Questa è la traduzione dell’intervista “Intelligence & Interview #10“, quando ancora non aveva il titolo ufficiale della serie! Sembrano passati pochi mesi, ma la serie ha avuto un clamoroso successo e ha proseguito la sua storia con ricercatori e professionisti nazionali e internazionali. Philani Dhlamini è un esperto di intelligence, specialmente nel ramo OSINT e Social Media. Tuttavia, egli è anche un ricercatore e una delle sue missioni è quella di portare gli studi sull’intelligence in Africa all’attenzione della comunità internazionale degli studi sull’intelligence. In tal senso, egli mi ha invitato a presentare la mia opinione sulla necessità di allargare il dibattito a livello internazionale sia sull’Africa sia oltre. In questa circostanza (qui il podcast) ho avuto modo di specificare i motivi per cui gli intelligence studies sono ancora così influenzati dal pensiero anglo-americano, circostanza comprensibile ma da superare. Ho parlato lentamente e sembra quasi balbettante. Ma la causa era la difficoltà del tema, che andava ponderato con molta attenzione. Proseguire verso una maggiore integrazione significa lavorare in un contesto internazionale in cui le singole comunità di studi sull’intelligence nazionali portano il loro caso all’attenzione della comunità scientifica. Mi pare di poter dire che questo obiettivo sia ancora molto lontano, come il caso europeo – e italiano – dimostrano. Infatti, le pubblicazioni disponibili in lingua inglese sulle singole esperienze nazionali europee – e il nostro caso non è affatto un’eccezione in tal senso – sono assai poche e comunque principalmente francesi o tedesche (dove gli UK fanno già parte integrante e costitutiva degli intelligence studies come si può intendere dal recente libro scritto insieme al professor Mario Caligiuri – Intelligence Studies in cui tracciamo proprio il paragone tra il caso italiano e quello internazionale). Per tale ragione, una delle prime dieci interviste è stata proprio con il dott. Dhlamini, per iniziare a congiungere i diversi fili dispersi della storia e cultura dell’intelligence. Senza ulteriori indugi, pur consigliando la versione originale scritta in un inglese denso e ricco, vi lasciamo alla scoperta dell’intelligence nella storia e cultura africana.
1. Ciao Philani Dhlamini, iniziamo con i fondamentali. Come ti piacerebbe presentarti ai lettori italiani e a Scuola Filosofica?
Sono dello Zimbabwe, principalmente addestrato in Political-Economic Risk Analysis (Analisi di Rischio Politico-Economico) con specializzazione sull’Africa Sub-Sahariana. Ho lavorato nel settore privato, consegnando analisi e valutazioni di scenari politici ed economici sull’Est e Sud Africa per oltre tre anni. Attualmente seguo progetti in qualità di International Security Consultant. I progetti sono focalizzati sull’educazione e addestramento di professionisti nella sicurezza nel supporto del Multilateral Intelligence Cooperation e sull’avviso precoce [early warning NdT] dell’Unione Africana della Pace e dell’Architettura della Sicurezza (African Union’s Peace and Security Architecture (APSA). Inoltre, sono attivo nella ricerca degli intelligence studies dove sono a capo del progetto per il Collettivo Africano di Intelligence Studies (African Intelligence Studies Collective) che è stato recentemente costituito. Attualmente lavoro come istruttore OSINT per contribuire alla produzione di istruzioni per l’Intelligence Practitioner’s Immersion Program e sono stato anche, più recentemente, onorato di essere invitato come redattore capo per il Journal of European and Intelligence Studies (JEAIS) per un numero speciale di prossima pubblicazione.
2. L’Africa è un grande continente che include culture, lingue e paesi diversi. Ci sono caratteristiche comuni in quelle che mi aspetto culture dell’intelligence notevolmente diverse all’interno del continente? Quali sono le principali culture dell’intelligence?
Questa domanda è piuttosto densa. Le possibili angolature con cui si può approcciare il problema sono molto diversificate. Tuttavia, la soluzione è avere uno sguardo storico – e, propriamente, uno sguardo plurale, perché non può essere unilaterale data la dimensione del continente. Questa premessa chiarisce che una ricerca per “caratteristiche comuni” può intrappolarci in un tentativo di risposta che poi si risolve in una falsa omogeneità – infatti, soprassedendo sulle specificità in questo modo può portare ad un’importante perdita di contesto.
La tua intuizione ha ragion d’essere perché, come risultato della pluralità socio-culturale, si ha una differenziazione delle culture dell’intelligence all’interno del continente. Ci sono, tuttavia, due istanze in cui caratteristiche comuni sono effettivamente emerse. La prima similarità si dà dall’eredità coloniale, che offre uno spaccato delle varie culture dell’intelligence nella loro manifestazione burocratica secondo le varie influenze principalmente inglesi, francesi e portoghesi. Per esempio, le precedenti colonie “anglofone” sono peculiari nel modo in cui la funzione dell’intelligence è emersa dalle strutture politiche [policy structures – NdT] che erano state istituite per proteggere l’interesse coloniale. Nonostante l’ondata di indipendenza, queste istituzioni hanno in qualche modo rigurgitato e successivamente assunto dalla popolazione che le era precedentemente asservita le modalità di law enforcement e i suoi “reparti speciali”. Come risultato si può spesso trovare che le agenzie di intelligence di alcuni paesi funzionano più appropriatamente come polizie segrete per via del loro “potere di arrestare” – una caratteristica già ben enfatizzata da studiosi come Sandy Africa in “Changing Intelligence Dynamics in Africa”.
Il contesto francofono si evolve in un modo completamente differente e alternativo, principalmente perché l’approccio francese alla colonizzazione era stato accentrato a Parigi dalla burocrazia coloniale. Questo ha decisamente significato che la localizzazione burocratica sperimentata altrove in altre colonie non fosse fissata negli stessi modi per l’Africa Occidentale e l’Africa Centrale e, conseguentemente, questo ha influenzato il modo in cui le organizzazioni di intelligence si siano manifestate nell’era post-coloniale. Tuttavia, al di là dei confini del colonialismo, assistiamo anche di più alla differenziazione dove possiamo anche considerare casi come l’Etiopia, la Liberia e il Sud Africa con la loro esperienza politica unica durante e dopo l’era coloniale. Da questa duplice prospettiva possiamo osservare alcune divisioni in blocchi di somiglianza secondo caratteristiche comuni e, in una certa misura, sul modus operandi (ovvero procedure burocratiche invarianti danno forma alla cultura pratica dalla loro compartimentazione strutturale).
La seconda similarità nasce dal recente accordo sulla cooperazione continentale sull’intelligence, particolarmente il Comitato dell’Intelligence e Servizi di Sicurezza dell’Africa (Committee of Intelligence and Security Services of Africa (CISSA). Questi progetti multilaterali spesso emergono dalla necessità comune, e questa specifica organizzazione consiste di 51 agenzie di intelligence su 54 paesi africani. Essa è guidata dalla Policy Comune sulla Difesa e Sicurezza Africana (Common African Defence and Security Policy (CADSP) dell’Unione Africana. Il puro fatto che su base annuale questa organizzazione deve produrre una valutazione continentale di intelligence (Continental Intelligence Estimate – CIE) è estremamente significativo per via della necessità di convergenza, nonostante le differenti raccolte di intelligence e filosofie organizzative, che richiedono accordi di uniformità di produzione di intelligence per rendere possibile il tipo di aggregazione richiesta per una valutazione congiunta rispetto allo scopo comune. Quindi alcune caratteristiche comuni sono attualmente parte [del contesto africano] e rinforzate dalla necessità di avere benchmark di cooperazione.
3. Quali sono i paesi storicamente più attivi nel campo dell’intelligence e qual è la loro via all’intelligence?
Anche se faccio alcune osservazioni in questo loco, esse sono basate sulla storia delle relazioni internazionali e della diplomazia invece che sulla comparazione delle attività domestiche dei servizi di intelligence, che non posso quantificare in via definitiva. Prenderò allora solo due centri nominali delle attività di intelligence ma senza in alcun modo lasciar intendere che esse sono le più attive. Invece, selezionerò le apertamente discernibili sulla base del contesto internazionale che devono fronteggiare.
La Repubblica Federale d’Etiopia è un posto particolare per via della rivendicazione di non essere stati colonizzati. Per tale ragione, essi hanno ospitato il quartier generale dell’Organizzazione dell’Africa Unita (oggi Unione Africana) (Organization of African Unity) nel 1963. In questo periodo particolare, l’organizzazione era un collettivo di rivoluzionari anticoloniali e rispettivi movimenti. Il paese ospitante successivamente è diventato molto importante per la condivisione dell’informazione [information sharing] oltre che per i leader che hanno seguito i summit. L’Etiopia, in qualità di nazione ospitante, ha dovuto lottare contro l’influsso di numerosi leader internazionali dall’”indipendenza” dalla legge coloniale, un problema di alta importanza politica, giacché la capacità del paese per la collaborazione dell’intelligence era infatti sostenuta per via dell’alta interazione diplomatica (che era ovviamente mantenuta per assicurare la sicurezza e fiducia attesa).
Il secondo Paese che vorrei considerare è il Sud Africa che, durante l’apartheid, era venuto a contatto con le lotte anticoloniali in Angola, Namibia, Mozambico e Zimbabwe piuttosto intensamente. Lo sforzo internazionale verso l’apartheid del Sud Africa in Angola e Namibia era incoraggiato e accelerato dalla Guerra Fredda globale – il conflitto è stato spesso condotto per procura all’interno della più ampia lotta tra comunismo e capitalismo. Le dinamiche interne alla sicurezza del Sud Africa ha catalizzato l’attenzione globale per via delle violazioni dei diritti umani dovute al sistema dell’apartheid (in gran parte 1980-1994). Lo stato di apartheid e le forze di liberazione, tra cui il Congresso Nazionale Africano (African National Congress (ANC), hanno alimentato il livello delle attività di intelligence come parte di questo confronto.
4. Quanto è stata cruciale la Guerra Fredda nell’evoluzione dell’intelligence nel continente?
La guerra fredda è stato un importante fattore nell’evoluzione storica dell’intelligence, specialmente perché si è svolta contemporaneamente al periodo di rivoluzione e lotta anticoloniale. L’escalation dei conflitti nel più ampio contesto globale ha comportato un’accelerazione della storia delle numerose agenzie di intelligence, le quali sono oggi configurate come procure politico-militari, fenomeno iniziato allora. L’addestramento dei rivoluzionari, secondo per procura, è importante a tal punto che essa definisce la comprensione di come gli attuali governi mantengono le loro relazioni con la Cina e Russia, considerando il loro coinvolgimento storico in sponsorizzazioni di attività legate alla sicurezza.
Per esempio, nel caso dello Zimbabwe (allora chiamato Southern Rhodesia), esso era governato da una minoranza bianca che fondò la sua propria Organizzazione Centrale di Intelligence (Central intelligence Organization (CIO). Questa era volta a combattere per mezzo della lotta armata la guerra di Rhodesia (Rhodesian Bush War). La guerra era combattuta dallo Zimbabwe African National Liberation Army (ZANLA), la cui guerriglia era sostenuta e sponsorizzata dalla Cina così come dal Zimbabwe People’s Revolution Army (ZIPRA). Quest’ultimo seguiva il principio Marxista Sovietico, ed era così supportato dall’Unione Sovietica. Per solidificare l’indipendenza fu necessario avviare un processo di unificazione del settore della sicurezza. Questo incluse anche i servizi d’intelligence, sia i gruppi di guerriglieri e le precedenti forze armate della Rhodeisa, a parte gli estremisti esodati. E così, dunque, nell’agenzia che stava emergendo come la Central Intelligence Organization, si manteneva la divisione tra i precedenti gruppi, le cui dinamiche hanno segnato l’evoluzione dell’organizzazione ad oggi. Questi ethos in competizione da ogni parte, pur cercando la necessaria unificazione per riconciliare e ibridizzare le varie compagini interne, costituiscono la base profonda per le attuali attività dell’organizzazione stessa quando performa la funzione della produzione d’intelligence.
5. Quali sono le aree critiche in cui operano oggi i paesi africani nell’ambito dell’intelligence?
Problemi di sicurezza continentale e regionale è stata importante nel creare situazioni che richiedono la cooperazione tra stati africani. L’Unione Africana è un blocco regionale basato sul pan-Africanismo che è in qualche modo simile alla causa pan-Europea ascrivibile all’Unione Europea. Tuttavia, la differenza centrale qui è la tangente di conflitto sulla risoluzione che l’Unione Africana ha avviato come iniziale sentiero per lo sviluppo e, in quanto tale, l’essenza dei risultati della sicurezza comune è stata più accentuata che la necessità per l’unione economica come misura da cui iniziare. Questa è la ragione centrale sul perché il Comitato dell’Intelligence e dei Servizi di Sicurezza dell’Africa (Committee of Intelligence and Security Services of Africa – CISSA) insieme al Centro Studi Africani di Ricerca e Terrorismo (African Center for the Study and Research of Terrorism (ACSRT) è emerso proprio in quel modo. Operazioni d’intelligence in Africa sono state storicamente in gran parte devolute per la sicurezza di base e più recentemente verso gli sforzi di contro-terrorismo. Nell’era post-coloniale l’attività di intelligence è stata necessaria per il mantenimento dei governi di nuova formazione per il superamento dei regimi coloniali. Questo è stato ampiamente criticato successivamente come principio democratico le cui attività e politicizzazione delle funzioni del segreto di stato e che è stato il principio di crescita della società civile. Circa il controterrorismo, tuttavia, le attività di intelligence sono state guidate da coinvolgimenti internazionali che richiedono forme multidimensionali di cooperazione insieme allo sviluppo di capacità specifiche. Questo è piuttosto esemplificato dal G5 Sahel group e dal MNJTF (Multinational Joint Task Force).
6. La letteratura sugli studi di intelligence scientifica internazionale è ancora ampiamente radicata negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Sebbene perfettamente comprensibile, ciò aveva creato uno squilibrio parziale nella letteratura. Esiste una letteratura panafricana sull’intelligence? In caso affermativo, quali sono le principali riviste? Dove può trovare il lettore informazioni interessanti sull’intelligence africana?
Letteratura pan-Africana sull’intelligence esiste, sebbene non ci siano giornali specifici dedicati agli intelligence studies. La gran parte degli articoli che si interessa di intelligence si trovano in una grande varietà di riviste su tematiche piuttosto specifiche come Political Science, Peace and Security o International Relations, per non menzionare History. La pubblicazione più riconosciuta è il libro pubblicato dal African Security Sector Network (ASSN) intitolato: Changing Intelligence Dynamics in Africa. Per estensione, il settore storico è quello su cui sussiste più letteratura scientifica. Tuttavia, la sua cornice all’interno del contesto di focus specialistico sull’intelligence è limitata. Avere una rivista dedicata all’intelligence africana è un progetto che sto cercando di realizzare in collaborazione con una selezione di ricercatori africani e istituzioni collegate così da riempire questa mancanza.
7. Come vedi il futuro della via africana all’intelligence?
I paesi africani stanno attualmente lottando con l’operalizzazione politica dei social media e, dunque, l’ambito della sorveglianza digitale e lo sviluppo di capacità di Social Media Intelligence (SOCMINT) è stato il suo focus principale. La competenza tecnologica ha assunto una preminenza principale e chiusure di Internet come forme di controllo hanno mostrato la preferenza di mascherare la mancanza di capacità dinamiche in quest’area di assoluta disconnessione. La principale preoccupazione di muovere in avanti per tutti questi Paesi consisterà nell’integrazione tecnologica nella pratica dell’intelligence, specialmente nel momento in cui proprio pochi paesi producono la loro infrastruttura digitale locale – sulla base esclusiva che noi vediamo in ciò un bisogno più alto di acquisire hardware e software e competenze da paesi stranieri. La pandemia del Corona Virus ha evidenziato specificamente questo problema nella misura in cui il lockdown ha imposto nuove restrizioni sulle entità che hanno principalmente valutato se stesse sulla base dell’intelligenza umana, specialmente di tipo non-virtuale che richiede la prossimità fisica.
8. Qual è il modo migliore che abbiamo per affrontare questo argomento importante ma trascurato?
Giornali accademici offrono sempre un’opportunità per una convergenza epistemica, a condizione che quegli sforzi siano incontrati da un sostegno sufficiente e dall’entusiasmo della ricerca. Questo spiega perché personalmente mi muovo nella direzione di creare un giornale specifico che inviti ad un dialogo multidisciplinare per produrre pubblicazioni di questo genere. Nel tempo, gli studi sull’intelligence in Africa si consolideranno nella loro specifica unicità dopo che lo stato dell’arte si sarà definito e affermato.
9. Come possono seguirti i nostri lettori?
Per quanto mantenga un format minimalista, sono presente su LinkedIn come “P.Dhlamini”. Prossime pubblicazioni accademiche saranno anche una strada alternativa attraverso cui seguire le mie analisi sull’intelligence nel mondo africano.
10. Cinque parole chiave che ti rappresentano?
Circospetto, Persistente, Meticoloso, Diplomatico, Disciplinato.
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