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Categoria: Estetica

Lo “strike” sul tappeto dell’astrattismo

(courtesy to rivista Kritika, che in origine aveva pubblicato questo articolo)

 

A Venezia, presso il celebre Palazzo Grassi, è visitabile (dal 7 Aprile al 31 Dicembre) la mostra personale “Rudolf Stingel”. Egli vi ha portato una trentina di dipinti, sia astratti sia figurativi (in cui si citano alcune sculture del passato, sulla loro base fotorealistica). L’esposizione, curata dallo stesso Stingel (assieme al critico d’arte Elena Geuna), “colpisce” il visitatore soprattutto nel suo allestimento. Tutte le stanze del Palazzo Grassi sono state (per la prima volta) ricoperte da un unico tappeto. In particolare, l’artista vi ha stampato l’immagine d’un motivo “pseudo floreale ed araldico”, orientaleggiante, di colore rosso. E’ la sua citazione d’un tradizionale tappeto, il quale simbolicamente spinga i visitatori a “volare” con la fantasia.

Capogrossi, Ong e la “pettinatura vocale”

(courtesy to rivista Kritika, che in origine aveva pubblicato questo articolo)


A Venezia, dal 29 Settembre 2012 al 10 Febbraio 2013, presso il Museo Peggy Guggenheim si può visitare la mostra Capogrossi: una retrospettiva. A curarla, è stato il noto critico d’arte Luca Massimo Barbero. I quadri di Giuseppe Capogrossi (uno fra i maggiori pittori del secondo dopoguerra) si riconoscono facilmente per il dettaglio del cosiddetto tetradente. Dipinto a partire dal 1949, esso identifica un segno, tendenzialmente a forma di “pettine”.

Un dono “fuori portata” per curare il trovarsi gettati

Quando si pensa alla nascita, immediatamente vi percepiamo il venire alla luce. In seguito, si continuerà ad esistere per “intersecazione” sugli orizzonti, dovendo prendere alcune decisioni al “bivio” delle possibilità. Il singolo individuo proverà a “farsi luce” da solo, avendo cura d’una realtà non tanto in contrapposizione, bensì da mediare. Oppure, è qualcosa che si sintetizza in un modellamento. Soprattutto negli affetti, l’Altro diviene una parte di noi. Per quanto proviamo a farci luce nel mondo, quella dovrà riflettersi. La soggettività si sente nella “pienezza” per il suo precedere l’esteriorità. Forse questo è anche un “peso ingombrante” da sopportare. Quando “buttiamo” il primo sguardo nel mondo illuminato, partirà lo “scaricamento” della cura. Se la soggettività si pensa solida, poiché esclusivamente privata, essa non potrà evitare la friabilità innanzi alla sua conservazione (sotto gli istinti del nutrimento, della riproduzione, della socialità ecc…).

Lo “stream of consciousness” che s’aggrappa alla tautologia

A partire dal 1960, Goodman s’allontana dai principi teorici del positivismo. Egli dunque abbraccerà il nominalismo ed il relativismo. La conoscenza né rispecchierà la realtà rielaborerà dei “dati dall’immediato”. L’uomo interagisce col suo mondo tramite i sistemi (parametri) simbolici. Questi ci permetteranno d’imbastire solo certe “descrizioni”, senza una verità assoluta. Goodman sostiene (seguendo la Gestalt di Arnheim e Gombrich) che la percezione non è passiva, bensì un’attività. Si può citare ad esempio la visione. L’occhio non sarà mai “innocente”[1]. Sia il modo in cui vediamo sia semplicemente ciò che vediamo cambia, in rapporto alla nostra situazione d’esperienza visiva (così per un interesse, una predisposizione, un’inclinazione ecc…). Oltre al “mito” del dato assoluto, cade pure il “mito” dell’arte solamente imitativa. Goodman ha un approccio estetico che risentirà del funzionalismo e dell’anti-essenzialismo. A lui interessa unicamente il modo in cui l’arte accade, in qualsivoglia epoca. Di certo, un oggetto per diventare estetico dovrà espletare una funzione di tipo simbolico[2]. Si consideri un determinato periodo. Là, qualcosa potrà funzionare come arte… Ma non è detto che ciò valga anche per il periodo immediatamente successivo. Dunque rimarrà soltanto lo storicismo? Forse, bisogna intervallare il modo tramite cui l’arte accade, rispetto al suo simbolismo. Tale percezione aiuterebbe a percepire meglio le variazioni dell’estetica, sotto i corsi e ricorsi cari allo storicismo.

Saggio su Husserl e Kandinsky – Se l’intenzionalita’ costituisce per immanenza, allora la composizione trascende per genesi

Saponaro ci ha ricordato che l’astrattismo di Kandinsky e la fenomenologia di Husserl nascono più o meno negli stessi anni. Ma < come > si praticheranno le loro teorizzazioni? Per la fenomenologia di Husserl, se un certo uomo si relaziona col mondo, genericamente lo fa avendo coscienza < di > quello. Gli esempi sono molto immediati da capire. Io posso avere la coscienza < di > un tavolo, < di > un’anima, < di > un sogno, < di > un oggetto (tanto materiale quanto astratto), ecc… A Husserl interessa il “filtro” coscienziale. Fra il soggetto conoscente e l’ente conosciuto, sempre s’inserisce la preposizione semplice del < di >. E’ la caratteristica intenzionalità, che rientra nel metodo della fenomenologia. Ciò che meramente ci appare, “punta” alla sua oggettivizzazione nell’esteriorità. E’ una forma di posizionamento, da parte della coscienza. Husserl se ne serve per ricusare le teoretiche del passato. Non avviene la completa riduzione dell’oggetto da conoscere al soggetto che conosce. Ciò valeva per l’idealismo. Nemmeno avviene la mera adeguazione dell’intelletto all’esistenza d’un ente. Ciò valeva per il realismo. Husserl insomma cerca la novità d’una “terza via”, per l’apparenza dal sensibile all’ideale. Il suo < di > per l’intenzionalità è dialetticamente ri-movibile. L’oggetto non si fa bloccare da una sintesi idealistica, mentre il soggetto non si fa bloccare da un adeguamento realistico. Prima di razionalizzare tutto mediante la metafisica, conviene dunque posizionare come un certo uomo si relaziona col suo mondo di vita. L’esistenza appare fra i limiti dell’esteriorità. E’ la dimensione del < come > a consentire l’apparenza d’una sintetizzazione idealistica che s’adegui alla realtà.

Gli infiniti modelli della musica classica

5Symph

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Consigliamo Le variazioni su un tema di Handel


La musica attrae l’essere umano, che la fruisce e la produce da millenni. Ogni cultura e ogni epoca ha una sua musica. Non ci interessa, qui, trattare delle varie categorie musicali, ma vogliamo mostrare perché la musica classica, ancora oggi, costituisce il centro fondamentale della nostra cultura musicale.

Con “musica classica” intendiamo genericamente tutta la produzione musicale che ha come unico scopo quello di produrre materiali sonori esteticamente rilevanti. Non ci interessa considerare prodotti il cui scopo si esaurisce nel puro e semplice intrattenimento, intendendo qualcosa di essenzialmente diverso dall’esperienza estetica. Nell’esperienza estetica l’intrattenimento è solo una conseguenza contingente e collaterale della fruizione dell’opera d’arte, mentre nell’esperienza del divertimento l’aspetto ludico, di spensieratezza è piuttosto l’aspetto principale. Abbiamo in altro luogo avuto modo di soffermarci su un caso specifico di tale genere musicale, sicché non ci ripeteremo qui. Con musica classica, allora, va intesa una categoria ben più ampia che la sola produzione musicale racchiusa tra i secoli XVII-XX, considerata “musica colta”. La categoria è più ampia e si possono inserire in essa lavori di musica rock (Pink Floyd, Beatles, Rhapsody ad esempio) o musica jazz (di Bill Evans, Wes Montgomery o Duke Ellington, giusto per fare qualche esempio). Mentre con musica non-classica va intesa tutta la produzione la cui ricerca è volta a produrre materiali di divertimento o di poesia. Si noti come le categorie di “musica di divertimento” e “musica poetica” si intendano insiemi assai diversi. In un caso, per definizione, l’esperienza estetica è limitata o marginale, nell’altro, invece, è fondamentale. Ma entrambe le categorie sfruttano un principale strumento per veicolare messaggi (per quanto blandi, possano essere talvolta): la parola. Quando la parola diventa fondamentale (come nelle canzoni) allora tale musica si può definire “poetica”.

Contro il pregiudizio sull’arte contemporanea

Articolo pubblicato sul numero 35 della rivista NUOVA META (rivista di critica delle arti fondata da Piero Maffessoli e diretta da Claudio Cerritelli) e titolato Contro il pregiudizio sull’arte contemporanea.

Proponiamo al lettore una riflessione sui modi della fruizione e comprensione propri dell’arte contemporanea, tesa ad argomentare la tesi che una certa credenza, ch’andremo a specificare, è pregiudiziale.

Libertà, Bellezza e Verità: Estetica come Bisogno Umano. Di Sergio Pampanini

Di Sergio Pampanini

Bisogno. In realtà quando parlo di bisogno non parlo di uno stato psicologico quanto di uno stato esistenziale. Detto brutalmente, Abbagnano mi perdonerà, io penso che l’uomo si definisce per la sua libertà. La libertà è mancanza di essere che aspira ad essere. In ogni attività dell’uomo c’è l’aspirazione a raggiungere una meta di essere, di senso che dà per l’appunto il senso della nostra presenza. L’arte è una di queste strade. Insieme a tante altre strade quali per esempio il diritto, o l’economia ecc. In ognuna di queste branche del sapere, per intendersi, c’è il bisogno esistenziale dell’individuo di riconoscere il suo operato singolo all’interno di un contesto di significato generale. Un contesto che la sua opera contribuisce a sostenere da un lato e insieme un contesto che giustifica l’operato stesso. Detto questo, l’arte a differenza delle altre possibilità, ha la peculiarità di interessarsi del bello. Il bello quindi diviene la dimensione generale in cui l’artista da un lato e il fruitore dall’altro si riconoscono, l’uno contribuendo a creare opere belle (belle per gli altri in primis), il fruitore invece interessato a scoprirle e a fruirne. Entrambi accomunati dall’esigenza ripeto esistenziale (nella misura in cui il bello, declinato ovviamente in tutti i prodotti artistici correlati – ad es. letteratura, cinema, scultura, musica, balletto…. – diventa ragione di vita cioè motivo per cui vale la pena vivere).       . 

Figurar-si: senso e significato

Quando un giorno, arriviamo a toccare la nostra metae allora mostriamo con orgoglio quali lunghi viaggi abbiamo fatto per giungervi. In verità non c’eravamo accorti d’essere in viaggio. Ma siamo arrivati così lontano proprio illudendoci di essere, in ogni luogo, a casa propria.[1]

F. Nietzsche

Introduzione

I testi elaborati come si deve sono come specie di ragnatele: fitti, concentrici, trasparenti, solidi e ben connessi. Essi attirano a sé tutto ciò che si aggira nei dintorni[2].

Theodor W. Adorno