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Autore: Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

Team of Teams e la riflessione del gen. Stanley McChrystal

McChrystal, Stanley, (2015), Team of Teams, Penguin, New York.


…even the best technology and the finest intelligence cannot tell you exactly what to expect.

what worked in the twentieth century could not hold forever.

Stanley McChrystal

 Team of Teams è un libro scritto dal (ret.) generale Stanley McChrystal, insieme ad altri tre autori (Tantum Collins, David Silverman e Chris Fussell). Il libro è edito dalla Penguin di New York nel 2015. Si tratta indubbiamente di un lavoro estremamente originale, intelligente e, soprattutto, molto utile.

Team of Teams è un’opera ampiamente multidisciplinare, in cui si intersecano i principi dell’arte della guerra con il management scientifico, l’ingegneria e l’intelligence. Il lettore potrebbe essere sorpreso dal fatto che il libro probabilmente più citato non è il Von Krieg di Carl Von Clausewitz, né tanto meno L’arte della guerra di Sun Tzu o altri lavori del pensiero militare e strategico. Invece è il The principles of scientific management (1911) di Frederick Taylor, l’ideatore e l’inventore della catena di montaggio. Infatti, Team of Teams nasce dall’intersezione dell’arte militare con l’arte del management e il risultato è sorprendente.

La guerra fredda – Stanislas Jeannesson

La guerra fredda è un libro di Stanislas Jeannesson edito per Donzelli nel 2002. Si tratta di una sintesi estrema della storia del conflitto tra il blocco occidentale, guidato dagli USA, e il blocco sovietico, a cui capo era l’URSS. Il libro non ha alcuna pretesa esaustiva ed è piuttosto stringato, nelle sue 124 pagine di contenuti, in una edizione piuttosto comoda da leggere per la grandezza del carattere e per la dimensione dei margini. Considerando che la guerra fredda è durata circa cinquant’anni, ogni pagina più o meno tratta quattro mesi. Se poi si aggiunge che quasi la metà del libro è spesa per ricostruire i primi anni, pur fondamentali, dell’avvio della guerra (cioè dai primi incontri di Teheran e Jalta al 1953, data della morte di Stalin), possiamo comprendere quanto stringato sia questo volume.

Dove è l’informazione di politica estera?

Questo articolo non ha grandi contenuti da offrire e lo scrivo soltanto perché più di una persona mi ha chiesto quali sono le mie fonti di aggiornamento circa tematiche complesse di politica estera. Prima di enunciare l’insieme di fonti da cui normalmente traggo le mie informazioni, vorrei specificare alcuni principi guida. Mi farò guidare da alcune delle più frequenti domande che mi vengono rivolte e a cui ogni volta devo dare risposte simili. Esse sono molto più diffuse di quanto non si pensi:

1. E’ vero che l’informazione dei media tradizionali non è attendibile?

Da filosofo, mi verrebbe da chiedere “cosa intendi con la parola attendibile”. Se con “attendibile” vuoi dire che è “realistica”, intendendo “che rappresenta la realtà dei fatti” allora sono relativamente attendibili. Qualcosa là fuori nel mondo esiste. Se con attendibile intendi “affidabile”, allora le cose purtroppo non stanno necessariamente così. Con “affidabile” intendo che le descrizioni dei fatti sono statisticamente più vere che false (anche all’interno dello stesso insieme di informazioni, ad esempio un servizio specifico di telegiornale). Infatti, bisogna fare un discrimine tra i media. I media tradizionali sono molto utili per questioni di politica interna o per fatti su cui dispongono di personale addetto sul campo (quindi la strage di paese, anche se molto polarizzata o strumentalizzata, può essere descritta efficacemente). Infatti, è possibile che i media tradizionali forniscano una particolare valutazione dei fatti, ma dietro alla valutazione si riesce a rintracciare i fatti. Mentre la politica interna non è tanto una questione di fatti, quanto di analisi, idee e valutazioni: cosa che si può fare senza impegnarsi sulla resa concreta di fatti. Ci vuol poco a parlare di ciò che un politico ha fatto, mentre ci vuole molto per capire se quel che ha fatto ha un senso. Cosa del tutto diversa, invece, è la politica estera proprio perché è elusiva e va compresa attraverso lunghe analisi storiche che, usualmente, non vengono offerte al pubblico e si è lecitamente disposti a sospettare che le si conosca anche a grandi linee. Inoltre, le informazioni sui fatti lontani (per esempio, notizie provenienti da qualche teatro di guerra) vengono acquistate da pochissime agenzie di informazione, di origine angloamericana.

Intervista a Volfango Rizzi sulla conferenza di scacchi a Voghera il 7 ottobre

Il giorno 7 ottobre alle ore 16.00 si terrà a Voghera una conferenza nazionale sugli scacchi dal titolo estremamente interessante e affascinante: “Scacchi, mente e letteratura”. La conferenza ha un programma piuttosto ricco sia di contenuti che di interventi. Per fornire un quadro esaustivo abbiamo intervistato Volfango Rizzi, organizzatore dell’evento (qui la locandina: Scacchi, Mente e Letteratura):

 

(a) Caro Volfango Rizzi, presidente dell’ASE960 (Associazione Scacchi960 e Scacchi Eterodossi), quale è stata la motivazione che ha guidato alla scelta del tema “scacchi, mente e letteratura”?

Mi dedico molto agli scacchi giovanili e studenteschi e trovo personalmente interessante il tema dei possibili benefici sulla mente da parte di questa disciplina. So che vi sono state delle recenti ricerche, anche nel nostro paese, sull’argomento dei benefici dell’insegnamento degli scacchi ai fanciulli. Ritengo quindi che sia interessante sviluppare questa tematica sotto molteplici aspetti: medico, psicologico e pedagogico. Ritengo però stimolante allargare l’orizzonte e trattare anche i rapporti tra il mondo degli scacchi e letteratura, matematica, storia e filosofia.

A Savage War of Peace – Algeria 1954-1962. Alistair Horne

 

A Savage War of Peace narra le vicende della guerra di Algeria, combattuta tra la Francia e tra i diversi gruppi di liberazione nazionale, tra cui FLN (Fronte di Liberazione Nazionale). Si tratta di una delle guerre più ignorate dall’Europa Occidentale, perché la sua cattiva coscienza viene semplicemente messa a nudo.

(1) E’ stata una guerra durata di fatto più di otto anni, in un territorio da sempre mira del controllo delle potenze dell’Europa (dall’impero romano in poi) per ragioni che oggi diremmo “geopolitiche”, ruggente parola di moda che si applica sempre volentieri, come il silicone Saratoga, utilissimo per appiccicare qualsiasi cosa. (2) La guerra in Algeria è iniziata quasi subito dopo la seconda guerra mondiale: egli europei pacifici, gente saggia. (3) I francesi non hanno risparmiato nessun mezzo a loro disponibile pur di ottenere la vittoria (mancata), compresa la tortura, l’uso dell’air power, il napalm e le catastrofiche rappresaglie più o meno spontanee sulla popolazione civile chiamate in modi irripetibili, tra cui ratonnade e varianti che anche un lettore digiuno della lingua della diplomazia estinta come me sa benissimo comprendere nel suo pieno senso derogatorio. (4) I risultati della guerra sono stati catastrofici per la Francia, che ha rischiato il colpo di stato militare, la guerra civile e che ha visto il termine della quarta repubblica.

La peste – Albert Camus

Un libro di intensità simile? La pelle di Curzio Malaparte!

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Questo genere d’evidenza o di timore, in ogni caso, manteneva nei nostri concittadini il senso dell’esilio e della separazione. Al riguardo, il narratore sa perfettamente quanto sia increscioso non poter qui nulla riferire che sia veramente spettacolare, come a esempio di qualche edificante eroe o di qualche straordinario gesto, simili a quelli che si trovano nei vecchi racconti. Gli è che nulla è meno spettacolare d’un flagello e, per la loro stessa durata, le grandi sciagure sono monotone. Nel ricordo di coloro che le hanno vissute, le terribili giornate della peste non figurano come grandi fiamme interminabili e crudeli, ma piuttosto come un ininterrotto calpestio che tutto schiacciava al suo passaggio.

Albert Camus

La peste è un romanzo di Albert Camus, edito nel 1947. Si tratta di un libro intelligente, ovvero la cui costruzione è frutto di un’idea molto semplice ma da cui tutto si dipana: come sarebbe il mondo di una città di medie dimensioni se, all’improvviso, arrivasse il flagello più terribile che l’umanità abbia conosciuto per secoli? Già solo per questa semplice intuizione, il libro meriterebbe una sua storia e sicuramente una sua lettura. Esso può essere accostato facilmente ad un’opera di fantascienza, in cui tutto si gioca ideando un mondo alternativo ben poco diverso dal nostro, magari alterando, appunto, un semplice dettaglio. Il “dettaglio” qui è la peste.

La storia è ambientata ad Orano, città dell’Algeria francese. Non si potrebbe avere una ambientazione più ideale per l’inscenamento di una grande tragedia. Infatti, la tragedia nasce quando il tessuto ordinario della vita quotidiana viene stravolto, ovvero quando non c’è uno sfondo eroico, grandioso a sostenere il dramma ma la semplice vita attesa che si svolge esattamente come solitamente avviene. Il risultato non è, allora, la rivoluzione o il cambiamento subitaneo di Orano. Al principio nessuno ci crede, poi qualcuno ne inizia a parlare con circospezione, dopo un po’ si ammette e non si ammette il problema e infine le autorità timidamente reagiscono. Ma poi la tragedia non si può più negare e tutti agiscono come possono alla morte che entra nelle case, in un modo atroce ed orribile. Alla fine ben pochi sopravvivranno al flagello ma non tutti moriranno.

Il ragionamento umano e le sue differenze con il ragionamento formale

Siamo sicuri di sapere come ragioniamo? Non come dovremmo ragionare, non come crediamo di ragionare, ma come ragioniamo effettivamente. Per almeno un secolo e mezzo, cioè dalla metà del XIX secolo siamo dominati dal paradigma della logica formale, che già si riallacciava al modello della geometria euclidea: pochi assiomi, pochissime definizioni, poche regole di inferenza e molti teoremi, la cui garanzia risiede nella trasparenza dei pochi assiomi, delle poche definizioni e delle poche regole di inferenza. L’idea era fondare l’intera matematica, qualsiasi cosa essa sia, su poche nozioni teoricamente trasparenti o inoppugnabili, la cui combinazione doveva essere garantita dai principi della logica. Da qui il celebre detto di Russell e Wittgenstein che nella logica non ci devono essere salti perché è il regno della banalità.

Il passo successivo è stato riuscire ad implementare tale linguaggio formale di natura combinatoria nei computer, che altro non sono se particolari sistemi formali (macchine di Turing universali). Alla fine, siamo arrivati a domandarci se queste macchine pensino, visto che seguono le nostre stesse regole quando ragioniamo. Non intendo addentrarmi in quest’ultimo problema, che va affrontato con altre risorse filosofiche (per esempio, Pili (2012), cap. 8 o per esempio il video qui), prendendo sul serio le teorie dell’intelligenza artificiale e del funzionalismo della filosofia della mente analitica. Invece vorrei dedicare questo articolo all’altro problema che, per altro, è raramente considerato, ovvero il ragionamento umano per come si presenta.

[Segnalazione][Youtube] Joseph Conrad – Temi e riflessioni di un autore tra due secoli

E’ disponibile il video della ricostruzione di un mio “intervento” tenuto a Cagliari qualche settimana fa su Joseph Conrad. Come sanno i lettori, Conrad è una mia passione ed è sempre stato oggetto dell’attenzione particolare da parte di SF. Colgo questa occasione per ringraziare Eugenio Dessì e Danilo Mallò che mi hanno gentilmente invitato a presentare il mio punto di vista su questo autore per me così importante.

Auguro a tutti una buona visione.


La dignità come proprietà morale formale e sostanziale del soggetto morale

La dignità è una parola che viene usata ordinariamente per indicare il riconoscimento del diritto di esistere, ovvero non esattamente il diritto in sé quanto la sua attribuzione a qualcuno. Eppure, definire la dignità è un problema non ordinario proprio perché sembra che la parola sia un valore elementare e inalienabile dell’individuo umano. Eppure molto del dibattito pubblico incentrato su questo termine risulta piuttosto insoddisfacente. Non è mio interesse qui fare una analisi storica del concetto, ma vorrei proporre alcune distinzioni e chiarificazioni su questo termine per poi proporre una posizione in linea con l’approccio morale neo-kantiano che ho proposto in altro loco.

La dignità è una parola ambigua perché identifica due generi diversi di proprietà. Anche senza ancora definire la parola, si può distinguere un uso de re da un uso de dicto della dignità. In un caso, la dignità è attribuita da qualcuno a qualcun altro o a qualcos’altro (uso de dicto). Nell’altro caso, la parola viene invece considerata nell’oggetto (de re), ovvero il fondamento ultimo della sua ragion morale. Alcune parole ammettono una distinzione de re e de dicto che, però, non si distinguono così tanto nettamente: posso attribuire una credenza a Giulio Cesare (uso de dicto della parola “credenza”) che è anche proprio in Giulio Cesare (uso de re della parola). Per rendere invece evidente il caso di divergenza dei due tipi di uso, ad esempio quando attribuisco una credenza ad un organismo molto semplice (“un virus crede di farla franca rispetto al sistema immunitario”…) sto usando la parola “credenza” in senso de dicto ma non de re (un organismo unicellulare non ha credenze). Nel caso della parola “dignità” le cose stanno diversamente. Infatti, posso attribuire dignità anche ad altri esseri o oggetti nei quali non si può dire che la parola assuma lo stesso significato che nel caso in cui essa venga applicata (per esempio) a se stessi. Posso attribuire una certa dignità ad un cane ma la mia dignità è qualcosa di connaturato a me stesso ed è presente anche se nessuno me la riconoscesse.

Epitteto – Vita e Opere


Vita

Epitteto nacque attorno al 50-60 dopo Cristo. Molto probabilmente fu schiavo dalla nascita a servizio del liberto Epafrodito. La tradizione diverge nel riportare l’esperienza dello schiavo: c’è chi sostiene che ebbe un trattamento giusto, chi, per contrario, che n’ebbe uno irriguardoso. Tuttavia, si è certi che Epafrodito stimasse Epitteto per le sue indiscusse qualità morali. Probabilmente, perché Epitteto non era un uomo avezzo alle furberie proprie di quegli uomini che sogliono arrangiarsi come possono: egli stesso porta ad esempio il caso del servo negligente e furfante e del padrone truffato che, però, non è giustificato a tribolarsi per ciò. Nel 68 viene liberato e incomincia a professare la sua dottrina a Roma ed ha un certo seguito. La sua scuola è aperta anche alle donne, come nel caso degli epicurei e, d’altra parte, non si trova traccia di disuguaglianza tra i sessi nei discorsi di Epitteto che, invece, sembra invocare una parità filosofica più ampia e più giusta. E’ costretto ad emigrare dalla capitale del mondo per via dell’editto di Domiziano, una legge poco conosciuta e non sufficientemente documentata nei libri di storia dei licei, che vietava la libertà di parola filosofica in Roma. Epitteto, non essendo in suo potere rimediare alla legge ma essendo nelle sue possibilità continuare l’insegnamento altrove, preferisce dirigersi in altro luogo per professare liberamente la sua filosofia. Egli arriva sino a Nicopoli, città dell’Epiro, e lì vi rimane fino alla morte, avvenuta tra il 135 e il 145 dopo Cristo.