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Autore: Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

Chess, the mirror of geopolitics – Chess as cultural space of world competition

StarFlames (pixabay.com)

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Chess and geopolitics, chess as a mirror of geopolitics! In this short post chess is presented as the representation of the current geopolitical competition. Chess has traveled the history of humanity from East to West. And now probably chess is returning to the (far) East. The strongest players in the world statistically are already non-Westerners: Chinese, Russian and other nations. During the last world championship (2018), two Western players from NATO block countries competed: USA – Caruana, grown in Italy, a long-time NATO country that also hosts the American atomic warheads and has 12,000 American soldiers, thirds or quarters by number exceeded only by Germany, Japan and South Korea; and Magnus Carlsen from Norway, a NATO country and among the closest to the UK-US influence at least since the Arctic ice has stirred the joint interest of Russia, China and the United States for the control over the new routes of maritime trade, which moves 90% of all world commercial traffic.

Chiarimenti sul liberalismo – Parte 2

Per capire meglio la natura del pensiero liberale a seguito dei due articoli sull’efficienza morale e sulla valutazione morale delle istituzioni pubbliche


Queste note sono nate da una bella conversazione con un nostro interessato lettore, che ha posto molte obiezioni pertinenti e classiche al pensiero liberale. Vivendo in un periodo che dice di essere liberale ma invece è illiberale alla radice, tali obiezioni sono interessanti per qualunque lettore di SF. Riporto solo le mie risposte.

Liberalismo, causalità e determinismo – Una difesa
Tre osservazioni. (a) Il liberalismo è compatibile con il determinismo forte – come lei suggerisce. Per il liberale ciò che conta è la possibilità d’azione in conformità con l’elaborazione dei valori a seconda di quanto uno crede o pensa. Questo l’ho esposto con molta chiarezza essendo io stesso un causalista (cioè ritiene che il libero arbitrio è un’idea filosofica errata). Questo è stato esplicitamente scritto dall’articolo “Efficienza come precondizione e valore morale“. Lì la posizione va proprio in linea con quelle evidenze empiriche che sembrano mostrare che il libero arbitrio non è in linea con le ultime ricerche scientifiche. (b) Le evidenze empiriche non eliminano la validità di alternative in questo senso. Primo, il libero arbitrio – come sosteneva Kant che era in parte causalista anche lui – è una condizione a priori e quindi non validabile empiricamente tanto è che Kant stesso lo pone come principio morale ma come indimostrabile – né sconfiggibile (come antinomia della ragione). Secondo, le evidenze scientifiche non dimostrano niente perché non sono appunto relative alle scienze dimostrative ma empiriche e, in quanto tali, suscettibili di revisione empirica. Ma in ogni caso, una tesi metafisica come il libero arbitrio rimane valida (difendibile) anche in presenza di limiti. Inoltre, il fatto solo di dire che siamo animali sociali – e quindi limitati nell’azione da elementi esterni – non significa niente se non che esistono limiti esterni. Nessun liberale direbbe il contrario. (c) Siamo passati da una analisi del liberalismo ad una analisi della libertà. Tornando al liberalismo, di nuovo, non c’è scritto da nessuna parte che il soggetto razionale è un solipsista morale. Inoltre, ma una visione alternativa in cui tutti è riposto nei fattori esterni non aiuta neppure le visioni contrarie. Sostenendo quanto sostiene, semplicemente qualsiasi visione politica diventa priva di responsabilità individuale che ricade nel paradosso che allora davvero nulla dipendendo dall’individuo tutto dipende da un non conclamato gruppo. In poche parole, una persona non risponde a me come libero cittadino razionale. Costui non esiste. Costui è un’istanza di un gruppo che si “materializza” (vallo a capire in che modo) e che mi scrive senza alcuna razionalità personale per mezzo di restrizioni naturali e sociali. Come dovrei prendere un’entità siffatta? Dal mio punto di vista, dovrei dire che non piacendo rispondere ad una macchina preimpostata non dovrei neanche rispondere. Invece, io credo che costui ha un suo punto di vista, che probabilmente non condivido ma che ha tutta la libertà e liceità di affermarlo e io ho la scelta di replicare o no. Siccome credo nel libero mercato delle idee e nel fatto che bisogna discutere per migliorare io e il lettore, rispondo supponendo che chi mi scrive sia un individuo le cui azioni sono sue in senso nitido – causalista o non causalista – e che costui è responsabile di esse. La sua storia personale, la sua appartenenza sociale (le varie, dalla famiglia, al rione alla città etc.) non mi interessano perché esse non eliminano la sua individualità e il fatto che costui è libero di causare il mondo in tal modo che io devo leggere e scrivere per dire il mio punto di vista.

Sorites goes to war – For an ontology of war

Metropolitan Museum of Art / CC0

Pili G., (2020), “The wild bunch is enrolled to the army – Sorites paradox and the problems for the ontology of war”, Areté – International Journal of Philosophy, Human & Social Sciences, VOL. 5, 231-249.

It is with my great pleasure to announce the publication of my last peer-review paper! You can find it here! Don’t wait to download and quote it!


Table of contents: 1. Introduction; 2. The wild bunch is enrolled into the army; 3. Toward an
ontology of war thinking through the Sorites paradox; 4. Conclusions


Abstract1 gunshot is not a war, 2 gunshots are not a war… are 1 million gunshots a war? There is no such thing so investigated as war and, at the same time, still so outcasted theoretically. Ambiguity, vagueness and logical conundrums lay unsolved in the very hardcore of the several theories that considered war from a general perspective and, then, philosophically committed explicitly or implicitly. It is not the experience and observational data we lack but the general
ability to generalize and expand our knowledge beyond what we can directly observe empirically and historically. Sorites arguments are everywhere in war theories: vagueness and ambiguities of many shapes inform the literature. Only a philosophical account of war can solve some of those issues: an ontology of war is needed to bring light into the heart of darkness. 

Chiarimenti sul liberalismo – Parte 1

Per capire meglio la natura del pensiero liberale a seguito dei due articoli sull’efficienza morale e sulla valutazione morale delle istituzioni pubbliche


Queste note sono nate da una bella conversazione con un nostro interessato lettore, che ha posto molte obiezioni pertinenti e classiche al pensiero liberale. Vivendo in un periodo che dice di essere liberale ma invece è illiberale alla radice, tali obiezioni sono interessanti per qualunque lettore di SF. Riporto solo le mie risposte.

Military virtues – An individual perspective – 3

By Ssolbergj – The vexilloid of the Roman Empire

Always keeping in mind the importance of the classical period of Roman history, Vegetius suggests that the best soldiers are peasants in peace: they are more accustomed to the harsh reality of hard work for surviving, to the difficulties of a merciless and uncomfortable life. They are also well-motivated people not to die because they have a lot to lose. Even if it was not the subject of (fairly recent) studies, it was already clear in the past that humans considers the fear of loosing more relevant for making decision than betting to get something more. One strives for the defense of what already owns, rather than the love of risk for something better. According to the studies of neuroeconomics, this is true for a ratio of 2/1, so that peasants already have several virtues useful from a military point of view.

Efficienza come misura morale delle istituzioni pubbliche

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Esaurito il discorso per l’individuo possiamo fare un breve salto verso enti sociali – i cosiddetti “agenti plurali”. Non ho intenzione di addentrarmi nella disamina specifica della loro natura metafisica, ma considero gli “agenti plurali” banalmente tutti quegli enti formati da esseri razionali tali che la somma degli individui è capace di generare credenze collettive. Ad esempio, uno stato è un agente plurale perché gli si possono attribuire delle credenze che, in ultima analisi, possono essere diverse dalla somma delle credenze dei singoli individui che lo costituiscono. La modalità di aggregazione della credenza collettiva è irrilevante in questa sede, ma non lo è in senso assoluto – naturalmente.

L’efficienza è un valore morale

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/b3/Increased_Efficiency_TEXT4.png

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Metaefficienza ed efficienza come precondizione e condizione dell’agire morale

1. Introduzione

L’efficienza non è spesso avvocata nel novero dei valori morali fondativi come, ad esempio, il dovere verso se stessi o il dovere verso gli altri. A chi sposa una certa religione, al dovere verso sé e gli altri (per altro comandati dall’assiologia religiosa quasi universalmente – per quanto ne sappia), si deve aggiungere il dovere verso la divinità. Dato che quest’ultimo dipende intrinsecamente da una visione religiosa di sfondo – quale che essa sia – non lo considereremo al pari del dovere verso se stesso e verso gli altri per la semplice ragione che essa non è parimenti universale rispetto alle possibili declinazioni della morale. Intanto, qui con “morale” intenderemo un insieme di principi che fondano i concetti stessi di “dovere verso se stessi” e “dovere verso gli altri”. Non ha qui importanza la distinzione tra approcci normativi o approcci descrittivi all’etica in quanto qui vogliamo solamente fissare un punto che, a nostro giudizio, risulta piuttosto oscurato, ovvero che se una persona intende sviluppare un atteggiamento etico di qualche sorta – di qualunque essa sia – l’efficienza deve necessariamente rientrare come valore derivato del suo stesso approccio.

Assonanze tra Hans Kelsen e David Hume

https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Hans_Kelsen_(Nr._17)_-_Bust_in_the_Arkadenhof,_University_of_Vienna_-_0291.jpg

Hans Kelsen fu uno dei più grandi giuristi del novecento e fonda la sua “teoria pura del diritto” su un fine piuttosto preciso: chiarificare il ruolo del diritto, riportarlo alla luce al di fuori di filtri di scienze al diritto estranee. Questo fine può essere raggiunto solo specificando quale è l’ambito d’indagine della giurisprudenza e quali siano i limiti del diritto stesso. Il problema maggiore della scienza del diritto è quello di riuscire a separarsi da tutte le altre scienze a cui, spesso, i giuristi fanno appello. Il diritto deve essere analizzato di fronte a se stesso e null’altro. La questione si presenta secondo diverse angolature, a seconda del rapporto di dipendenza del diritto con altre concezioni a sé estrinseche: la scienza della natura, la morale e la religione.

Vegetius and the principles of war – 2

Vegetius’ analysis is grounded on three main assumptions. They are the conditions to define a good army:

(EB) An army is good if and only if

(a) is organized rationally,

(b) each unit is efficient in relation to its role,

(c) is able to have sufficient means to act.

Points (a) and (b) are poorly formulated because they already imply and require a quality assessment, which makes the Vegetius’ definition slightly circular – it implies already an account of what a good army is even though he is explaining exactly that point. However, at least in the first glance, these principles immediately able to be grasped by anyone who is not a philosopher who naturally needs more rigor. In any case, let’s eliminate the problematic terms (“rational” and “efficient”) to obtain greater clarity regarding our topic:

The Art of War – Publio Flavio Vegezio Renato – 1

yeowatzup / CC BY (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)

The Art of War (De rei militaris or Epitoma de rei militaris) is a classic of war studies. It has a particular descriptive value and not strictly strategic, that is, not so much focused on a normative dimension (principles of war and what I’ve called pure theory of war). Publio Flavio Vegezio Renato (from now only Vegetius, as it is universally known in English) is not substantially interested in general and strategic elements of war and “military art”. Therefore, he is not so much interested in what we would say today the part of war most connected with the state politics (or an empire) or concerning the nature of the strategic planning of the military campaign. Rather, he is a historian and tactician of the classical Roman era. Let it be said straight away that the Vegetius’ Art of the war is not a text written in the Rome’s Republican period but during the epigonic phase of the empire (4th century AD). The influence of the classical Roman period (understood in the period between the monarchic and the republican period up to Augustus included in this broad concept of Latin classicism) extends for all the pages of the work of Vegetius. He was far by considering the Roman imperial mandate as ended with the center of gravitation of civilization. He tries to find the reasons why the ancient Roman armies had made the city the center of the known world (by the Romans).