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Categoria: Cinema e Serie

Una analisi di Star Wars 7. Abrams J.J.

Star Wars 7 è un film prodotto dalla Disney e diretto da J.J. Abrams, noto autore di altri film e figura di spicco del nuovo cinema hollywoodiano. Il film è il primo dell’ultima saga di Guerre Stellari, avviato dall’omonimo film (1977), l’unico diretto da George Luckas nella lontana galassia degli anni 70’ del secolo XX, periodo aureo del cinema critico post-Vietnam, figlio delle contestazioni degli anni 60’, che ha saputo produrre opere geniali, quando non solo divertenti o intelligenti. E Guerre Stellari apparteneva senza dubbio ad un progetto di grande respiro, per quanto figlio di una scommessa che pochi avrebbero potuto immaginare così vincente, tanto che nessuno se l’aspettava.

Eppure, con il senno di poi, una scombinata banda di ribelli ha saputo conquistarsi l’amore del pubblico di più generazioni, quando quella banda poteva rappresentare la lotta ad un potere oppressivo, imperiale e neocoloniale, chiaramente ispirato a certi problemi ben chiari alla generazione vissuta con sopra la spada di Damocle dell’olocausto nucleare. Quando la Morte Nera colpiva, rievocava spettri ben più vicini di altri e più grandi esplosioni (le bombe da 56 megatoni, per esempio, oggi anch’esse considerate – ingiustamente – fossili. Come tutto, più o meno). Non solo, ma la saga continua ad alimentarsi sulla base delle suggestioni di quella prima saga vincente, l’unica (per il momento) che tutti hanno amato a prescindere dall’età. E uno dei pochi sintomi della vera grandezza in un universo come il nostro, è la resistenza alla prova del tempo. Legge che vale anche nelle galassie lontane lontane… vicine vicine o medie medie.

Inside out, un bel cartone animato della Disney-Pixar

È da poco uscito nelle sale cinematografiche un nuovo cartone, o “plasticone digitale”, l’ennesimo in questi tempi in cui i cartoni sono, in proporzione, preferiti ai film. Il titolo del cartone è Inside Out.

Mi sono recato alla sala cinematografica più vicina a casa con una certa diffidenza: ultimamente non sono stati molti i cartoni che mi hanno stupito e hanno lasciato il segno all’interno della mia “isola cinematografica” del cervello (vedi dopo). Fra questi voglio senz’altro ricordare WALL-E e Up, cartoni che vedo e rivedo sempre con estremo piacere e che riescono ad emozionarmi. Inside Out, dal canto suo, mi ha attirato per la grande pubblicità mediatica che c’era stata precedentemente l’uscita nelle sale e la grande aspettativa che c’era su di esso. Tuttavia la diffidenza e le aspettative erano entrambe molto alte.

La trama del film è molto semplice, ma ben strutturata: Riley è una bambina di undici anni che fino al momento del suo trasferimento a San Francisco, viveva una vita felice tranquilla, dove ha avuto modo di sviluppare ciò che ha di più caro. La famiglia, l’hockey, i giochi d’infanzia “le stupidere”, sono dunque le sue isole del cervello più sviluppate e più felici che la rendono la persona che è. Il momento del trasferimento è vissuto da Riley con enorme diffidenza e scetticismo, elementi inizialmente confermati, che la porteranno a star male e cadere in una grave depressione. Chi la aiuterà a uscire da questa crisi pre-adolescenziale?

Romanzo di una strage: piazza Fontana e le trame del terrorismo italiano

locandina

Chi attraverso lo studio e le narrazione di terzi, chi per esperienza diretta, tutti ricordano gli anni della contestazione e quelli del terrorismo politico italiano, sfociati nel clima teso degli anni di Piombo. Dopo 43 anni, Marco Tullio Giordana ha deciso di affrontare nuovamente questo periodo decisivo per la nostra storia inscenando il racconto della più grande e drammatica strage di quegli anni, Piazza Foantana. Romanzo di una strageè un film che ripercorre gli eventi che vanno dall’autunno ‘caldo’ del ’69 alla morte del Commissario Calabresi nel ’72. La ricostruzione storica viene filtrata dalla prospettiva del registra che intende dare un certo taglio alla narrazione dei fatti, alla presentazione dei personaggi e alla indagine storica e giuridica della strage.

House of Cards: una analisi filosofica


Interessato alla filosofia del cinema?

Pili G., (2019), Anche Kant amava Arancia Meccanica – La filosofia di Stanley Kubrick, Pistoia: Petite Plasiance

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Non si tratta di un libro (anche se la serie è tratta da un libro). E non si tratta neppure di un ebook. Si tratta di una delle serie televisive più quotate e viste del momento. Innanzi tutto, colgo l’occasione per ringraziare il mio giovane amico, Matteo Bucalossi, che mi ha spronato a immergermi nella visione della serie. Ma Matteo non è stato il solo a indirizzarmi verso l’analisi di House of Cards, visto che anche un altro amico, Luca P**o, mi aveva a suo tempo chiesto un parere tecnico. Nonostante il mio inveterato scetticismo circa le serie televisive e sitcom, dato il fatto che Matteo e Luca non si erano sbagliati in altre circostanze, ho deciso di dare credito alla sua testimonianza e vedere di che si trattava.

House of Cards è un intreccio di storie che fanno capo all’eroe negativo, Frank Underwood. Che si tratti dell’eroe è presto detto: da quando gli viene rifiutato il ruolo di segretario della difesa, egli si industria in tutti i modi per avere il suo riscatto, fino a diventare presidente degli Stati Uniti d’America, dopo l’impeachment del presidente Garrett Walker, di cui era diventato il vice presidente. Che si tratti di un eroe negativo è evidente per chiunque abbia visto anche solo cinque minuti della serie: rifiuta i valori umani come limite ultimo alle azioni (politiche), non dispone di alcun valore religioso (dato che arriva sino a sputare sul crocefisso) ed è discutibile che nutra sentimenti amorevoli verso la moglie. Perché l’amore e la benevolenza sono cose assai diverse e vanno tenute distinte. Si aggiunga al quadro che Frank Underwood ha anche un polimorfismo sessuale a dir poco stupefacente: sembra il classico eterosessuale capace di avere moglie e amante contemporaneamente, ma poi si scopre una sua vena omosessuale, fino a giungere a condividere sua moglie con la sua guardia del corpo.

Stalin e il cinema: pratiche e memorie dello stalinismo nella cinematografia sovietica e post sovietica, attraverso l’analisi dei film La caduta di Berlino (1949) e Quando volano le cicogne (1957).

Per poter affrontare una sincera analisi di questi due film targati URSS, è prima doveroso e necessario fare una scheda accurata di entrambi per poi trovarne somiglianze e divergenze critiche, accennando ai due registi che hanno firmato queste importanti pellicole cinematografiche che ci tramandano quale fosse la visione, distorta dalla propaganda dittatoriale nel primo film, oppure contorta e rivisitata dalla visione chrusceviana nel secondo film, dello stalinismo stretto e delle vicende che caratterizzarono la seconda guerra mondiale, con le sue atroci sofferenze, vissute specialmente dalle donne, come avremo modo di analizzare nelle schede dei due film.