziana è stata ricostruita sulla base di alcune semplici assunzioni dell’epistemologia analitica contemporanea per meglio mettere in luce tutte le sfaccettature, altrimenti incoglibili nella sua integralità, dello straordinario pensiero filosofico di Clausewitz.


Per soli 2,99 un ebook su Sun Tzu? Vuoi leggere questo articolo in pdf.? Allora vai qui!

Vuoi leggere un libro sulla filosofia della guerra e sulle teorie strategiche? Filosofia pura della guerra!

Iscriviti alla Newsletter!


Autorità e prestigio – Una analisi di un fenomeno sociale

Iscriviti alla Newsletter!

Consigliamo Storia della guerra fredda Storia dei movimenti politici


L’autorità è una parola che oggi come oggi piace poco. In un’epoca in cui regna sovrano lo scetticismo, sembra impossibile pensare all’esistenza di autorità di qualunque natura esse siano. Alla parola ‘autorità’ si associa sempre qualche personaggio storico a noi poco gradito: qualcuno pensa ad un politico, qualcuno pensa a un religioso, qualcun altro pensa ad un guru sociale. A ognuno la sua autorità sgradita. In particolare, negli scacchi hanno sempre dominato tre generi di autorità: i teorici, i campioni e, più nascosti, i burocrati. Per chi voglia le definizioni di queste tre categorie, dovrà aspettare qualche riga. Due domande: oggi esistono ancora delle autorità? Ma, soprattutto, chi sono le autorità?

La seconda domanda è di importanza capitale, perché si parla spesso di autorità di questo e di quello, senza definire in alcun modo il termine. Inoltre, non è possibile fornire una risposta qualunque alla prima domanda, se non si è preliminarmente definita l’autorità. Si dà spesso per scontata la conoscenza dei termini alla base delle argomentazioni, solo perché la loro investigazione richiede molto più sforzo e tempo. Oppure perché si è talmente invogliati a parlare del tema caldo, che ci si dimentica il lavoro preliminare, come chi alza la vela senza aver mollato il cavo dell’ormeggio. Avanza, ma poco e rischia di perderci la barca.

Il paradosso di Berry e il paradosso di Richard: soluzioni per ciascuno

“Sia dato un linguaggio qualsiasi (ricordiamo, con un numero finito di caratteri). L’insieme di tutte le proposizioni simboliche con meno di 100 caratteri è finito. Di esse, alcune definiscono numeri naturali, come <<il numero che sommato a 5 fa 7>> (che ha 30 caratteri, inclusi gli spazi). Consideriamo l’insieme di tutte le proposizioni simboliche con meno di 100 caratteri che definiscono numeri naturali. Tale insieme è finito e definisce sempre un numero finito di numeri naturali. Sia m il più grande di tali numeri. Allora la proposizione <<il numero naturale successivo al più grande definibile con meno di 100 caratteri>> definisce il numero naturale m+1 e ha meno di 100 caratteri (per l’esattezza 80). Assurdo”. Esso è noto come “paradosso di Berry”, ma non si tratta davvero di un paradosso, se con tale termine intendiamo un assurdo inevitabile (che è ciò che abbiamo convenuto). Soffermiamoci sull’affermazione “tale insieme è finito e definisce sempre un numero finito di numeri naturali”. Cosa si intende qui per “definisce”? Se il linguaggio è semantico può essere capace di definire con poche frasi un numero anche infinito di enti matematici; un esempio si ha nella stessa definizione di un qualsiasi Sistema assiomatico formale (non banale), in cui, servendosi di metamatematica, vengono definiti infinite proposizioni e teoremi. Gli stessi, infiniti, numeri naturali sono, evidentemente, definiti mediante un numero finito di caratteri; si ammetterà che è cosí se si ammette che è possibile definirli! Ci si sta riferendo, dunque, a un tipo limitato di “definizione”, un tipo in cui non sono ammesse “circolarità” o retrospezioni. L’ultima frase del “paradosso”, invece, definisce un numero usando una retrospezione, cioè con criterio differente. Si confondono, pertanto, diversi livelli d’interpretazione. Un esempio concreto chiarirà del tutto la questione. Se si usano i caratteri alfa-numerici, le possibili sequenze ordinate di tali simboli con una lunghezza minore di 100 caratteri sono tantissime, ma finite. Supponiamo di voler definire, mediante alcune di tali combinazioni, un numero finito di numeri naturali. Il criterio per farlo può variare ad arbitrio, dipendendo dalla lingua usata e/o da ogni altra nostra preferenza. Per esempio, è probabile che si decida di assegnare ogni stringa del tipo “00…01” al numero 1, cioè al successore di 0. Anche “il successore di 0″, se siamo italiani, sarà probabilmente considerata una definizione di 1. Uno stesso numero, dunque, potrà avere più di una definizione; mentre, per semplicità, possiamo stabilire che ogni proposizione definisca al più un solo numero naturale[1]. Immaginando di passare in rassegna tutte le possibili combinazioni, è del tutto probabile che ne scarteremo parecchie: alcune, in quanto prive di un significato convenuto (come <<ahT_l&Kak>>), altre perché si riterrà che non definiscono numeri naturali (come <<il gatto non ha digerito il topo>>). Ovviamente, nulla ci vieta di convenire che certe stringhe più o meno strane, come <<il mio numero fortunato>> o <<il numero dei vizi capitali>> definiscano certi numeri naturali. Prima o poi, ci imbatteremo nella misteriosa sequenza: <<il numero naturale successivo al più grande definibile con meno di 100 caratteri”>>. Che fare? Ammetteremo che Antonio decida di non associarvi alcun numero, mentre Francesca, forse in base a certi studi, la considererà la definizione di un determinato naturale, per esempio di 239987. Terminato il nostro lavoro, riconsideriamo la frase convenendo che il suo termine “definibile” si riferisca, appunto, al nostro lungo e meticoloso lavoro. Se si ammette così, essa definisce adesso un indiscusso naturale, sia per Antonio che per Francesca. Il punto fondamentale è che, per entrambi, la frase possiede ora un valore semantico differente da quello prima considerato: infatti Antonio non vi aveva associato alcun numero, mentre Francesca un numero che, come si può immediatamente riconoscere, non può essere lo stesso. Per entrambi, non c’è modo di correggere le convenzioni in modo da far coincidere i due numeri, ovvero i due diversi valori semantici.

Contro il pregiudizio sull’arte contemporanea

Articolo pubblicato sul numero 35 della rivista NUOVA META (rivista di critica delle arti fondata da Piero Maffessoli e diretta da Claudio Cerritelli) e titolato Contro il pregiudizio sull’arte contemporanea.

Proponiamo al lettore una riflessione sui modi della fruizione e comprensione propri dell’arte contemporanea, tesa ad argomentare la tesi che una certa credenza, ch’andremo a specificare, è pregiudiziale.

Il quinto capitolo de L’arte della guerra – Lo Shih


Un ebook intero su Sun Tzu a soli 2,99? Allora vai qui!

Ti interessa approfondire questi argomenti? Leggi Filosofia pura della guerra!

Iscriviti alla Newsletter!


Non c’è differenza tra organizzare un piccolo o un grande esercito perché si tratta di organizzare e contare. Combattere contro un piccolo o un grande esercito è questione di forma e segni. Per vincere bisogna usare metodi straordinari e ortodossi. Il metodo ortodosso implica seguire regole organizzative strutturali, la pianificazione nella circostanza; il metodo straordinario implica lo sfruttamento della circostanza adeguata, dell’espediente per forzare la situazione: “un’operazione militare ha il sopravvento quando è come una pietra scagliata conto un uovo”. Gli elementi della guerra (il Tao, il generale, i soldati, il cielo e la terra) sono limitati ma le loro combinazioni sono infinite. Lo Shih è la capacità di colpire sul punto di massima debolezza con tutte le forze a disposizione. Così che il colpo virtuoso è il rapporto tra la massa a disposizione per puntare contro la debolezza e l’unità di tempo. La strategia produce organizzazione e caos, forza e debolezza.

La forma – Il quarto capitolo de L’Arte della Guerra

https://www.pikrepo.com/fsceu/gray-concrete-statue-during-daytime

Un ebook intero su Sun Tzu a soli 2,99? Allora vai qui!

Vuoi leggere un libro sulla filosofia della guerra e sulle teorie strategiche? Filosofia pura della guerra!

Iscriviti alla Newsletter!


L’arte della guerra si basa sull’inganno e sulla capacità di sfruttare gli errori del nemico, perché l’errore implica la presenza della debolezza da sfruttare. La possibilità di non perdere dipende dalle nostre sole forze, mentre la vittoria dipendente congiuntamente dalla nostra capacità e dalla debolezza dell’avversario. La difesa è in vantaggio sull’attacco perché può essere inattaccabile mentre l’attacco è costretto a prendersi dei rischi per attaccare. Prendersi dei rischi significa concedere debolezze e avere debolezze significa esser caduti in fallo, così che l’attacco ha molte più probabilità di sbagliare che non la difesa, per questo “Se ti difendi sei più forte, se attacchi sei più debole”. La vera abilità consiste nel vincere chi si può battere facilmente e la vera abilità non è vincere cento battaglie: la suprema arte sta nell’abbattere un nemico già sconfitto. Il metodo della forma consiste di cinque condizioni: calcolare la lunghezza,  calcolare il volume, calcolare il numero degli elementi coinvolti, confrontare le parti e raggiungere la vittoria. Il territorio genera la lunghezza, la lunghezza il calcolo, il calcolo il confronto, il confronto la vittoria. Così si può concludere che “l’operazione militare vittoriosa è come cento grammi contrapposte a una piuma”.

La forma – Il quarto capitolo de L’arte della guerra

Vuoi scaricare l’articolo in pdf.? Allora vai qui!

Ti interessa approfondire questi argomenti? Leggi Filosofia pura della guerra!


L’arte della guerra si basa sull’inganno e sulla capacità di sfruttare gli errori del nemico, perché l’errore implica la presenza della debolezza da sfruttare. La possibilità di non perdere dipende dalle nostre sole forze, mentre la vittoria dipendente congiuntamente dalla nostra capacità e dalla debolezza dell’avversario. La difesa è in vantaggio sull’attacco perché può essere inattaccabile mentre l’attacco è costretto a prendersi dei rischi per attaccare. Prendersi dei rischi significa concedere debolezze e avere debolezze significa esser caduti in fallo, così che l’attacco ha molte più probabilità di sbagliare che non la difesa, per questo “Se ti difendi sei più forte, se attacchi sei più debole”. La vera abilità consiste nel vincere chi si può battere facilmente e la vera abilità non è vincere cento battaglie: la suprema arte sta nell’abbattere un nemico già sconfitto. Il metodo della forma consiste di cinque condizioni: calcolare la lunghezza,  calcolare il volume, calcolare il numero degli elementi coinvolti, confrontare le parti e raggiungere la vittoria. Il territorio genera la lunghezza, la lunghezza il calcolo, il calcolo il confronto, il confronto la vittoria. Così si può concludere che “l’operazione militare vittoriosa è come cento grammi contrapposte a una piuma”.

Strategia di attacco – Il terzo capitolo de L’arte della guerra


Vuoi scaricare l’articolo in pdf.? Allora vai qui!

Ti interessa approfondire questi argomenti? Leggi Filosofia pura della guerra!


Lo scopo di un combattimento non è quello di distruggere un nemico ma è quello di ridurlo all’impotenza per conquistarlo intatto. Un nemico distrutto non è più niente, un nemico impotente è costretto a eseguire gli ordini del vincitore. Attività di suprema importanza per vincere il conflitto: sconvolgere la strategia del nemico, spezzare le alleanze, attaccare il suo esercito, non assediare le sue città fortificate. La presa di una città fortificata ha un costo dispendioso in termini di tempo ed energie, per tanto, l’attacco ad una fortezza è quasi sempre privo di grande utilità. Il comandante abile è colui che assume come fine la vittoria suprema e non si discosta da tale direttiva, sicché la massima abilità è nella conquista senza combattere. Le condizioni della vittoria sono le seguenti: il sovrano non deve interferire con le decisioni del generale e il generale deve essere capace; tutti gli uomini dell’esercito sono animati dal medesimo scopo; bisogna sapere quando è il momento di attaccare e quando non lo è; bisogna saper comandare un esercito, piccolo o grande che sia; bisogna essere preparati ad ogni imprevisto. Conosci te stesso, e il nemico non potrà mai batterti: conosci te stesso e il nemico, e sarai invincibile.

Valutazioni strategiche – Il primo capitolo de L’arte della guerra

By vlasta2, bluefootedbooby on flickr.com – https://www.flickr.com/photos/bluefootedbooby/370458424/, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1616406

Un ebook intero su Sun Tzu a soli 2,99? Allora vai qui!

Vuoi leggere un libro sulla filosofia della guerra e sulle teorie strategiche? Filosofia pura della guerra!


Il primo capitolo de L’arte della guerra parla delle valutazioni strategiche e dei sistemi di valutazione del generale. Esso è rivolto al sovrano, colui che ha in mano le decisioni di uno Stato.

Un sovrano virtuoso sa far assumere il Tao (la Via) alle sue truppe, vale a dire che egli sa trasmettere il proprio scopo a tutti coloro che devono partecipare alla sua realizzazione, così che un pugno di uomini possa agire come un sol uomo: “Il Tao è ciò che induce il popolo a condividere lo stesso obbiettivo del governante al punto di non darsi pena di vita o morte per non deluderlo”.[1] Sun Tzu assume la sussistenza di un principio unificante e agente in modo che non si dia una dissipazione di energia nel contenere le singole spinte individuali o di sottogruppi, spinte che costituirebbero delle forze non perfettamente indirizzate verso un unico obbiettivo. Se questa condizione è violata, allora il generale avrebbe a che fare con dei problemi di sedizione interna, così che ciascuna componente dell’esercito costituirebbe un elemento ostile a se stesso, in quanto parte di un insieme, imponendo, così immediate difficoltà pratiche nella realizzazione delle operazioni militari: “Se impieghi un generale che segue le mie valutazioni, egli sarà sicuramente vittorioso. Fallo dunque rimanere. Se impieghi un generale che non segue le mie valutazioni egli sarà sicuramente sconfitto. Allontanalo”.[2] Il generale, dunque, deve essere valutato in base alle sue capacità relative a quanto detto.