Cari lettori e care lettrici, oggi vi presentiamo uno scrittore sardo emergente, Danilo Mallò, attraverso una nuova intervista offertavi dal Team Cultural Promoting effettuata questa volta da Eugenio Dessy, uno dei nostri amici, membri di Azione Filosofica e affezionati lettori (nonché paziente editor). Danilo ha 40 anni, è nato a Quartu ed ha recentemente pubblicato con La Zattera un bel romanzo, Memorie di un’anima, che sta avendo un buon successo in libreria e anche on line e, tra l’altro, è stato presentato nell’ultima edizione del Salone del Libro di Torino. Danilo nella sua vita ha sempre coltivato molte passioni, la fotografia, gli scacchi e altro ancora, ma mai superficialmente: in ogni cosa dà sempre tutto sé stesso, e altrettanto ha fatto con l’ultima passione, scoperta alcuni anni fa, quella della scrittura. Dopo un approccio poetico si è dato alla prosa, e il risultato è davvero lusinghiero considerando che si tratta appunto di un autore esordiente. Memorie di un’anima, infatti, è un romanzo tutto sommato semplice nella sua struttura ma intenso, struggente, caratterizzato da una scrittura fresca e coinvolgente, dove si percepisce un grande amore per la letteratura, ma soprattutto per la vita, intesa sia come pura energia vitale ma anche come impegno attivo nella società. Con questo romanzo speriamo perciò di aver trovato, in Danilo, uno scrittore giovane con un futuro letterario importante, fatto di opere dal contenuto di pregio ma non per questo destinate a una ristretta élite.
In questa chiacchierata cerchiamo di conoscerlo meglio.
Puoi raccontarci qualcosa di te, soprattutto di quando e come è nata la tua passione letteraria?
L’amore per la letteratura è stato a lungo insabbiato da tutta una serie di distrazioni, naturali conseguenze del contesto socio-familiare nel quale mi sono formato. Oggi, guardandomi indietro, riconosco nettissimi quei segni, presenti sin dalla prima adolescenza, che mi avvicinavano allo scrivere e ai libri. In un cassetto della mia camera, in casa dei miei genitori, c’è ancora un mucchio di penne che non scrivono più, e sulla mensola, nella stessa camera, ammonticchiate si trovano vecchie agende che non ho mai buttato. È sorprendente come certe “forze” pazientino indefessamente prima di trovare sfogo. Hai presente un fiore che spacca il cemento e guarda in faccia il sole?
In genere si dice che ogni scrittore è innanzitutto un forte lettore. Nel tuo caso, quali sono i tuoi autori prediletti, in poesia e in narrativa?
In genere si dice così, è vero, tuttavia le cose stanno cambiando, oggi ci sono autori che hanno dichiarato di non aver mai letto e i loro libri vengono comprati massivamente. Entrando ancor più nel merito dell’adagio si dice che dietro un valido scrittore c’è un lettore di qualità. Io credo che a qualsiasi arte uno si appassioni, per fare bene, non può prescindere dallo studio di quei grandi predecessori che hanno raggiunto le vette espressive di quell’arte. Credendo in ciò, ma soprattutto riconoscendo il valore dei testi, le mie letture sono per la maggior parte di autori importanti. Colleziono e leggo i premi Nobel per la letteratura, per esempio. I miei autori preferiti sono Garcia Marquez e Dostoevskij per la prosa; Baudelaire per la poesia. Autori più recenti che ho imparato ad approfondire e ad apprezzare sono Marcello Fois per la prosa e Alda Merini per la poesia.
Memorie di un’anima è la tua prima pubblicazione. Hai avuto un editor che ti ha seguito nelle fasi precedenti all’uscita in libreria e, nel caso, come è stato doversi rapportare con una persona che in qualche modo interviene sul tuo testo?
La Zattera, che ha pubblicato Memorie di un’anima, mi ha affiancato Paolo Montaldo che nella casa editrice ricopre il ruolo di direttore editoriale. Con lui abbiamo disquisito su diversi punti e tendenzialmente senza patemi da parte mia. L’autore, a mio giudizio, non può opporsi categoricamente a chi di professione si occupa di rifinire il suo lavoro. Ho avuto una certa perplessità quando si è trattato di cambiare la struttura della bozza, eppure si trattava semplicemente di inserire un titolo ad una parte che titolo non aveva, ma ne siamo usciti alla grande ed oggi, per il titolo, per la copertina e per la struttura del libro mi viene difficile pensare ad altre alternative.
Come è nata l’idea di Memorie di un’anima?
Nasce da due suggestioni. Prima della stesura, che risale al 2016, mi sono scoperto particolarmente sensibile ai casi di persone affette da SLA. Il tema è assai complesso, perché per le malattie così invalidanti è facile finire a fare i conti con riflessioni etiche, religiose, filosofiche e di altro genere ancora. Successivamente, ritrovandomi davanti ad un palazzo, mi sono chiesto quanto tempo sarebbe servito per ricostruire la quotidianità dei suoi inquilini semplicemente osservando quando si accende o si spegne la luce in una finestra o quando entra ed esce una persona dal portone. L’accostamento di queste due suggestioni ha dato origine a Memorie di un’anima.
L’uscita in libreria ha cambiato la tua vita in qualche modo, anche nella percezione di te stesso e nella autostima?
L’uscita in libreria ha cambiato la mia vita arricchendola di impegni legati al libro e non solo. Circa la percezione che ho di me stesso o la mia autostima, non sono punti su cui mi soffermo a riflettere. C’è così tanto da fare, da studiare, c’è così tanto da pensare su questioni molto più importanti della vita, o sullo sviluppo della trama di un eventuale nuovo romanzo, che davvero non mi soffermo su me stesso.
Come interpreti il tuo ruolo di scrittore nel contesto della cultura sarda?
L’ambiente dove si cresce segna nel bene e nel male. La Sardegna stessa, per quanto bellissima e per quanto offra uno stile di vita a misura d’uomo, senza troppo caos, può risultare stretta per taluni. Si pensi all’annoso problema del lavoro o della mobilità. Anche io, dunque, non posso non essere condizionato in tutto quello che faccio dal mio ambiente. Tuttavia ho la tendenza a scrivere di tematiche e di personaggi il più possibile universali. Non mi affascina l’idea di incentrare storie sul folclore o sulle tradizioni regionali. Penso che altri nomi illustrissimi l’abbiano già fatto egregiamente e che sia importante offrire nuove visioni della Sardegna o degli autori della Sardegna.
Inizialmente il tuo approccio come autore ha riguardato la poesia, con la raccolta Corrispondenze, che tra l’altro ho trovato ottima emi auguro che ora qualcuno pensi a pubblicarla visto il successo di Memorie di un’anima. Come mai hai deciso di passare dalla poesia alla narrativa?
La poesia tecnicamente limita. La poesia vuole dire sintesi, incastri, metriche, rime, strofe, versi. Ogni cosa nella poesia deve essere ricercata perché funzioni. La poesia, la buona poesia, finché non è tradotta, è come la meccanica precisissima di un orologio di valore.
Io ho proprio sentito il bisogno di comunicare liberamente, con la prosa. Non sto dicendo che la prosa sia più versatile o più dinamica, lungi da me. Solo che in base a quello che si vuole dire si deve scegliere anche la forma adeguata. La poesia può sintetizzare un intero romanzo, così come la prosa può descrivere dettagliatamente, con interi capitoli, il significato di tutti i singoli versi di una poesia.
Come ti poni di fronte ai tuoi nuovi lavori?
Serve dedizione. Per la mia esperienza scrivere un romanzo è un lavoro immane, lungo, che ti porta via risorse anche quando non scrivi. La scrittura è un’amante estremamente esigente, pretende che pensi a lei continuamente. Non si può pensare ad una fabula e al suo intreccio quando ci si mette davanti al foglio o alla pagina word. Si pensa prima, durante le giornate, negli spostamenti in macchina, durante la doccia, nel dormiveglia dell’insonnia e poi si scrive. Mi pongo dunque come uno che subisce quest’arte, io mi sento un tramite che deve solo mettere in ordine le cose che arrivano con un mistero inspiegabile alla mente, per poi dargli forma con le parole.
Gli scacchi, di cui sei da anni appassionato e buon giocatore, hanno influenzato la tua arte? Pensi che gli scacchi abbiano qualche relazione con la scrittura e, se sì, quale?
Io non credo che uno scacchista possa dedicarsi ad altre discipline senza essere influenzato dalla formazione di quest’altra arte. Sono una materia talmente profonda e ramificata che arriva ad avere punti di contatto con tutto. Ti faccio un esempio: alla fine della stesura di un romanzo si può notare di aver scritto di situazioni, di persone e di azioni che all’inizio, quando si è avuta l’idea incipiente, non si sono minimamente preventivate. In sostanza il romanzo, man mano che si sviluppa, conduce l’autore più di quanto l’autore conduce la storia. Forse questo non è esattamente quanto avviene in una partita a scacchi, nella quale in base ad una singola mossa inaspettata dell’avversario si creano complessissime e innumerevoli altre partite? La ramificazione delle varianti degli scacchi non è esattamente la ramificazione che può prendere la vita di un qualsiasi personaggio in base alle scelte che fa?
Definisci te stesso – come scrittore – in cinque parole chiave.
Profondità, dinamismo, solitudine, strumento, elucubrazione.
Il Team Cultural Promoting ringrazia il gentile Danilo per la sua cortese disponibilità e augura a tutti una buona lettura!
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