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Categoria: Filosofia Antica

Eros: Il Demone Mediatore tra Divino e Umano – Erotica, Giustizia e Passioni in Platone

 

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Introduzione

Si ritiene che la Repubblica di Platone abbia dato la prima e più influente formulazione filosofica della divisione tra la ragione e le passioni: Platone si riferisce loro con i termini pathe o pathêmata.

Nella Repubblica le passioni sono ciò che contraddistingue la parte irrazionale dell’anima, il cui tratto distintivo è l’inferiorità e la necessità di mantenerla sotto il controllo della ragione. Platone precisa inoltre che ogni parte non razionale è denominata per la sua peculiare passione, la parte concupiscibile (epithumêtikon) per l’appetito (epithumia) e la parte vigorosa (thumoeides) per la collera (thumos).

Eppure, nella Repubblica, sorge una difficoltà che non concerne tanto la divisione tra parte concupiscibile e collerica dell’anima quanto il fatto che Platone assegna anche alla parte razionale dell’anima, che dovrebbe contrastare quella irrazionale, passioni come desideri, piaceri ed eros.

Non sarebbe dunque da rintracciare nella Repubblica una distinzione matura tra ragione e passioni. Tale distinzione è rintracciabile in contesti differenti dalla Repubblica, vale a dire nel Simposio, nel Fedro e nel Timeo, fermo restando che le teorie espresse nei dialoghi menzionati rappresentano un naturale sviluppo o elaborazione di quanto espresso nella Repubblica per quanto riguarda desideri, piaceri ed emozioni della parte irrazionale dell’anima.

Il Demiurgo di Platone ha l’Idea di Artisticità sui numeri idealmente contratti

Per Platone, accade che le cose sensibili partecipano delle loro idee. Il nostro mondo è comunque finito, per cui potrà soltanto tendere ad universalizzarsi. Nell’esperienza quotidiana, una forma si percepisce alla “compartecipazione” dei propri limiti. Ma sarà un’idealità relativa allo spazio ed al tempo, mentre si dovrà presupporre l’idealità… per l’idealità relativa allo spazio ed al tempo. Allora Platone ricorre alla matematica. In quella, per esempio le relazioni d’uguaglianza ci appaiono sul serio perfette. E’ una compartecipazione, fra i “limiti” dei numeri, che immediatamente si svincola dallo spazio e dal tempo[1]. Dunque la forma dell’uguale sembra la più “consigliabile” per aiutarci a percepire l’universalizzazione, che in se stessa dialetticamente non può darsi senza postulare pure la particolarizzazione. Se le idee sono la causa delle cose sensibili, le seconde ovviamente derivano dalle prime. Allora Platone immagina di togliere lo spazio ed il tempo. Nell’eternità, le singole idee saranno sempre uguali a se stesse. Qualcosa da percepire comunque in via di derivazione, ma solo per la necessità dialettica che un universale postuli un particolare. Le idee platoniche non sarebbero completamente staccate dal mondo materiale. Prima, bisognerà che percepiamo l’eternità del loro divenire[2].

Epitteto – Vita e Opere


Vita

Epitteto nacque attorno al 50-60 dopo Cristo. Molto probabilmente fu schiavo dalla nascita a servizio del liberto Epafrodito. La tradizione diverge nel riportare l’esperienza dello schiavo: c’è chi sostiene che ebbe un trattamento giusto, chi, per contrario, che n’ebbe uno irriguardoso. Tuttavia, si è certi che Epafrodito stimasse Epitteto per le sue indiscusse qualità morali. Probabilmente, perché Epitteto non era un uomo avezzo alle furberie proprie di quegli uomini che sogliono arrangiarsi come possono: egli stesso porta ad esempio il caso del servo negligente e furfante e del padrone truffato che, però, non è giustificato a tribolarsi per ciò. Nel 68 viene liberato e incomincia a professare la sua dottrina a Roma ed ha un certo seguito. La sua scuola è aperta anche alle donne, come nel caso degli epicurei e, d’altra parte, non si trova traccia di disuguaglianza tra i sessi nei discorsi di Epitteto che, invece, sembra invocare una parità filosofica più ampia e più giusta. E’ costretto ad emigrare dalla capitale del mondo per via dell’editto di Domiziano, una legge poco conosciuta e non sufficientemente documentata nei libri di storia dei licei, che vietava la libertà di parola filosofica in Roma. Epitteto, non essendo in suo potere rimediare alla legge ma essendo nelle sue possibilità continuare l’insegnamento altrove, preferisce dirigersi in altro luogo per professare liberamente la sua filosofia. Egli arriva sino a Nicopoli, città dell’Epiro, e lì vi rimane fino alla morte, avvenuta tra il 135 e il 145 dopo Cristo.

L’arte della guerra di Publio Flavio Vegezio Renato – Considerazioni analitiche e metastoriche

Abstract

L’analisi de L’arte della guerra del tattico romano Publio Flavio Vegezio Renato risulta ancora oggi di grande attualità. Assumendo un punto di vista metastorico, abbiamo cercato di rintracciare i fondamenti ultimi dell’analisi di Vegezio in modo da comprendere la logica fondamentale da cui poter trarre utile conoscenza ad uso e consumo del lettore contemporaneo.


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Ti interessa la filosofia della guerra? Leggi Filosofia pura della guerra

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L’arte della guerra (De rei militaris o Epitoma de rei militaris) è un classico degli studi del warfare, in particolare degli studi descrittivi e non propriamente strategici, cioè normativi. Publio Flavio Vegezio Renato (da ora solo Vegezio, come è universalmente noto) non è sostanzialmente interessato ad elementi generali e strategici della guerra e dell’arte militare, quelli che oggi diremmo i maggiormente connessi con la politica di uno stato (o di un impero) o che riguardano la natura della pianificazione strategica della campagna militare. Piuttosto egli è uno storico e un tattico dell’epoca classica romana. Sia detto subito che L’arte della guerra di Vegezio non è un testo scritto nel periodo repubblicano ma durante la fase epigonica dell’impero (IV secolo d.C.). L’influsso del periodo classico romano (inteso nel periodo a cavallo tra il periodo monarchico e quello repubblicano fino ad Augusto incluso in questo concetto ampio di classicità latina) si estende per tutte le pagine dell’opera di Vegezio, il quale, infatti, lungi dal considerare terminato il mandato imperiale come centro di gravitazione della civiltà, cerca di trovare i motivi per cui gli antichi eserciti romani avevano reso l’urbe il centro del mondo conosciuto (dai romani).

Eresie cristiane e scuole di pensiero in periodo tardo antico

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Consigliamo – Storia Romana Parte II – a cura di Francesco W. Pili


Se abbiamo visto come fossero numerose le persecuzioni contro i cristiani, in questo articolo analizzeremo le cosiddette “grandi eresie“.

L’eresia di Ario: Ario era un prete di Alessandria che aveva vissuto nella prima metà del secolo. Secondo Ario, Cristo non si poteva considerare il “Dio Padre” senza non introdurre nella religione cristiana simbologie politeiste: la religione cristiana della Chiesa invece professava l’uguaglianza fra Dio padre e Cristo. Ario fu seguito nell’Oriente.

L’eresia manichea è di origini più antiche e il nome di questa deriva da Mani, il capo dei cosiddetti Manichei, che credevano nell’esistenza di due principi contrapposti: il bene e il male in eterna lotta fra loro erano i principi ultimi della realtà. Il dualismo delle due forze ordinatrici del mondo interpretava l’esistenza di Dio come forza mediatrice.

L’apogeo della cultura cristiana: la patristica

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Gli anni che vanno dalla metà del secolo IV d.C. fino al sacco di Roma da parte di Odoacre (476 d.C.) sono gli anni di massima fioritura del pensiero cristiano delle origini: è il cosiddetto secolo d’oro per la produzione di testi sacri, che distanziano gli altri sia per la qualità formale dell’opera sia per la loro ricchezza contenutistica. Oltretutto si faranno carico di un grande compito: divulgare con semplicità il messaggio religioso cristiano. I Padri della Chiesa, così chiamati gli scrittori cristiani di questo periodo, furono in diversi ma Ambrogio, Girolamo, Agostino furono gli autori maggiormente significativi. Ci sono poi due minori (Rufino e Sulpicio Severo).

Ambrogio nacque fra il 339 e il 340 d.C. a Treviri, una delle principali città della regione germanica, nella quale il padre risiedeva per occupare la carica di prefetto del pretorio della Gallia.

Seneca – Vita e opere

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Vita

Lucio Anneo Seneca nacque a Cordova in Spagna molto probabilmente il 4 a.C. da una famiglia equestre benestante: il padre era Seneca il Vecchio. Ebbe modo di crescere in un ambiente stimolante e fu predisposto allo studio. Cordova era una città di tradizioni repubblicane: si era infatti schierata al fianco di Pompeo al tempo delle guerre civili ed era infatti terra di asilo per molti repubblicani ostili alla dittatura di Caio Giulio Cesare. In vista della carriera politica e retorica che avrebbe sostenuto, la famiglia si trasferì presto in Roma, così da poter essere educato nelle migliori scuole di retorica: i suoi maestri di matrice stoica furono Attalo e Papirio Fabiano.

Prima di iniziare l’attività forense nel 31 d.C. intraprese diversi viaggi per ampliare le sue conoscenze, specialmente in Egitto, dove seguì uno zio prefetto.

Dotato di grandi capacità oratorie, Caligola, geloso di queste, decretò la sua condanna a morte: venne però salvato probabilmente da un amante dell’imperatore stesso. Più avanti, però, durante il principato di Claudio, venne esiliato nel 41 d.C. con l’accusa di adulterio con la connivenza di Giulia Livilla sorella di Caligola e figlia di Germanico: naturalmente era tutta una messinscena. Seneca venne allontanato per le sue doti propagandistiche e oratorie che portavano in minoranza l’imperatore.

Marco Tullio Cicerone – Vita e opere

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Marco Tullio Cicerone nacque nel 106 a.C. ad Arpino in un’agiata famiglia equestre. Compì ottimi studi di filosofia e retorica a Roma, dove frequentò Lucio Licinio Crasso, il grande oratore e impresario edile, e i due fratelli Scevola. Strinse una fraterna amicizia con Tito Pomponio Attico, amicizia attestata nelle numerose corrispondenze. Nel 81 a.C. ebbe inizio la sua grande carriera da oratore e divenne presto avvocato. Il 79 a.C. un momento importante per Cicerone: la partenza per due anni in Grecia e in Asia, durante la quale ebbe modo di approfondire notevolmente i suoi studi filosofici e gli studi di retorica da Molone di Rodi. Al suo ritorno si sposò con Terenzia e in questi anni inizia la carriera politica che lo porterà a rivestire le più alte cariche dello stato romano:

Gemino di Rodi e il suo posto nella storia della filosofia della scienza

1. Nota biografica.

Gemino di Rodi visse molto probabilmente nel I secolo a.C., comunque tra il I secolo a.C. e il I d.C.; fu scienziato (in particolare, astronomo) e filosofo greco. Di lui ci rimane una sola opera intera, chiamata “Introduzione ai fenomeni”. Si tratta di una introduzione essoterica all’astronomia. Non ci è pervenuto invece il suo scritto “Sulla teoria delle scienze matematiche”, che, probabilmente, era la sua opera maggiore. Proclo, filosofo neoplatonico del V secolo d.C., ne fece uso nel suo importante commento agli “Elementi” di Euclide. Di Gemino si dice che fosse uno stoico, seguace e discepolo del filosofo, scienziato e storico Posidonio.

2. Pensiero sulla scienza; da Pitagora a Tolomeo

I pitagorici pensavano che la struttura fondamentale dell’universo fosse regolata secondo un’armonia di tipo matematico. Conoscere questa armonia significava, dunque, avere accesso alla comprensione profonda della realtà. Questo orientamento filosofico implica l’idea, valida per la pratica della scienza, che la contemplazione dell’idea astratta è maggiormente centrale rispetto all’indagine e all’osservazione dei fenomeni empirici.