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Categoria: I Grandi Temi della Filosofia

La morte e la gestione dell’anziano – Due problemi attuali perché eterni

Abstract

In questo articolo cercheremo di mostrare perché la gestione dell’anziano e la morte sono così problematici all’interno della società della complessità. Non si vuole ammettere che oltre alle evidenti questioni economiche e logistiche, c’è una questione morale la cui decisione comunque determinerà una variazione di tutte le relazioni umane presenti nella rete sociale della famiglia. La revisione dei rapporti sociali, fondati su norme non scritte e, perciò, ancora più rigide e aleatorie, è un’operazione delicata e difficile. Non solo, ma la possibilità di risolvere in modo adeguato il problema dipenderà esclusivamente dalla capacità di saper riadattare la propria relazione con tutti gli altri membri della famiglia e tutti devono fare, perciò, la loro parte.


Quando nasce un figlio nascono immediatamente una rete di relazioni tra i familiari e il nuovo venuto, supponendo che il bambino nasca in una famiglia normale. Chiamiamo a il bambino, la madre m e il padre p e così di seguito i vari familiari. Come minimo, non solo si forma una relazione R tale che R(m,a) e R(p,a), ma anche una nuova relazione !R tale che

 

!R(R(m,p), R(m,a), R(p,a) implica R(m,p,a)),

dove !R è una relazione che sancisce che esiste una connessione tra tutti i membri della famiglia. Si noti che !R è una relazione che richiede l’implicazione della relazione R(m,p,a): infatti la sussistenza delle sole relazioni a due posti di madre e di padre e di matrimonio non determinano di per sé l’esistenza della famiglia. Per esempio, supponiamo che il figlio sia dato in adozione: le relazioni R sono tutte mantenute (il padre rimane il padre, la madre la madre e la madre e il padre magari rimangono sposati) ma non si ha la relazione !R! Quindi la definizione di un nucleo familiare, la relazione !R, è superiore alla semplice somma degli individui ma anche alle loro relazioni umane tra loro. E non è un caso, infatti, che la nozione di “famiglia” sia considerata, nella sua vaghezza, un valore indipendente dalla somma degli individui, sia da un punto di vista legale, che religioso e morale. E il motivo è semplicemente quello che abbiamo mostrato.

Marx, il comunismo e il totalitarismo di sinistra

Preambolo

I leader e l’ideologia dei totalitarismi di sinistra si richiama al “comunismo”. Si può discutere che la filosofia comunista, fondata sugli scritti di Karl Marx (1818-1883) e Friederich Engels (1820-1895), sia di per sé sufficiente a spiegare il fenomeno del totalitarismo di sinistra. Già Max Weber (1864-1920) anticipava l’idea che lo stato socialista o il comunista, con la loro pretesa di regolamentare l’economia, si sarebbe trasformato, anche solo nel migliore dei casi, in un gigantesco apparato burocratico.

Inoltre, come cercheremo di vedere, i principali totalitarismi di sinistra del XX secolo sono di matrice leninista, la cui interpretazione del marxismo, oltre a non essere un unicum, è quella considerata “ortodossa”. Rimane il fatto che tutti i principali leader “comunisti” si rifacevano alle teorie di Marx e Engels, implicitamente o esplicitamente. Tuttavia, qui il plurale è d’obbligo in quanto le interpretazioni del marxismo, sia anche nella forma del marxismo ortodosso di matrice leninista, variano in modo significativo. Questo è emerso in modo chiaro durante la guerra fredda e hanno portato alla separazione dei vari regimi comunisti, da Tito a Mao.

La democrazia liberale – Un modello

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La democrazia liberale è un’etichetta per un insieme di teorie che, soltanto nella loro somma, hanno costituito un corpus unitario oggi noto come “democrazia liberale”. A differenza che nella democrazia ateniese, il modello della democrazia liberale è stato oggetto di una lunga analisi teorica, quando ancora la prassi politica era tutt’altro che democratica. Il primo pensatore fondamentale per la definizione della democrazia liberale è stato Thomas Hobbes (1588-1679), fautore dell’assolutismo. Tuttavia, già in Hobbes abbiamo la definizione di alcuni diritti naturali, che verranno ripresi ed ampliati dalla successiva analisi di John Locke (1632-1704), il primo vero teorico liberale quand’anche ante litteram.

John Locke ribadisce la presenza di alcuni diritti inalienabili e la necessità di fondare la politica su di essi. Locke non è il teorizzatore della separazione dei poteri in diverse aree di attività politica (potere esecutivo, legislativo e giudiziario). La distinzione viene proposta da Montesquieu (1689-1755), sebbene anche lui non arrivi ad una definizione netta e definitiva del discrimine delle varie tipologie di azione di governo, poi diventate canoniche nelle varie democrazie liberali e nel pensiero teorico liberale democratico stesso. Infine, John Stuart Mill (1806-1873) propone una complessa teoria dello stato democratico liberale ed è proprio Mill ad essere considerato il pensatore del modello liberale par excellence.

La democrazia ateniese – Un modello

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La democrazia ateniese è il primo modello di forma di governo democratica della storia occidentale. La democrazia ateniese è senza dubbio uno degli esempi storici di modello politico a cui tutta la politica successiva, tanto democratica quanto non democratica, ha dovuto considerare. Nonostante si possano adombrare dei dubbi sulla natura e sostanza di tale modello, che lasciava esclusi gli schiavi e le donne (perciò va da sé che ben oltre il 50% delle persone non faceva parte della vita politica), rimane il fatto che la democrazia ateniese rimane ancora oggi un esempio di governo, buono o cattivo, ma pur sempre storicamente funzionante.


Scopi e valori politici della democrazia ateniese

La democrazia ateniese si costituisce come una forma di governo “dei molti”. Non si trattava semplicemente di un mezzo attraverso cui prendere decisioni, ma di un vero e proprio valore politico. In prima istanza, un valore politico x è un obiettivo F di una società O tale per cui F è riconosciuto come buono da O per via di x. In altre parole, un valore politico è la proprietà associata ad uno stato di cose ottenuto mediante l’esecuzione della forma di governo tale per cui l’obiettivo è anche riconosciuto come politicamente desiderabile. Ovvero, il valore politico è l’interpretazione intersoggettiva di un bene pubblico, definito e riconosciuto come tale: questo vale in qualsiasi forma di governo, dove ciò che cambia è solamente quanto ristretta o ampia questa intersoggettività debba essere. In questo senso, la forma di governo dei “molti” non è soltanto un mezzo attraverso cui prendere decisioni politiche (struttura formale o procedurale del governo) ma è anche il valore ultimo che giustifica la forma di governo. Quindi, la decisione dei molti è sia mezzo che scopo.

Libertà, volontà e legge morale: una posizione causale neo-kantiana della moralità

Abstract

In questo articolo proponiamo una teoria causale della moralità kantiana, riconsiderando la posizione di Immanuel Kant sulla base di una certa interpretazione spinoziana della volontà umana e della libertà. L’analisi non riporta la storia delle idee ma solamente una posizione causale dell’imperativo categorico kantiano e del valore della responsabilità umana pur parte di una totalità eccedente la sua singola capacità di azione.


Il tema della libertà è uno dei più antichi dell’intera storia della filosofia. Ogni generazione filosofica, che impiega secoli per subentrare alla precedente, ha avuto la sua fitta analisi sulla libertà. Non è questo il posto per la storia dell’idea né per la ricostruzione recente del dibattito. Quanto ci proponiamo di fare, qui, è solamente fornire una analisi generale di un possibile tipo di approccio alla nozione di libertà.

Innanzi tutto, la libertà è una proprietà di alcuni esseri, tra cui forse gli esseri umani. C’è un generale consenso sul fatto che le cose non abbiano a disposizione alcun genere di libertà. Questo perché, in genere, si ritiene che la libertà abbia a che fare con una volontà, ovvero con la capacità di prendere decisioni sulla base di intenzioni. Tuttavia, allo stesso tempo, si ritiene che la stessa volontà abbia dei limiti e le sue decisioni sono influenzate da cause esterne che prendono varie forme. Quindi, una volontà libera è comunque sempre limitata. La relazione tra soggetto e mondo determina la misura della libertà, che è quindi espressa da un predicato a due posti e non è di natura categorica. Si è più o meno liberi, più o meno vincolati dal mondo.

In difesa del senso comune di George E. Moore [Traduzione]

NOTA DEL TRADUTTORE

La traduzione in italiano del testo di George E. Moore, A Defence of Common Sense, è nata dall’esigenza di riflettere sui fondamenti della filosofia. I cosiddetti filosofi del senso comune sono considerati in genere come gli esponenti di un capitolo minore della storia della filosofia. Eppure un implicito “senso comune” sembra essere un sottotesto presente nella riflessione anche dei maggiori filosofi. Prendiamo per esempio un qualsiasi filosofo idealista, che esprime nelle sue opere l’idea che il mondo sia una creazione dell’Io pensante. Se questo filosofo si rivolge ad altri filosofi, o semplicemente include nelle sue frasi, anche non filosofiche, l’idea di un “Noi”, sta in un certo senso tradendo la propria filosofia. Sta esprimendo, infatti, un concetto del senso comune, una sorta di assioma indimostrabile filosoficamente o logicamente, ovvero che è certo che esiste una moltitudine di esseri coscienti e che ognuno di essi può essere in qualche modo in contatto con gli altri. Il testo di Moore che ho tradotto esplora in modo approfondito questa contraddizione nonché l’universalità di alcuni concetti che definiamo appunto come “senso comune”.

– Si segnalano:

Breve biografia di George E. Moore.

Il testo originale del testo tradotto.

Alcuni materiali integrativi.


In difesa del senso comune

In ciò che segue ho cercato semplicemente di chiarire, uno per uno, alcuni dei punti più importanti in cui la mia posizione filosofica differisce dalle posizioni assunte da alcuni altri filosofi. È possibile che i punti che ho ritenuto di menzionare non siano realmente i più importanti, e forse riguardo ad alcuni di essi nessun filosofo ha mai pensato davvero cose diverse dalle mie. Tuttavia, per quanto mi è dato sapere, su ognuno di questi punti molti sono stati effettivamente in disaccordo; anche se (nella maggior parte dei casi, se non altro) su ciascuno di essi molti si sono trovati d’accordo con me.

Tecnocrazia e Democrazia: il paradosso della selezione

Technocracy

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Abstract

In questo breve articolo porteremo alcuni argomenti contro l’ideale tecnocratico. Va ben specificato sin da subito che la tecnocrazia è sempre e solamente un idea di limite, un ‘assunto della ragion pura’ e non qualcosa che sia mai esistito o che potrebbe mai esistere. Cercheremo, dunque, di caratterizzare questa tesi portando argomenti a suo sostegno.


Esiste un paradosso semantico, vale a dire il paradosso della selezione. Se io seleziono x lo faccio in base al fatto che x ha la proprietà y, io riconosco la proprietà y e scelgo così x rispetto ad altri candidati, a…n. La proprietà y è inerente a x, cioè le è propria, ma è anche la ragione per cui io discrimino x rispetto ad a…n ed è anche la stessa ragione per cui lo giudico migliore. La proprietà grazie alla quale selezione è dunque riconosciuta nell’oggetto ed è intersoggettivamente cogliibile dalla comunità politica di riferimento. Quindi, prima di tutto, occorre stabilire quale proprietà sia da ascrivere ai tecnocrati. Essi potrebbero essere intesi come degli esperti della politica. Tuttavia, chi è un esperto della politica? Quale è la proprietà che discrimina un esperto della politica da un non esperto della politica?

Tre modelli di democrazia

democracy

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Abstract

In questo articolo proponiamo tre modelli di democrazia (il teorema della giuria di Condorcet, il teorema delle abilità diversificate e lo sperimentalismo di Dewey), enucleati in chiave epistemica. La sfida della democrazia alle altre forme di governo consiste anche, se non principalmente, nella sua maggiore efficienza nella capacità di produrre, disseminare e aggregare conoscenza. Su questo punto esiste ormai una letteratura filosofica variegata che nasce dai problemi dell’epistemologia sociale e della filosofia politica, inquadrata in un tentativo di superare certe questioni relativa alla teoria di John Rawls. La nostra analisi ricalca alcune parti di Anderson (2006), la quale propone queste tre possibili modellizzazioni, tre condizioni di valutazione dei modelli e anche alcune critiche.

Il problema della Self Knowledge – Una breve introduzione

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Consigliamo – A cura di Giangiuseppe Pili e l’Introduzione schematica all’epistemologia


Abstract

In questo breve articolo analizziamo l’overture al dibattito della self-knowledge, un problema antico quanto attuale. Due posizioni generali affrontano il problema da due punti di vista abbastanza diversi: gli internisti sostengono che la self knowledge sia fondata internisticamente sul soggetto, indipendentemente dalla sua storia causale; mentre gli esternisti rivendicano la centralità del ruolo causale e delle condizioni esterne al soggetto per l’attribuzione della self knowledge. Data l’ampiezza del dibattito e la complessità dei problemi considerati, in tangenza di tre discipline filosofiche piuttosto complesse (filosofia del linguaggio, filosofia della mente e epistemologia), invitiamo il lettore a procedere ad una ricerca approfondita ed autonoma.