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Categoria: Felicità

La felicità secondo Kant – La felicità di compiere liberamente il proprio dovere


La filosofia di Immanuel Kant è giustamente considerata una delle massime espressioni dell’illuminismo europeo e, più in generale, uno degli apici di tutta la storia della filosofia. Non è certamente un caso che il grandissimo compositore tedesco, Ludwig Van Beethoven, di pochi anni successivo a Kant ne apprezzasse le opere. L’autore dell’inno alla gioia che, poi, diverrà l’inno europeo, lesse la Critica della ragion pratica, fondamentale opera morale kantiana, e ne apprezzò profondamente il pensiero.

La filosofia morale di Kant si impose rapidamente come un nuovo modo di riflettere su antiche questioni e Kant stesso esplicitamente disse più volte che lo scopo intero della sua filosofia era una rigorosa fondazione della morale. Questo chiaro interesse è già presente nella Critica della ragion pura, testo non dedicato alla morale ma alle possibilità e i limiti della nostra capacità di conoscere, opera monumentale e precedente alle opere morali. Kant già introduce il tema morale nella celebre prefazione alla seconda edizione della prima critica, il cui scopo non era affatto di natura squisitamente morale ma: “…quello di sottrarre la metafisica ad ogni influsso dannoso, identificando le fonti dei suoi errori”. Il grande filosofo di Königsberg, città dell’allora Prussia, però già guardava ai problemi più profondi dell’interiorità umana.

Spinoza – La felicità come beatitudine dell’uomo razionale

Casa di Spinoza dove ha completato l’Etica – L’Aia – Foto dell’autore

La filosofia di Spinoza è una delle più profonde espressioni del razionalismo del XVII secolo, frutto di una lunga ricerca culminata in una delle opere più straordinarie della filosofia, ovvero l’Etica. Ed è proprio nell’Etica che Spinoza parla dei modi attraverso cui l’uomo può diventare felice. La parte V dell’opera infatti è interamente devoluta alla spiegazione di come l’uomo può vivere nella felicità, di contro a quanto egli aveva considerato nella parte IV, in cui invece considerava tutta la drammaticità della condizione umana (non a caso, il titolo della parte IV è eloquentemente “La schiavitù umana, ovvero la forza degli affetti”). La teoria di Spinoza sulla felicità umana è ancora capace di ispirare grandi intelletti. Einstein stesso non solo sosteneva che Dio non gioca a dadi, affermazione pienamente in sintonia con il filosofo olandese, ma si spinse sino al punto di dire che: “Io credo nel Dio di Spinoza, che rivela se stesso nell’armonia regolata del mondo, non in Dio che si interessa personalmente del fato e di ciò che fa l’umanità”[1] Notevoli, nella loro vividezza, le parole di Bertrand Russell:

Ma quando passiamo all’etica di Spinoza [dalla sua metafisica], sentiamo (o almeno io sento) che qualcosa, anche se non tutto, può essere accettato, pur respingendone le fondamenta metafisiche. Spinoza si preoccupa di mostrare come sia possibile vivere nobilmente, pur riconoscendo i limiti dell’umano potere. (Russell, Storia della filosofia occidentale, vol. III, p. 756).

Blaise Pascal e (il suo) Dio

[Nota dell’autore. Qualche settimana fa avevo menzionato Blaise Pascal nei miei commenti a un articolo di Giangiuseppe Pili. Domenica scorsa Giangiuseppe mi ha inviato un messaggio e-mail in cui mi proponeva di scrivere un pezzo su Pascal per ScuolaFilosofica. Io gli ho risposto subito positivamente, rilevando la significativa coincidenza per cui, qualche ora prima, avevo iniziato a scrivere proprio un pezzo di tal genere per questo sito web! Tuttavia, non essendo io né un filosofo né un teologo di professione, il presente articolo non ha alcuna pretesa di esaustività né da un punto di vista filosofico né da un punto di vista teologico; vuole essere solo una riflessione (spero) articolata sul tema espresso nel titolo.]

Quest’anno ricorre il quarto centenario della nascita del filosofo e scienziato Blaise Pascal (Clermont, attuale Clermont-Ferrand, 19 giugno 1623 – Parigi, 19 agosto 1662).

Agostino – Felicità, godimento della contemplazione di Dio

https://en.wikipedia.org/wiki/Augustine_of_Hippo#/media/File:Saint_Augustine_by_Philippe_de_Champaigne.jpg

La storia del pensiero antico sulla felicità si è incentrato su alcuni concetti e termini comuni. La felicità è il risultato dell’applicazione della virtù ed essa è alla portata dell’uomo, purché quest’ultimo si concentri nel pieno dispiegamento della sua stessa natura che, come abbiamo visto, è concepita essenzialmente nella sua razionalità. “Sii la tua ragione” poteva essere il comandamento comune alle teorie considerate sino ad ora e la visione dell’uomo come essere razionale è il fil rouge che unisce le teorie dell’antichità classica. Ma con l’avvento del cristianesimo si introduce un nuovo termine nella complessa equazione il cui risultato è la suprema felicità: il Dio creatore cristiano.

In queste pagine abbiamo già incontrato la figura del dio, ora declinata come puro pensiero di pensiero (il caso di Aristotele), ora declinata come provvidenza immanente nel mondo (come nella filosofia stoica), ora concepita come semplice entità indifferente rispetto alle sorti degli esseri umani (come sosteneva Epicuro). Ma nella filosofia cristiana e, come vedremo, nel pensiero di Agostino, il ruolo di Dio, un Dio creatore la cui essenza è l’amore, è di gran lunga di maggior spessore anche perché in Lui Agostino rintraccia la fonte stessa della felicità umana. Per tale ragione, il nostro percorso inizierà proprio da una succinta analisi di cosa sia il Dio di Agostino e quale sia la sua connessione con l’uomo e la felicità.

Gli Stoici – Felicità come armonia dell’anima

https://sco.wikipedia.org/wiki/File:Discourses_-_Epictetus_(illustration_1)_(9021700938).jpg

Gli stoici sono stati i grandi avversari dell’epicureismo e rivendicarono la loro preferibilità rispetto all’altra corrente filosofica concorrente. Tuttavia, essi condividevano la stessa idea della filosofia che, prima di tutto, doveva essere una via per la felicità umana. Non solo, dunque, condividono la stessa visione della ricerca filosofica, ma convergevano anche sul risultato: gli stoici concepiscono la felicità come atarassia, ovvero sospensione completa e definitiva dai mali del mondo. Infine, gli stoici, come pure gli epicurei, ponevano al centro l’individualità dell’uomo e non la società o la natura. Essi fornirono una elaborata teoria della fisica e anche una dettagliata analisi logico-epistemologica, ma subordinarono queste alla comprensione dell’obiettivo finale, ovvero l’etica e la felicità umana, proprio come abbiamo visto per Epicuro. Nonostante queste concordanze, le differenze tra le due posizioni non possono essere più nette, pur facendo parte dello stesso frame concettuale di natura classicamente greca.

Epicuro – Felicità tra assenza di dolore e pace dell’anima

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Bust_of_Epicurus.jpg

Epicuro è probabilmente il filosofo che più di ogni altro ha cercato di indicare una via per la felicità percorribile per ogni essere umano. Non c’è alcuna enfasi nel sostenere che l’intera ricerca intellettuale di Epicuro è devoluta proprio a questo scopo ed egli stesso considerava la filosofia come “una cura per l’anima” la quale poteva essere tutelata seguendo la via del “quadrifarmaco”, ovvero una sorta di summa del suo pensiero. Inoltre, Epicuro è stato il primo ad articolare una teoria della felicità in accordo con una visione sofisticata del piacere. Ma nonostante la centralità del piacere all’interno della sua teoria, la via della felicità di Epicuro è tutt’altro che accondiscendente con la vita mondana, almeno nei suoi tratti più frivoli, ed egli considera in modo intelligente e non banale il rapporto tra felicità e piacere.

Alimentazione ideale – Un problema di tanti filosofi

Diet by Nick Youngson CC BY-SA 3.0 Pix4free

Un’ossessione tanto antica quanto non filosofica ma propria di molti filosofi

Non sei l’unico ad avere problemi a concepire il tuo corpo come un’estensione della mente. Ovvero, nell’includere il corpo tra le indispensabili componenti di ciò che consente alla mente di lavorare nel migliore dei modi. Non solo non è un problema soltanto tuo, ma è un’ossessione di quasi tutti i grandi filosofi! Certo, questo non ci accomuna con Kant e altri per questo, ma è per rassicurare l’audience sul fatto che le grandi menti hanno faticato e lavorato (talvolta sbagliando) per massimizzare la loro capacità di durare nell’esistenza – sempre per dirla con quel Spinoza che morì perché, pur mangiando come un uccellino pasti miseri, degni dei legionari romani nelle campagne militari (una squallida miscela di farina e acqua), si dimenticò che respirare silicio può essere tanto se non più dannoso che mangiar male.

Perché negare il valore della filosofia?

Taken by Giangiuseppe Pili

Portare la lotta dalla parte giusta del campo di battaglia

Introduzione – La strategia fallimentare di Russell per la difesa del valore della filosofia

Nel primo e nell’ultimo post che sono riuscito a scrivere quest’anno, ho riportato l’argomento a difesa della filosofia di Bertrand Russell. Implicitamente, ho cercato di mostrare quanto fosse infondata la sua argomentazione. In breve, la sua strategia principale è stata quella di mostrare come la filosofia sia il regno dell’incertezza, dove tutte le risposte sono importanti proprio perché non possono avere una risposta chiara e definitiva. Questo argomento aveva lo scopo di affrontare lo scetticismo dell'”uomo comune” verso la filosofia.

Riflessioni sulla felicità – La passione, i vizi umani e le virtù umane secondo Aristotele, Tommaso d’Aquino e Spinoza

Abstact: Lo scopo di questo articolo è focalizzare in poche pagine alcune concezioni tradizionali sulla felicità portandone all’evidenza gli aspetti essenziali emergenti dal complesso, articolato e millenario sistema concettuale che le caratterizza. Un’interpretazione dell’etica svolta sulla base delle riflessioni di Aristotele, Tommaso d’Aquino e Baruch Spinoza, con il fine di rendere chiara e fruibile la ratio che definisce il concetto tradizionale di felicità, per mostrarne la concretezza e l’attualità anche tramite esempi. Il punto di partenza è l’Etica Nicomachea di Aristotele, scelta per la sua caratteristica di proporre un concetto di felicità concreto e alla portata della vita reale, rispettoso nei confronti del gioco delle passioni, dell’amicizia, della misura delle capacità personali e della disposizione di ogni singolo nell’orientamento etico. Ho voluto accompagnare i punti salienti dell’etica aristotelica con le spiegazioni del più grande interprete medievale del filosofo di Stagira: Tommaso d’Aquino. Il santo ci offre un quadro estremamente sintetico, che ha introdotto con una lucidità senza precedenti nel cuore della Chiesa Cattolica e nella storia medievale la filosofia dello Stagirita e la suddivisione delle virtù proposta da Platone, fornendo anche una descrizione altrettanto chiara e sintetica del loro contrario, i vizi. Nonostante le differenze essenziali rispetto ai filosofi citati, ho voluto mettere in relazione ad essi Spinoza, un filosofo moderno, perchè ha sottolineato l’importanza di comprendere profondamente le passioni nel perseguire la felicità e ne ha mostrato quindi la logica.

Aristotele ovvero la felicità come il massimo conseguimento della propria natura


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La ricerca della felicità è una esigenza universale dell’essere umano, secondo Aristotele. Tutti gli esseri umani ricercano il bene ed esiste un bene ultimo oltre il quale non ne esiste nessun altro. Il bene ultimo è proprio la felicità. Così ci dice lo Stagirita:

Poiché i fini appaiono essere molti e di essi alcuni li vogliamo a cagione di altri (come la ricchezza, i flauti e in genere gli strumenti), è chiaro che non tutti sono perfetti; ma il sommo bene sembra essere perfetto.  (…) Dico più perfetto quello perseguito per sé in confronto di quello perseguito per altro; e quello che non è mai voluto per cagion di un altro, in confronto di quelli che possono essere voluti sia per sé e per cagion di altro. E, insomma, perfetto senz’altro è quel fine che viene sempre voluto per sé e non mai come mezzo per un altro. E tale sembra essere soprattutto la felicità: la vogliamo infatti sempre per se stessa e mai per altro.[1]