Press "Enter" to skip to content

114 search results for "Aristotele"

Riflessioni sulla felicità – La passione, i vizi umani e le virtù umane secondo Aristotele, Tommaso d’Aquino e Spinoza

Abstact: Lo scopo di questo articolo è focalizzare in poche pagine alcune concezioni tradizionali sulla felicità portandone all’evidenza gli aspetti essenziali emergenti dal complesso, articolato e millenario sistema concettuale che le caratterizza. Un’interpretazione dell’etica svolta sulla base delle riflessioni di Aristotele, Tommaso d’Aquino e Baruch Spinoza, con il fine di rendere chiara e fruibile la ratio che definisce il concetto tradizionale di felicità, per mostrarne la concretezza e l’attualità anche tramite esempi. Il punto di partenza è l’Etica Nicomachea di Aristotele, scelta per la sua caratteristica di proporre un concetto di felicità concreto e alla portata della vita reale, rispettoso nei confronti del gioco delle passioni, dell’amicizia, della misura delle capacità personali e della disposizione di ogni singolo nell’orientamento etico. Ho voluto accompagnare i punti salienti dell’etica aristotelica con le spiegazioni del più grande interprete medievale del filosofo di Stagira: Tommaso d’Aquino. Il santo ci offre un quadro estremamente sintetico, che ha introdotto con una lucidità senza precedenti nel cuore della Chiesa Cattolica e nella storia medievale la filosofia dello Stagirita e la suddivisione delle virtù proposta da Platone, fornendo anche una descrizione altrettanto chiara e sintetica del loro contrario, i vizi. Nonostante le differenze essenziali rispetto ai filosofi citati, ho voluto mettere in relazione ad essi Spinoza, un filosofo moderno, perchè ha sottolineato l’importanza di comprendere profondamente le passioni nel perseguire la felicità e ne ha mostrato quindi la logica.

Aristotele ovvero la felicità come il massimo conseguimento della propria natura


Iscriviti alla Newsletter!


La ricerca della felicità è una esigenza universale dell’essere umano, secondo Aristotele. Tutti gli esseri umani ricercano il bene ed esiste un bene ultimo oltre il quale non ne esiste nessun altro. Il bene ultimo è proprio la felicità. Così ci dice lo Stagirita:

Poiché i fini appaiono essere molti e di essi alcuni li vogliamo a cagione di altri (come la ricchezza, i flauti e in genere gli strumenti), è chiaro che non tutti sono perfetti; ma il sommo bene sembra essere perfetto.  (…) Dico più perfetto quello perseguito per sé in confronto di quello perseguito per altro; e quello che non è mai voluto per cagion di un altro, in confronto di quelli che possono essere voluti sia per sé e per cagion di altro. E, insomma, perfetto senz’altro è quel fine che viene sempre voluto per sé e non mai come mezzo per un altro. E tale sembra essere soprattutto la felicità: la vogliamo infatti sempre per se stessa e mai per altro.[1]

Aristotele – Vita e opere

Scopri Intelligence & Interview di Scuola Filosofica!

Iscriviti alla Newsletter!


Vita

Aristotele nasce a Stagira nel 384 a.C., figlio di Nicomaco, medico di corte del re di Macedonia, Aminta, padre di Filippo II. Fu presto orfano ed adottato dallo zio Prosseno. Nel 367 si reca ad Atene per completare la sua formazione. Fa parte dell’accademia e si mette in mostra per competenza, gli vengono verosimilmente affidati dei “corsi” e lo stesso Platone lo “cita” in uno dei suoi dialoghi.

Seppure esistono le più diverse dicerie sul conto del rapporto tra Platone e Aristotele, alcune delle quali vogliono che tra i due ci fosse un’indiscussa rivalità, se non un certo odio, sembra invece l’opposto stando, quanto meno, ai frammenti pervenuteci delle opere dello stagirita in cui Aristotele parla di Platone, ed è molto inverosimile che chi venga lodato nei lavori più importanti sia sminuito poi in altra sede.

Critica alla dottrina morale di Aristotele

Scopri Intelligence & Interview di Scuola Filosofica!

Iscriviti alla Newsletter!

Consigliamo Aristotele, Vita e Opere e La felicità in Aristotele di G. Pili


Aristotele non ritiene che la conoscenza della vita quotidiana attenga alla ragione scientifica. La ragione ha la possibilità di conoscere ciò che è necessario, ovvero, ciò che è insostituibile per vivere, per arrivare a determinare un fine, la premessa per una definizione, la deduzione logica ecc.. Ma la conoscenza attiene sempre ad un’osservazione e, in quanto tale, decide ciò che capita più spesso.

Come osserva Aristotele, nell’etica non ci può essere posto per una trattazione interamente razionale della questione in quanto non è data conoscenza a priori dei fini particolari delle deliberazioni nella vita quotidiana: essi sono, assai spesso, unici, per ciò non oggetti di osservazione ripetibile. Da un lato, è vero, il fine sommo della vita umana è quella di essere felici. Ciò, certo, non è un’ovvietà, ma è anche vero che, generalmente, sono assai pochi che ne sono coscienti e assai pochi che davvero cercano umanamente di vivere una vita beata: è questione, guarda caso, di esperienza che siano assai pochi quelli in grado di condurre una vita felice.

L’epitome di Ianuario Nepoziano a Valerio Massimo: una riflessione socio-letteraria – [Litterae ex oblivio]

Valerius Maximus's Facta et dicta memorabilia: Opening Page of Book VIII of Valerius Maximus's Facta et dicta memorabilia
Valerius Maximus’s Facta et dicta memorabilia: Opening Page of Book VIII of Valerius Maximus’s Facta et dicta memorabilia. Copyright: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Flanders,_15th_century_-_Opening_Page_of_Book_VIII_of_Valerius_Maximus%27s_Facta_et_dicta_memorabilia_-_1952.274.1_-_Cleveland_Museum_of_Art.jpg#filelinks

 

Nota dell’autore: il presente contributo, sull’epitome latina di Ianuario Nepoziano, è il primo della rubrica Literrae ex oblivio (lett. “Letteratura dall’oblio”), finalizzata a rendere nota e merito di opere di letteratura latina di ogni tempo, dagli albori con Livio Andronico (III sec. a.C.) fino agli esemplari medio-latini, opere che la fortuna editoriale e l’impostazione scolastica hanno, tutt’altro che a buon diritto, dimenticato; opere affascinanti e meritevoli di studio critico filologico, linguistico e letterario.

Introduzione:

L’arte dell’epitomare, ossia del sunteggiare un’opera tendenzialmente di imponenti dimensioni, non è sicuramente prerogativa esclusiva del Tardo-Antico: la difficoltà nel gestire una mole tale di informazioni da risultare ingovernabile era un problema già sollevato, e in un certo senso affrontato con successo, già dal periodo dello splendore letterario augusteo (27 a.C. – 14 d.C.). Un suggerimento rilevante ci giunge, in questo senso, da Valerio Marziale (38/41 d.C. – 104 d.C.), che in uno dei suoi epigrammi (Apophoreta, 14, CXC)[1] rende noto di essere in possesso di un’epitome degli imponenti 142 libri dell’Ab Urbe condita di Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.) riassunti in un unico codice pergamenaceo (cfr. Conte 2019: 194). Le dimensioni dell’opera liviana,[2] e con esse la rilevanza storiografica della materia trattata, richiesero giocoforza una resa in epitome, difatti la tradizione manoscritta ha tramandato le Perìochae, ossia un «Livio ‘epitomizzato’ (probabilmente a scopo didattico)» (Ibidem).[3]

Schizofrenia morale – Inconciliabilità tra Motivazioni e Giustificazioni

Megagreenleopard, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

Il campo delle teorie morali è variegato e causa disaccordi circa i piani della motivazione e della giustificazione dell’atto morale. Uno dei discriminanti per rientrare nel campo della moralità è certamente l’avere un’attitudine altruista, in quanto parlare di etica risulta strettamente connesso alla presenza dell’altro, andando oltre “io” e “te” (Singer, 1979). Il riconoscimento dell’altro pone l’agente morale nella condizione di essere un osservatore ideale, con capacità di astrazione dal contesto che gli attribuisce uno sguardo dall’esterno.

A Pluralistic Understanding of Time – Time as Eternal truths

Abstract

‘Time is said in many ways’, to paraphrase Aristotle. In this essay, time is comprehended in four distinct yet parallel ways: subjective time, event time, conventional time, and landscape time. Subjective time measures the interval between two subjective experiences recorded by memory. Event time represents the order of events involved in a process. Conventional time is the measurement of a given physical interval registered by a clock and intersubjectively assumed as common. Landscape time refers to the current disposition of all changing facts in the universe. These four types of time are independent and autonomous from one another, as the essay will demonstrate. Although distinct, these time types can be related, collectively contributing to our understanding of the concept of time and how we use the term in language. The conclusion supports a pluralistic view of time, where time is partitioned into four categories, each explaining a distinct portion of reality.


Introduction – Time in the History of Philosophy

Time was not a major concern of the Greek-Roman philosophical tradition. From one side, time was conceived as the form of the appearances, that is of what it does not exist. Parmenides, essentially, banned time from his ontology, as the only things that exist is ‘the being,’ which was to be intended as eternal, meaning a-temporal, an object that does not change, hence does not exist in time.[1] Any subsequent metaphysical approach which endorsed implicitly or explicitly any form of Parmenidean ontology (something that does exist in its perfection because it never changes) is, in a way or another, banning time in a very fundamental sense.[2] Both Plato and Aristotle essentially (here intended ‘literally,’ i.e. in their understanding of what ‘really exists’) endorsed Parmenides’ vision. For some interesting reasons, today this notion is called ‘Platonic,’ but the conception of a perfect unchanging being independent from how things look like in and through time is, in fact, originated by Parmenides.

Stefano Zampieri – La filosofia spiegata ai giovani – Recensione

Diarkos – 2023

Recensione: Stefano Zampieri, La filosofia spiegata ai giovani. Come costruire la propria esistenza e orientarsi nella vita, Reggio Emilia, Diarkos 2023

Che cos’è la filosofia? Rispondere a tale domanda non è per nulla semplice, poiché definire la filosofia è di per sé un problema filosofico.

Spinoza – La felicità come beatitudine dell’uomo razionale

Casa di Spinoza dove ha completato l’Etica – L’Aia – Foto dell’autore

La filosofia di Spinoza è una delle più profonde espressioni del razionalismo del XVII secolo, frutto di una lunga ricerca culminata in una delle opere più straordinarie della filosofia, ovvero l’Etica. Ed è proprio nell’Etica che Spinoza parla dei modi attraverso cui l’uomo può diventare felice. La parte V dell’opera infatti è interamente devoluta alla spiegazione di come l’uomo può vivere nella felicità, di contro a quanto egli aveva considerato nella parte IV, in cui invece considerava tutta la drammaticità della condizione umana (non a caso, il titolo della parte IV è eloquentemente “La schiavitù umana, ovvero la forza degli affetti”). La teoria di Spinoza sulla felicità umana è ancora capace di ispirare grandi intelletti. Einstein stesso non solo sosteneva che Dio non gioca a dadi, affermazione pienamente in sintonia con il filosofo olandese, ma si spinse sino al punto di dire che: “Io credo nel Dio di Spinoza, che rivela se stesso nell’armonia regolata del mondo, non in Dio che si interessa personalmente del fato e di ciò che fa l’umanità”[1] Notevoli, nella loro vividezza, le parole di Bertrand Russell:

Ma quando passiamo all’etica di Spinoza [dalla sua metafisica], sentiamo (o almeno io sento) che qualcosa, anche se non tutto, può essere accettato, pur respingendone le fondamenta metafisiche. Spinoza si preoccupa di mostrare come sia possibile vivere nobilmente, pur riconoscendo i limiti dell’umano potere. (Russell, Storia della filosofia occidentale, vol. III, p. 756).

Life as an Open-Ended act of Creation – Or Why Life is Unsolvable

Copyright owned by the Author of the Article

Introduction to the theme – Or an eternal truth about human existence

Recently I was reading about the history of monasticism and science fiction. Though quite different readings, both converged into the same problem, I was recently wondering relentlessly. Though I strive for perfection through reason, a classic philosophical understanding of human endeavor already explored in the blog, I also questioned myself on why this should be worthy. This short post will address the problem of life as an open-ended act of creation due to its ultimate unsolvability.

Because life is unsolvable, it is open to any solution compatible with a very abstract understanding of human nature as dominated by reason. I know I cannot offer the reader something as new as already stated by many, such as Aristotle and Spinoza. However, considering that the best role of any rational being is to be the voice of truth, being truth eternal, there is nothing wrong in restating what is already well known, though imperfectly uttered or formulated.[1]

Can't find what you're looking for? Try refining your search: