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Categoria: Estetica

La “Via della Seta” per cui Venere nasce da un sole di stracci

Alla Biennale di Venezia 2024, presso la sezione dell’Arsenale è visitabile il Padiglione Nazionale dell’Uzbekistan, avente gli allestimenti dell’artista Aziza Kadyri. Esteticamente, a lei preme una dialettica fra l’appartenenza ad un segnale (secondo la teoria) ed il condizionamento da una guida (secondo la prassi). Ad esempio: quanto una cultura nazionale potrà essere interpretata liberamente? A livello sociale la mitologia sviluppa l’appartenenza, mentre a livello individuale l’identità sviluppa il condizionamento. Va ricordato che nei Paesi dell’Asia Centrale (come l’Uzbekistan) c’è la tradizione della migrazione, dal nomadismo della tenda (chiamata yurta). Nell’allestimento di Aziza Kadyri accade che l’abitabilità ha una teatralità. Le donne subirebbero il pregiudizio culturale d’un confino al < tutta casa e chiesa >. Loro, lavorando sul tessuto (chiamato suzani) porterebbero virtualmente in dote un sipario dei capelli. Questo condizionerebbe anche il visitatore della mostra, quantunque preservandogli il diritto all’indipendenza fra l’entrata e l’uscita. C’è un allestimento a gioco di specchi. Il visitatore ha anche una guida nascosta, giacché ripreso da una telecamera. Il suo volto è sovrapposto ad una rielaborazione del suzani, da parte dell’intelligenza artificiale. I pregiudizi culturali diventano teatrali al condizionamento delle aspirazioni private. Ad esempio s’imporrà alla donna di lavorare a casa per allontanarla dall’emancipazione politica: se lei la ottenesse, i suoi diritti si rinnoverebbero per “corredo” esponenziale. Il visitatore è libero, ma anche circuito dai segnali a causa del turismo, tramite cui la pubblicità migra. Dormendo nella yurta, si percepirà un esproprio al < tutto casa e museo >. Pertanto gli allestimenti di Aziza Kadyri coordinano il ricamo affinché questo condizioni dallo specchio. I pregiudizi culturali circuiscono anche negativamente, instillando il dubbio che una loro critica non possa mai attecchire. In filosofia politica, il radicalismo decostruisce l’appartenenza alla nazionalità. Se il nomade gira, rispetto a lui l’antropologo girerebbe… a vuoto, identificandosi come un giudice imparziale. Ma nell’allestimento di Aziza Kadyri la novità dell’intelligenza artificiale non sarà soltanto da consultare. Essa ricombina parecchio: ad esempio perché il volto umano ha i “ricami” dell’indole, fra la schiettezza e l’ipocrisia.

La ferrovia d’un altoparlante per trivellare le stelle (i Nativi Americani alla “Biennale di Venezia 2024”)

A Venezia, dal 20 Aprile al 24 Novembre, si segnala una coppia d’artiste, le quali espongono, separatamente, rappresentando la cultura dei nativi americani: Erin Genia (per il popolo dei Sisseton Wahpeton Oyate, dal Dakota del Sud) e Kay Walkingstick (per il popolo dei Cherokee, dall’Oklahoma). Bisogna ricordare che l’evento “collettore” della Biennale è stato ufficialmente denominato Stranieri ovunque. Erin Genia espone un’installazione; Kay Walkingstick invece lo fa con la pittura. I nativi americani si tramandano una variegata mitologia, che la storiografia occidentale rischia di confinare al paradosso laicistico della libertà, con la caratteristica riserva. A Venezia, Erin Genia espone per la collettiva d’artisti Personal Structures, che è allestita presso il Palazzo Mora. La sua installazione s’intitola Cultural emergency response vest, e concerne la tessitura per le tribù diffuse dei Dakota. Kay Walkingstick partecipa direttamente alla Biennale di Venezia, presso la sezione dei Giardini. Lei dipinge ad olio su pannello, raffigurando paesaggi del Far West (sebbene senza la traccia dell’uomo): dal Montana, dall’Arizona, dall’Idaho ecc…

Il surrealismo d’una battaglia navale per l’oblò dell’occhio

Durante la Biennale di Venezia 2024, si può visitare alla sezione dell’Arsenale il suggestivo Padiglione Nazionale di Malta, con le installazioni dell’artista Matthew Attard. In particolare, la sua mostra s’intitola I will follow the ship, sotto la curatela di Elyse Tonna e Sara Dolfi Agostini. Esteticamente, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale si conferisce una rotta all’occhio umano. Fenomenologicamente, l’impressione è fluttuante. Questa inizia a stabilizzarsi tramite la memoria da esplorare. Il bulbo oculare non è retrattile nel volto, ma si scuoterebbe come un timone passando dall’attrazione al desiderio, in chiave psicanalitica. La navigazione avviene in seguito, quando addirittura si trasforma l’appagamento, sul realismo. Il desiderio è razionalizzato dall’utilità. Matthew Attard ricorre alla tecnologia digitalizzata dell’eye-tracker per consentire ai graffiti navali di salpare, virtualmente. Il desiderio dell’archeologo è risvegliato dalla contestualizzazione storica. Tramite questa, si poteva accettare la dura vita del pescatore, per esempio. Il graffito navale in chiesa fungeva quasi da amuleto, materializzando un occhio come specchio dell’anima con l’impressionismo della fede. Si scongiuravano le brutte tempeste! Specialmente, all’artista interessa la “rotta” dell’ex voto (col ricordo funzionale ad una stabilizzazione). La moderna meteorologia ha migliorato l’affidabilità delle proprie previsioni. Ma resta emozionante immaginare che la lente del vecchio cannocchiale (senza il radar digitalizzato) perda improvvisamente l’orientamento della costa. Un uomo in mare va sempre salvato. In genere, s’ammette che la nave goda dell’immunità politica, perdendo il proprio Stato fra le acque internazionali. Al massimo, quella sarà seguita dalla capitaneria di porto. Per il futuro, il cambiamento climatico comporta l’innalzamento delle acque. La lungimiranza della politica richiederebbe che s’esplorassero nuovi posizionamenti: ad esempio tramite le isole artificiali. Molte di queste sono tracciate riproducendo figure comuni (astratte o viventi), quantunque cedendo al marketing. Nella contemporaneità la digitalizzazione lancia continuamente il suo “amo” in un “oceano” dell’informazione. Pure ispirandosi a questo, l’artista ha scelto di disegnare attraverso un tracciamento oculare.

Dire, fare e baciare dalla terra madre alla ruggine spettrale

Alla Biennale di Venezia 2024, si può visitare il Padiglione Nazionale di Timor Est, con l’installazione in site-specific dell’artista Maria Madeira, la quale s’intitola Kiss and don’t tell. La curatela è di Natalie King, una professoressa australiana, e presso lo Spazio “Ravà”. Timor Est divenne indipendente dall’Indonesia nel 1999. Tornatavi, Maria Madeira dormiva in una stanza piena di segni colorati, lungo le pareti, all’altezza delle ginocchia. Lei era fuggita da bambina, con l’evacuazione durante l’invasione indonesiana. A Timor Est, le donne rimaste subivano l’umiliazione di mettersi il rossetto, in ginocchio, per poi baciare i muri.

L’oasi umile ma reale del porto non è un paradiso appena transitorio

Alla Biennale di Venezia 2024, sino al 24 Novembre è visitabile il Padiglione Nazionale dell’Oman, presso il Palazzo Navagero, avente le opere degli artisti Alia Al Farsi, Ali Al Jabri, Essa Al Mufarji, Sarah Al Olaqi ed Adham Al Farsi. La loro mostra s’intitola Malath – Haven. La traduzione dei due termini, fra la lingua araba e quella inglese, eleva l’oasi “umile” ma reale del porto al rango di paradiso non solo intermedio. Ricordiamo anche che la Biennale di Venezia 2024 s’intitola Stranieri ovunque. Tradizionalmente l’Oman è considerato molto ospitale, coi suoi giardini (contraddicendo l’immaginario collettivo, riguardo la desertificazione della Penisola Arabica). Noi lo percepiamo di passaggio, fra l’Oriente e l’Occidente. Se la teoria parte da una condizione per cui si è stranieri ovunque, allora l’Oman alla prassi sviluppa l’ammissione per cui si accoglie chiunque sosti. Ovviamente nessuno desidera andarsene da un paradiso. Ma la vita comporta l’ineluttabilità d’una transitorietà: dalla nascita alla morte. Quindi il paradiso intermedio (come per l’Oman) ci spinge ad una comprensione, trasformando la finitudine (negativamente) in socializzazione (positivamente). Chi accoglie gentilmente, può abituare ad affezionarsi. Magari l’Oman diventerà una sosta in cui ritornare, per motivi privati e senza fretta (aggiungendo il godimento). Virtualmente dal suo “gomito” a “sestante”, ad est della Penisola Arabica, il marinaio scandirebbe la tabella di marcia, per un servizio commerciale. Normalmente nessuno immagina che il porto possa verdeggiare, come un giardino. Al contrario l’acqua blu dell’oceano avrebbe le onde ristagnanti, passando dalle dune alle lamiere d’un container. L’arte permette “magicamente” di sospendere la finitudine umana (spesso al “palliativo” dei pregiudizi culturali per “tiranti”). In Oman, quella addirittura trasformerà il porto: appunto in giardino. Alla miniatura immaginiamo una tenda d’artigianato locale, per riposare liberamente al vento, la quale ramificherà le radici, appena ingabbianti, delle ancore seriali (siccome le catene devono rispettare le misure internazionali). A Venezia, la mostra Malath – Haven è curata da uno degli artisti: Alia Al Farsi.

Angela Luverà Rattray e l’arte al processo “archeo-botanico”

Angela Luverà Rattray è un’artista internazionale. Nel 1976, maturò il suo interesse per l’architettura del paesaggio, il restauro e la documentazione dei centri storici. Lei in aggiunta frequentò l’Accademia di Belle Arti di Roma, curando la pittura. Nel 1980 ci fu il suo trasferimento in Canada. Angela Luverà Rattray divenne un membro della Manitoba Printmakers Association. Il primo successo in Italia fu durante un concorso per installare una scultura, in modo permanente, presso l’Università di Modena. Nel 2002, Angela Luverà Rattray attirò l’attenzione dei canadesi. Una sua installazione, che si chiamava Adagio gioioso, fu esposta dapprima nella capitale Ottawa, e poi al Palazzo del Parlamento in Manitoba. Angela Luverà Rattray ha lavorato come docente universitaria, aiutando gli studenti canadesi nei loro scambi con l’Europa. Lei espose per l’Ace Art Gallery, la Site Gallery e la Centennial Concert Hall in Winnipeg. Da alcuni anni, Angela Luverà Rattray vive a Bassano del Grappa (VI), partecipando alle biennali locali d’incisione. I suoi lavori sono presenti in collezioni sia pubbliche sia private. Principalmente ce le ricordiamo in Canada, in Europa, negli Stati Uniti, in Asia ed in Australia.

L’esploratore Daniele Castiglioni, ed il Progetto “Acque siberiane”

Recensione d’estetica per l’esploratore Daniele Castiglioni, in occasione del Festival “20 di Siberia”: 2003-2023, da lui organizzato in Ottobre a Tradate (VA)

DANIELE CASTIGLIONI ED IL VECCHIO CANALE (FRA I FIUMI OB ED ENISEJ)

Daniele Castiglioni ha percorso a remi il vecchio canale che congiungeva (con l’aiuto d’un affluente naturale) i fiumi Ob ed Enisej. Alla fine egli compirà una vera performance, contro le difficoltà del momento. Infatti d’estate le acque possono calare di molto, le zanzare colpiscono improvvisamente a sciami, i tronchi abbandonati a se stessi occludono le strettoie, i remi un po’ alla volta si logorano ecc… Naturalmente, c’è anche la difficoltà di trovare un punto di ristoro, fra i piccoli paesi lontani per centinaia di chilometri.

(courtesy to Paolo Meneghetti)

VENERE IN CORNICE – Il treno della chiocciola che “sbuffa” dall’oro / The train of a snail which “puffs” from the gold

Simonetta Tassinari ci ricorda l’esperimento mentale del picnic in montagna. All’inizio si radunano alcuni sconosciuti, comprendendovi sia delle coppie sia dei single. Condotti per un…

Il COME SE di Ricoeur in una “coclea imperscrutabile” di Schelling

https://en.wikipedia.org/wiki/Paul_Ric%C5%93ur#/media/File:Paul_Ricoeur_Balzan.png

Noi conosciamo la distinzione di Kant fra il fenomeno ed il noumeno. Ciò che semplicemente ci appare ha un’essenza mentre sfugge alla nostra riflessione, dall’intelletto. L’idealismo di Fichte parte dal presupposto che si può pensare sia al fenomeno sia al noumeno solo perché esistiamo noi. Considerando il singolo uomo, si conclude che l’Io pone assolutamente il proprio essere. La soggettività di cui parla Fichte ha una qualità trascendentale. Esistendo prima di tutto, proprio per questo essa è assoluta. Ma l’Io si dà come tale solo perché si pone. Precisamente, la soggettività assoluta avallata da Fichte non è causa sui. Conta sempre il principio d’identità, per cui < A = A >. Se consideriamo questo, cogliamo bene la necessità del porsi. Ne deriva che l’Io esiste sempre e solo perché si limita, verso la sua esteriorità, denominata Non-Io.