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Autore: Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

Autorità e prestigio – Una analisi di un fenomeno sociale

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L’autorità è una parola che oggi come oggi piace poco. In un’epoca in cui regna sovrano lo scetticismo, sembra impossibile pensare all’esistenza di autorità di qualunque natura esse siano. Alla parola ‘autorità’ si associa sempre qualche personaggio storico a noi poco gradito: qualcuno pensa ad un politico, qualcuno pensa a un religioso, qualcun altro pensa ad un guru sociale. A ognuno la sua autorità sgradita. In particolare, negli scacchi hanno sempre dominato tre generi di autorità: i teorici, i campioni e, più nascosti, i burocrati. Per chi voglia le definizioni di queste tre categorie, dovrà aspettare qualche riga. Due domande: oggi esistono ancora delle autorità? Ma, soprattutto, chi sono le autorità?

La seconda domanda è di importanza capitale, perché si parla spesso di autorità di questo e di quello, senza definire in alcun modo il termine. Inoltre, non è possibile fornire una risposta qualunque alla prima domanda, se non si è preliminarmente definita l’autorità. Si dà spesso per scontata la conoscenza dei termini alla base delle argomentazioni, solo perché la loro investigazione richiede molto più sforzo e tempo. Oppure perché si è talmente invogliati a parlare del tema caldo, che ci si dimentica il lavoro preliminare, come chi alza la vela senza aver mollato il cavo dell’ormeggio. Avanza, ma poco e rischia di perderci la barca.

I confini logici della matematica. Ragunì G.

I  confini logici della matematica è un libro di logica matematica dai molteplici intenti e con un chiaro metodo analitico. Gli scopi che l’autore si propone sono diversi e tutti variamente ambiziosi: chiarificare la terminologia di una disciplina solo apparentemente trasparente, mediante argomentazioni metamatematiche; mettere in luce i limiti e i pregi di un approccio puramente sintattico alla matematica e, conseguentemente, la necessaria integrazione di un’analisi metamatematica alla logica matematica; precisare i problemi legati alla Teoria formale degli Insiemi, sia in termini epistemologici che di coerenza; mostrare i limiti di alcune impostazioni correnti in logica matematica; chiarire alcuni punti controversi, alla luce dell’analisi, su entrambi i Teoremi di Gödel. Questi scopi sono, più propriamente, i nuclei tematici più salienti ma, ad una attenta lettura, potrebbero risultare una selezione ingiustificabilmente esemplificatrice. In realtà, si tratta di un’opera la cui complessità è lasciata intravedere continuamente in ogni pagina, nonostante possa apparire sfuggevole alla luce della sua compattezza.

Le ragioni di esistenza del libro vengono enunciate nella prefazione dell’autore. Egli era partito dalla curiosità intellettuale verso i teoremi di Gödel e dalla necessità di chiarire a se stesso fino a che punto si può essere certi del fondamento delle proprie deduzioni logiche. Eppure, nonostante la logica matematica sia una disciplina formale (termine qui usato in modo intuitivo), fondata su delle convenzioni condivise, rimane il fatto che spesso non sia così agevole nella comprensione:

Il percorso che mi ha portato alla sua comprensione si è reso particolarmente difficoltoso essenzialmente per tre motivi. Il primo è che il tema, come spesso succede in Matematica, non si presta ad essere isolato: per comprendere bene ogni particolare, bisogna prima aver chiaro cos’è il modello di una Teoria, la metamatematica, il Teorema di completezza semantica, le funzioni ricorsive…; in breve, avere almeno un’idea approssimativa, ma solida dei fondamenti della Logica. Il secondo motivo è dovuto all’ambiguità della terminologia usata; sembra davvero incredibile che in un argomento così delicato, che richiederebbe il massimo della precisione, si continui ad adoperare un linguaggio così propenso alla confusione (…). Il terzo motivo è costituito dagli equivoci, scorrettezze ed errori che abbiamo creduto riscontrare in diversi temi. Per andare avanti, dopo mesi di riflessioni e ricerche di nuove pubblicazioni, non restava che avere la presunzione di correggerli o rassegnarsi a non comprendere; ovviamente esponendosi alla possibilità di trovarci noi stessi in errore. Alcune di tali revisioni e correzioni hanno un carattere marginale, altre più fondamentale. Tutto ciò giustifica le ragioni stesse del libro; che dunque, seppur scritto con l’obbiettivo irrinunciabile di essere pienamente comprensibile al lettore inesperto, introduce anche alcune novità in Logica.[1]

Queste giustificazioni sorreggono gli intenti e mostrano la superficie e il punto più profondo, al contempo, del lavoro. Da un lato, infatti, siamo di fronte ad un’opera che vuole portare un’analisi dal quasi vuoto al pieno e il ‘quasi’ sta per il fatto che alcune basilari convenzioni sul linguaggio naturale devono essere già preconosciute; d’altra parte, la conoscenza almeno sommaria degli argomenti trattati senz’altro agevola la comprensione delle molte sfumature del libro. Da un altro lato, però, l’opera porta avanti diversi intenti concomitanti che fanno sì che la lettura non costituisca solo una guida per il lettore “inesperto”, ma può fornire importanti chiarimenti anche per gli specialisti. Questo secondo fatto, che potrebbe passare inosservato dalla dichiarazione di intenti esplicita dell’autore in Prefazione, non solo non è di secondaria importanza, ma è tra gli scopi principali del lavoro.

Il quinto capitolo de L’arte della guerra – Lo Shih


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Non c’è differenza tra organizzare un piccolo o un grande esercito perché si tratta di organizzare e contare. Combattere contro un piccolo o un grande esercito è questione di forma e segni. Per vincere bisogna usare metodi straordinari e ortodossi. Il metodo ortodosso implica seguire regole organizzative strutturali, la pianificazione nella circostanza; il metodo straordinario implica lo sfruttamento della circostanza adeguata, dell’espediente per forzare la situazione: “un’operazione militare ha il sopravvento quando è come una pietra scagliata conto un uovo”. Gli elementi della guerra (il Tao, il generale, i soldati, il cielo e la terra) sono limitati ma le loro combinazioni sono infinite. Lo Shih è la capacità di colpire sul punto di massima debolezza con tutte le forze a disposizione. Così che il colpo virtuoso è il rapporto tra la massa a disposizione per puntare contro la debolezza e l’unità di tempo. La strategia produce organizzazione e caos, forza e debolezza.

La forma – Il quarto capitolo de L’Arte della Guerra

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L’arte della guerra si basa sull’inganno e sulla capacità di sfruttare gli errori del nemico, perché l’errore implica la presenza della debolezza da sfruttare. La possibilità di non perdere dipende dalle nostre sole forze, mentre la vittoria dipendente congiuntamente dalla nostra capacità e dalla debolezza dell’avversario. La difesa è in vantaggio sull’attacco perché può essere inattaccabile mentre l’attacco è costretto a prendersi dei rischi per attaccare. Prendersi dei rischi significa concedere debolezze e avere debolezze significa esser caduti in fallo, così che l’attacco ha molte più probabilità di sbagliare che non la difesa, per questo “Se ti difendi sei più forte, se attacchi sei più debole”. La vera abilità consiste nel vincere chi si può battere facilmente e la vera abilità non è vincere cento battaglie: la suprema arte sta nell’abbattere un nemico già sconfitto. Il metodo della forma consiste di cinque condizioni: calcolare la lunghezza,  calcolare il volume, calcolare il numero degli elementi coinvolti, confrontare le parti e raggiungere la vittoria. Il territorio genera la lunghezza, la lunghezza il calcolo, il calcolo il confronto, il confronto la vittoria. Così si può concludere che “l’operazione militare vittoriosa è come cento grammi contrapposte a una piuma”.

Dopoguerra – Com’è cambiata l’Europa – Tony Judt

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Consigliamo La nascita del mondo moderno di Bayly


Il Dopoguerra è un libro monumentale sul periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale, un periodo medio-lungo (1945-2005), il cui intento generale è ben chiarito dal sottotitolo dell’opera: Come è cambiata l’Europa dal 1945 a oggi. Lo storico Tony Judt analizza compiutamente la storia europea dal secondo dopoguerra ai giorni prima della nuova grande crisi economica. Nonostante il libro sia stato pubblicato durante l’attuale periodo di crisi (2007), Judt si ferma esattamente al principio di essa, sicché non sarà in grado di considerare i rivolgimenti e stravolgimenti attuali. Infatti, il libro termina sulla traccia di nuove prospettive dell’Europa contemporanea, ma non trae le possibili conseguenze di un Unione Europea rafforzata (o indebolita) in base alle scelte in reazione di quest’ultima crisi.

La forma – Il quarto capitolo de L’arte della guerra

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L’arte della guerra si basa sull’inganno e sulla capacità di sfruttare gli errori del nemico, perché l’errore implica la presenza della debolezza da sfruttare. La possibilità di non perdere dipende dalle nostre sole forze, mentre la vittoria dipendente congiuntamente dalla nostra capacità e dalla debolezza dell’avversario. La difesa è in vantaggio sull’attacco perché può essere inattaccabile mentre l’attacco è costretto a prendersi dei rischi per attaccare. Prendersi dei rischi significa concedere debolezze e avere debolezze significa esser caduti in fallo, così che l’attacco ha molte più probabilità di sbagliare che non la difesa, per questo “Se ti difendi sei più forte, se attacchi sei più debole”. La vera abilità consiste nel vincere chi si può battere facilmente e la vera abilità non è vincere cento battaglie: la suprema arte sta nell’abbattere un nemico già sconfitto. Il metodo della forma consiste di cinque condizioni: calcolare la lunghezza,  calcolare il volume, calcolare il numero degli elementi coinvolti, confrontare le parti e raggiungere la vittoria. Il territorio genera la lunghezza, la lunghezza il calcolo, il calcolo il confronto, il confronto la vittoria. Così si può concludere che “l’operazione militare vittoriosa è come cento grammi contrapposte a una piuma”.

Lord Jim- Joseph Conrad

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E tuttavia l’umanità stessa, procedendo nel suo cieco cammino, non è forse spinta da un sogno della propria grandezza e del proprio potere sui bui sentieri dell’eccessiva crudeltà e della dedizione eccessiva? Che altro è, dopo tutto, il perseguimento della verità?[1]

Joseph Conrad

Jim è un ragazzo dotato di caratteristiche fuori dall’ordinario. Tutti glielo riconoscono. In particolare, egli è una di quelle persone a cui si ripone volentieri fiducia. Eppure c’è qualcosa nel suo passato che costituisce un precedente inquietante, macchia sufficiente a costituire il dubbio permanente sulla sua reputazione. Jim era un sognatore, un romantico, convinto di poter vincere ogni avversità, di non aver paura di nessuna possibilità perché già prevista, già vagliata dalla sua mente. In se stesso costruiva mondi, avventure concrete nelle quali egli era il protagonista e grazie alle quali avrebbe dimostrato al mondo il suo valore:

In momenti del genere i suoi pensieri erano colmi di imprese valorose: amava quei sogni e il successo delle sue gesta immaginarie. Erano la parte migliore della vita; ne erano la verità segreta, la realtà nascosta. Avevano una splendida virilità e il fascino delle cose vaghe; gli passavano davanti con passo eroico; si portavano via la sua anima e la ubriacavano con il filtro divino di una fiducia illimitata in se stessa. Non c’era niente che lui non potesse affrontare. Era così soddisfatto dell’idea che sorrideva, pur continuando meccanicamente a guardare davanti a sé; e quando gli accadeva di girarsi indietro vedeva la striscia bianca della scia che la chiglia della nave disegnava in linea retta sul mare, come la matita aveva tracciato quella riga nera sulla carta.[2]

Il giocatore invisibile – Giuseppe Pontiggia

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“Credimi, è infantile” continuò la ragazza. “Convincere sempre gli altri, tutti, che tu vali, che hai ragione. Prova a immaginare per una volta l’ipotesi contraria, che tu sia dalla parte del torto. Che cosa succede? Crolla qualcosa? Io non capisco poi, alla tua età, come fai a essere così schiavo degli altri.”

Giuseppe Pontiggia

Il giocatore invisibile è un romanzo di Giuseppe Pontiggia, edito nel 1978 e grande bestseller di allora, uno dei pochi che può dire di aver superato la prova del tempo a medio-termine e che vincerà anche la prova superiore. La storia è assai semplice e abbastanza piana, senza arditi risvolti: un importante professore di filologia classica legge inaspettatamente una lettera anonima su una rivista di settore La voce degli antichi nella quale viene attaccato personalmente sia sul piano tecnico che sul personale. La lettera, breve e concisa, riesce nell’intento di sconvolgere la vita del professore. Costui ne viene in breve conquistato, giacché le parole sono il suo regno e con le parole sole si poteva far breccia nelle sue più intime convinzioni e divellere i suoi più intimi sentimenti. E’ il crollo, lucido e violento. Chi può essere stato? Perché? Bisogna rispondergli? Inizia, così, una discesa nell’angoscia, che avvinghierà il professore sino a stritolarlo e imporgli nella mente la necessità di scoprire a qualunque costo il nome dell’autore. Dopo vari tentennamenti, decide di rispondere alla lettera anonima, ma non si sa se questa scelta abbia comportato più danni che guadagni. Intanto la sua vita si complica. All’università perde sempre più spesso la calma. I colleghi incalzano, non gli par vero. Nella vita privata la moglie tentenna: lo tradirà? Ma lui è lontano, non trasmette amore, e non comprende più neppure quanto la sua relazione con una studentessa sia un tradimento deplorevole in sé e lo costringa a seguire il discutibile talento poetico della ragazza. I personaggi che lo circondano non sono da meno. E tutti potrebbero essere il suo peggior nemico.

Strategia di attacco – Il terzo capitolo de L’arte della guerra


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Lo scopo di un combattimento non è quello di distruggere un nemico ma è quello di ridurlo all’impotenza per conquistarlo intatto. Un nemico distrutto non è più niente, un nemico impotente è costretto a eseguire gli ordini del vincitore. Attività di suprema importanza per vincere il conflitto: sconvolgere la strategia del nemico, spezzare le alleanze, attaccare il suo esercito, non assediare le sue città fortificate. La presa di una città fortificata ha un costo dispendioso in termini di tempo ed energie, per tanto, l’attacco ad una fortezza è quasi sempre privo di grande utilità. Il comandante abile è colui che assume come fine la vittoria suprema e non si discosta da tale direttiva, sicché la massima abilità è nella conquista senza combattere. Le condizioni della vittoria sono le seguenti: il sovrano non deve interferire con le decisioni del generale e il generale deve essere capace; tutti gli uomini dell’esercito sono animati dal medesimo scopo; bisogna sapere quando è il momento di attaccare e quando non lo è; bisogna saper comandare un esercito, piccolo o grande che sia; bisogna essere preparati ad ogni imprevisto. Conosci te stesso, e il nemico non potrà mai batterti: conosci te stesso e il nemico, e sarai invincibile.

Operazioni belliche – Il secondo capitolo de L’arte della Guerra


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La guerra trae la sua possibilità dai mezzi materiali che si posseggono. La durata di uno scontro dipende dalla propria capacità di reggere lo sforzo fisico richiesto per sostenerlo. Lo sforzo bellico, qualche che sia la sua natura, richiede energie prolungate per il suo mantenimento e il consumo delle energie abbatte le forze e il morale, sicché laddove non c’è una mente salda, non c’è braccio che funzioni. La conoscenza dei problemi inerenti al confitto mostrano chiaramente il prezzo per cui si combatte e lo rendono quantificabile. In questo senso, la rapidità in guerra è una duplice virtù: rende minimo il consumo di energie vitali e raggiunge l’obbiettivo.

Il secondo capitolo de L’arte della guerra tratta delle ripercussioni dell’economia di guerra, intesa in senso più ampio del solo dispendio economico. Sun Tzu mette in evidenza la necessità di pensare al conflitto come ad una condizione di perpetuo e perdurante consumo di risorse materiali ed energie psichiche e fisiche. La catena che lega l’esercito alla madrepatria alimenta un circolo vizioso di impoverimento fisico ed economico e, conseguentemente, morale, ciò inteso nella dimensione emotiva della parola. Un esercito deve cercare di sostenersi esclusivamente sul territorio nemico, così da ridurre la forza dell’avversario senza imporre il pericoloso circolo vizioso. Questo è espresso con tutta l’acutezza e profondità delle parole di Sun Tzu: