Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Studia lo sviluppo del ragionamento morale nella prima infanzia e i meccanismi cognitivi che ci permettono di interpretare il complesso mondo sociale nel quale viviamo. Collabora con la rivista di scienze e storia Prometeo e con la testata on-line Brainfactor. Per Scuola Filosofica scrive di scienza e filosofia, e pubblica un lungo commento personale ai testi vedici. E' uno storico collaboratore di Scuola Filosofica.
Altri tre passi (tratti questa volta dalla Bhagavad-gita: IX,4-5; X,2-3e20e39-41; XIII,15 – dunque non propriamente dai Veda) per chiarire un concetto vedico veramente fondamentale: tutto sta e proviene dall’Uno, anche se l’Uno non sta completamente nel tutto.
Passiamo a discutere alcuni passi delle Upanisad, che trattano, al pari dei testi vedici visti in precedenza, del tema del «principio», anche se lo fanno con una maggiore attenzione rivolta verso i problemi e le conseguenze relative al principio dell’essere in quanto principio ontologico dell’uomo, piuttosto che principio di formazione storica o mitologica, ovvero nell’ottica dello sviluppo dell’autocoscienza individuale come analogo allo sviluppo di creazione di tutte le cose viventi. Ci riferiamo ai sei passi seguenti: Brhadaranyaka-upanisad (I,2,1; I,4,1-5 e 17), Aitareya-upanisad (I,1,1-4), Taittiriya-upanisad (II,6,7), Svetasvatara-upanisad (IV,18), Mundaka-upanisad (I,1,6-7).
Siamo ancora nel regno del Nonessere, prima dell’inizio, ancora privi di spazio e tempo, se mai è possibile col pensiero avvicinarsi ad un’idea (chiara) di ciò. Degli “avvenimenti accaduti” in questi tempi non tempi, ed in particolare dell’atto con cui Prajapati inizia la creazione mediante il sacrificio di sé stesso, ci parlano anche i Brahmana, in diversi luoghi (Satapatha-brahmana II,2,4,1; XI,1,6,1; XI,1,6,17; XIII,7,1,1; III,9,1,1; X,4,2,2; VI,1,2,12-13; Taittiriya-brahmana II,3,6,1).
In principio, in verità, il Signore delle creature era Uno solo. Egli meditò «Come posso propagarmi?» Egli infiammò il proprio ardore con fervore […] In principio, in verità, questo mondo era acqua […] Le acque desiderarono «Come possiamo propagarci?» Esse infiammarono il proprio ardore con fervore …
Sempre dal Rg-veda (X,90), uno dei passi più interessanti incontrati fin’ora, riguardante l’Uomo Cosmico e la creazione dell’universo per mezzo del sacrificio di esso. Il Purusa o Uomo Cosmico è sia il concetto di uomo esteso all’intero cosmo esistente e agli dei, sia il concetto del cosmo, o in generale della totalità dell’esistente, inteso con le categorie proprie dell’uomo. Forse è più semplice definire l’Uomo Cosmico attraverso la chiarificazione del suo ruolo all’interno del processo creativo della realtà. Egli, attraverso il sacrificio di se stesso, dà la possibilità alla realtà di essere e divenire; il suo corpo è smembrato e dilaniato di modo che la molteplicità degli esseri possa sussistere – e questo significa, per converso, che la molteplicità degli esseri partecipa di un solo Essere, appunto l’Uomo Cosmico. Ma vediamo cosa ci dice con esattezza il passo X,90 del Rg-veda.
Mille teste ha l’Uomo / mille occhi, mille piedi; / cingendo la Terra da ogni lato, / la superò per l’ampiezza di dieci dita.
Il passo è preso dal Rg-veda (X,121), ed è in sostanza una preghiera e un inno di lode e glorificazione al dio primo, responsabile della creazione (Signore delle creature = Prajāpati). A questo dio, l’unico a pervadere (paternamente) tutto ciò che è vivente (il che sta a dire che esso è la fondamentale condizione necessaria delle forme viventi), viene chiesto di esaudire i propri desideri, così da venire in possesso di molti doni (rayi, tesori; la cui sostanza non viene comunque esplicitata).
Il presente passo, tratto dall’Atharva-veda (X,7), ragiona attorno al concetto di sostegno, colonna, pilastro del tutto (ovvero di skambha). Esso si divide in due parti; nella prima viene fornita indirettamente, attraverso domande che chiedono dell’identità dello skambha, una descrizione del sostegno del cosmo, nella seconda ne viene fornita una descrizione diretta, per mezzo dell’elencazione di proprietà.
Il testo chiamato Nasadiya Sukta appartiene al Rg-Veda (X,129), e ci parla del darsi dell’essere dal non-essere, del principio primo non principiato. Rispetto all’ultimo testo visto, in questo è del tutto chiaro l’atteggiamento del compilatore: egli vuole soprattutto renderci partecipi del dubbio e del senso di mistero che circondano i primi movimenti dell’essere.
Traggo il contenuto di questa riflessione dal capitolo primo del volume La filosofia nell’età della scienza, volume il quale raccoglie i più recenti saggi filosofici di Putnam[1].
Oggi si pone cogente la domanda sul posto della filosofia nell’insieme complessivo del sapere dell’uomo. Ci si interroga sia sul posto sia sulla stessa legittimità e utilità del sapere filosofico, dunque, prima, se in generale vi è un posto per la filosofia, e poi, se sì, qual è.
È venuto il tempo di chiarire in un sommario il piano dell’opera. L’antologia è suddivisa in sei parti, così chiamate: I. Aurora e nascita; II. Germinazione e crescita; III. Fioritura e pienezza; IV. Tramonto e declino; V. Morte e dissoluzione; VI. Nuova vita e libertà. Come si intuirà dai titoli delle parti, l’antologia organizza i testi all’interno di una struttura che si compone in analogia a quella, lineare, presente nel processo di crescita e sviluppo dell’essere vivente.
Cominciamo senz’altro dalla prima parte: aurora e nascita, la quale è suddivisa a sua volta in cinque parti: I. Preludio (alla nascita dell’Essere); II. La Parola; III. Gli elementi; IV. Il Signore; V. L’emergere della vita. Ogni parte è composta da diversi testi, che presenteremo in maniera autonoma. Il preludio consta di otto parti, le quali, perlopiù, sono composte ognuna da poche unità di passi, e tratta di ciò che viene prima della realtà, ovvero del suo fondamento. I passi sono raccolti, ad ogni livello di raggruppamento, secondo la logica dell’analogia del contenuto; dunque è possibile discutere di passi provenienti da diverse fonti (pur sempre all’interno dell’offerta dei Veda), ma costantemente nell’ottica di chiarire un unico (o pochi e tra loro legati) problema, contenuto o aspetto del discorso generale dei Veda.
Il testo di apertura del preludio appartiene alla Taittiriya-brahmana (II,2,9,1-2). È la descrizione del primo passaggio, ovvero del passaggio dal nonessere all’essere.
Al principio, è certo, nulla esisteva, / né il cielo, né la terra, né lo spazio fra i due. / Allora il Nonessere, avendo deciso di essere, divenne spirito e / disse: «Possa io essere.» Riscaldò se stesso / e da questo calore nacque il fuoco. Si scaldò ancora di più / e da questo calore nacque la luce.