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Esaurito il discorso per l’individuo possiamo fare un breve salto verso enti sociali – i cosiddetti “agenti plurali”. Non ho intenzione di addentrarmi nella disamina specifica della loro natura metafisica, ma considero gli “agenti plurali” banalmente tutti quegli enti formati da esseri razionali tali che la somma degli individui è capace di generare credenze collettive. Ad esempio, uno stato è un agente plurale perché gli si possono attribuire delle credenze che, in ultima analisi, possono essere diverse dalla somma delle credenze dei singoli individui che lo costituiscono. La modalità di aggregazione della credenza collettiva è irrilevante in questa sede, ma non lo è in senso assoluto – naturalmente.
Supponendo, allora, che un agente plurale è dotato di credenze, si può sostenere che tale ente è anche dotato della possibilità stessa di formare intenzioni, nella misura in cui l’intenzione è una particolare forma di credenza – diremmo una credenza disposizionale, ovvero una credenza la cui formulazione implica una disposizione all’azione definita nella componente fattuale/oggettiva. Ad esempio “voglio un gelato” ha due componenti, l’espressione dell’inclinazione e l’espressione dell’oggetto verso cui l’inclinazione è rivolta. Un agente plurale è un agente collettivo in questo senso, cioè è capace di formulare intenzioni e le sue azioni conseguono da quelle. Quindi, ad un agente collettivo si possono legittimamente applicare le valutazioni morali di cui sopra. Questo non significa né che un tale oggetto sociale abbia una mente collettiva né una coscienza collettiva. Ciò significa solo che si sia in grado di formulare credenze tali che da esse ne segue l’azione. Da ciò ne seguono alcune conseguenze. Organizzazioni e istituzioni sono, naturalmente, sottoinsiemi ordinati dei più generali “agenti collettivi”. Quindi anche loro sono passibili di questo tipo di valutazione.
Prima di tutto, una istituzione inefficiente è immorale perché se anche è in grado di formulare intenzioni buone, essa sarà comunque manchevole nella pratica, giungendo così a danneggiare coloro che sono passibili della sua condotta d’azione. Un’istituzione inefficiente è immorale anche quando sia capace infatti di formulare intenzioni buone tradotte casualmente in azioni buone. Ma dato il fatto che un’istituzione inefficiente è intrinsecamente fallace nell’azione proprio per la sua maggiore complessità rispetto all’individuo logicamente e statisticamente, la sua immoralità nella sua inefficienza è molto più grave di quella dell’individuo.
Una istituzione inefficiente è un danno a coloro che la compongono ed è un danno tanto maggiore a chi la subisce proprio perché essa non dichiara nel suo statuto di essere inefficiente – altrimenti la sua stessa costituzione sarebbe vincolata a quell’inefficienza stessa rendendola così automaticamente efficiente. Infatti, se una istituzione si autodichiarasse inefficiente, starebbe semplicemente sostenendo che la sua capacità di azione è limitata dall’esterno e dall’interno tanto da non conseguire nella traduzione fedele delle sue buone intenzioni in azione. Così stando le cose l’istituzione sta solo abbassando il grado di aspettative rispetto al suo grado di efficienza, non lo sta annullando. Ad esempio, se la Croce Rossa sostenesse di impegnarsi nel salvare meno vite del possibile, non starebbe dicendo di non impegnarsi nel salvare delle vite, ma solamente nel salvarne di meno di quanto potrebbe. Ovviamente, una simile cosa è un affronto alla logica ma non alla pratica di molte istituzioni ed è proprio per questo che la maggioranza di esse risulta così fallace e facile da disattendersi nella pratica. Ma ciò non toglie la loro immoralità nel disattendere le aspettative che gli altri esseri razionali devono assumere laddove una istituzione inefficiente è, come minimo, mendace. Ad esempio, un sistema sanitario nazionale inefficiente è come minimo menzognero e come massimo criminale proprio perché in quanto istituzione esso si deve prendere cura (a) di salvare la vita o minimizzare il male dei cittadini, (b) di dire la verità ai cittadini – nella misura in cui dichiarare il falso è ipso facto immorale o, quanto meno, condizione di aumento dell’inefficienza del sistema stesso – visto che far prendere un farmaco per un altro per fallacia informativa è un danno non meno grave di una somministrazione diretta del farmaco sbagliato. Sia chiaro che uno stato privo di sistema sanitario nazionale non sarebbe per ciò stesso immorale nella misura in cui esso non si impegni alla salvaguardia della salute dei suoi stessi cittadini. Ovviamente, ogni stato ha degli impegni nei confronti dei suoi cittadini ed è proprio per questo che uno stato che sia inefficiente è anche altamente immorale per le stesse ragioni viste prima. Ad esempio, uno stato che dichiari la sanità pubblica o l’istruzione pubblica un diritto universale dei cittadini ma che poi renda impossibile tale universalità di fatto per via di intrinseche inefficienze, sta compiendo una mendacia e un danno diretto ai suoi cittadini. Ciò pare abbastanza evidente. Uno stato che non dichiari nulla del genere sarà forse meno desiderabile dai cittadini ma non sarà per ciò immorale. Questo è un punto sostanziale.
Uno stato è un agente collettivo capace di formulare intenzioni e tradurle in pratica. Stando alla migliore delle ipotesi, ovvero che lo stato – qualsiasi cosa essa sia – sia effettivamente in grado di formulare solo intenzioni buone, se esso sarà inefficiente sistematicamente esso sarà immorale esattamente come colui che sia capace di formulare le migliori intenzioni possibili e poi fa scempio di sé e delle altre persone. Gli impegni che lo stato si prende nei confronti dei suoi stessi cittadini sono sanciti dalla costituzione cosicché la costituzione fa fede nei confronti delle aspettative pratiche degli altri esseri razionali. Sicché ogni stato che non sia capace di rispettare la sua stessa costituzione è da giudicare così come una persona che predica bene e razzola male, dove l’accento è evidentemente sul “razzolare male” più che sul “predicare bene” che diventa, ipso facto, privo di interesse.
Sia chiaro che qui non si stanno ponendo problemi di natura politica ma della costituzione stessa dello stato come istituzione morale in un senso molto debole. Ma anche in questo senso molto debole, ovvero della capacità dello stato di prendersi cura dei suoi cittadini, rimane infatti il giudizio di efficienza. Una qualsiasi istituzione inefficiente è squalificata nei termini che abbiamo visto nella misura in cui la sua inefficienza è la cifra della mancata traduzione dei suoi principi generali e obiettivi specifici in realtà. Per tale ragione, l’inefficienza istituzionale è tanto più grave sia perché non necessaria a priori (mentre è necessaria a priori per il singolo essere razionale), sia perché le sue conseguenze sono tanto maggiori in virtù della potenza aggregata dei cittadini che costituiscono quell’istituzione. Così, una istituzione sarà tanto più nefasta in proporzione della discrepanza tra ciò che formula in principio, ciò che la costituisce in senso astratto, e la sua pratica. La Germania Nazista o l’URSS staliniana sono esempi supremi di stati intrinsecamente immorali proprio perché la scala di danni dei due sono infinitamente superiori a quelli di singoli individui immorali. Detto questo, ciò che si applica per loro vale anche per gli altri e così, in quanto esseri razionali morali siamo impegnati a margini di efficienza morale così come lo sono le istituzioni che dovrebbero prendersi cura di noi e, quando smettono di farlo, non dovremmo tacere del fatto tanto più di come non tacciamo vedendo colui che presume di avere delle buone intenzioni e intanto fa ciò che più gli aggrada.
Bisognerebbere anche premettere cosa si intende per efficienza perchè il termine ha diverse accezioni. Il termine,per esempio in Economia (il termine efficienza è mutuato dalla Statica comparata ) ha una valenza statica e significa “allocazione ottimale delle risorse per raggiungere un determinato scopo”,il focus non è sul raggiungimento dello scopo (è implicito),ma sull’uso ottimale,senza sprechi, delle risorse impiegate.
Nel lessico corrente,invece,efficienza sta per raggiungimento dello scopo ed è questa l’accezione a cui si fa riferimento in questo articolo. In realtà,almeno in Economia (che,poi,oggiorno,è al centro di tutto!) se vogliamo focalizzare l’attenzione sul raggiungimento dello scopo (in senso sia statico,sia dinamico)o sulla realizzazione di un obiettivo,è più corretto parlare di efficacia non di efficienza. Le due cose sono complementari,ma non sempre coincidono! Per esempio,in questo ottimo articolo l’Economista eterodosso (non liberista) Riccardo Leoncini spiega correttamente come le due cose,spesso,non coincidano.https://www.economiaepolitica.it/crisi-economica-coronavirus-italia-unione-europea-mondiale/efficienza-economica-e-coronavirus/
Quindi,se nell’articolo si vuole intendere che lo Stato deve raggiungere gli obiettivi che si prefigge,io utilizzerei il termine efficacia,non efficienza. Segnalo anche,che come ha evidenziato il Prof. Leoncini,in Economia,specie in quella mainstream liberista,dell’efficacia importa poco perchè tale visione è focalizzata soprattutto sulla efficienza in senso statico,ossia allocazione ottimale di risorse senza sprechi ottenibile comprimendo i costi. Ed è la visione che ha dominato finora,anche in materia Sanitaria (tagli e riduzioni di risorse per comprimere i costi ed aumentare la produttività),e quando arriva shock esterno come Covid 19 è disastro proprio perchè le risorse sono utilizzate in maniera statica efficientemente” al limite (pochi posti letto,pochi medici,infermieri ed attrezzature) senza ridondanze. Riassumendo,la mia visione è che lo Stato,per essere coerente con i suoi assunti (agente morale) e fornire buoni servizi a noi tutti,non può adottare visione ristretta di Economia liberista che si focalizza solo sulla efficienza statica,e non sulla efficacia (che vorrebbe dire non lesinare risorse,e mantenere qualche ridondanza).
Gentilissimo s. Paolini,
La definizione di efficienza morale è stata definita appieno nel precedente articolo dove si dice: “La precondizione di efficienza, o menta-efficienza, è solamente condizionale ovvero riguarda la possibilità sola, non la pratica. Essa sancisce che è effettivamente possibile avere un soggetto razionale dotato di buone intenzioni che è anche in grado di agire virtuosamente moralmente a causa o a ragione di quelle intenzioni e ciò è in virtù del legame di meta-efficienza morale. Tuttavia, questo non riguarda l’efficienza come valore morale”. https://www.scuolafilosofica.com/8753/efficienza-morale. Inoltre infatti si precisa che: “Sia chiaro che, come si diceva nell’introduzione, l’efficienza (non la meta-efficienza) è una condizione che dipende dalle limitazioni che tale soggetto ha” e consiste nella capacità di tradurre le intenzioni in prassi virtuosa che sarà metro e misura della sua efficienza morale. Qualunque soggetto – singolare o plurale – capace di formulare intenzioni si assume l’onere di essere conseguente nel senso che le azioni sono causate e quindi legate dalle intenzioni stesse. Quindi, se uno stato si assume un certo compito – e nessuno glielo ha prescritto a priori – esso si impegna a rispettare come minimo quanto esso stesso ha proposto di fare. Circa “l’economia liberista”, direi “l’economia liberale” non ha alcun genere di principio regolativo legato morale in questo senso e quindi non ha da dimostrare proprio nulla in tal senso, se non il mutuo vincolo di sicurezza reciproca e rispetto delle regole comuni. Ma il punto qui è un’altro – che non c’entra niente col libero mercato. Il punto è che quale che sia il soggetto a cui ci stiamo riferendo, il metro di giudizio è la sua capacità di tradurre praticamente le sue intenzioni e se le sue intenzioni sono buone ma le sue azioni non lo sono sarà perciò stesso immorale – pur con le limitazioni già considerate nell’altro post. Economia comunista, economia socialista, economia liberale, e liberismo convergono nell’impegno – ovvero nel fornire soluzioni a problemi. Qui la questione è chi può mantenere le promesse una volta che tali promesse sono effettivamente state formulate.
Grazie per lo spunto di riflessione,
Giangiuseppe
Grazie della risposta,l’articolo concerneva l’efficienza in senso filosofico-morale,non economico,io ho surrettiziamente introdotto l’Economia perchè,nel linguaggio corrente,efficienza è praticamente sinonimo di razionalità Economica/ottimizzazione. E’vero che l’Economia liberale/liberista (occorrerebbe un ragionamento a parte su questa distinzione,bisognerebbe chiamare in causa Hayek,Croce,Einaudi,etc) non ha vincoli morali,ma secondo me questo è il vero problema dell’Economia odierna mainstrain,ma,anche qui,dovremmo fare un lungo ragionamento a parte.
Gentile s. Paolino,
Ringraziamo lei per lo spunto. Circa la questione economica, il liberalismo economico (che non è sinonimo di liberismo economico ma il secondo è conseguenza dell’altro – al massimo), non ha alcuna assunzione morale eccetto una. Ovvero che il valore ultimo e fondativo dell’economia è la libertà individuale concepita come limitata esclusivamente dalla libertà di un altro. Quindi due individui limitano naturalmente la libertà l’uno dell’altro. Quindi, l’economia ha come valore morale la libertà – come argomenta Milton Friedman (come ho spiegato qui: https://www.scuolafilosofica.com/7876/7876-capitalismo-e-liberta). Inoltre, vorrei fare un importante distinguo sul fatto che l’attuale “mainstream economico” qualsiasi cosa essa sia non ha niente di liberale né in senso stretto nei in senso lato giacché è una forma mediana – e al ribasso a mio giudizio – di statalismo con libero mercato limitato (che quindi lo rende molto poco libero). Mi ricorderei del sistema NEP dell’URSS prima dell’arrivo di Stalin – questo è in gran parte il concetto e forse la pratica del succitato “mainstream”. Poi, bisogna naturalmente sempre entrare nel merito. Tuttavia è ingeneroso nei confronti di persone dello spessore di Mises, Hayek e Friedman stesso ridurre il liberalismo ad una forma surrogata di selvaggio West. Non è così!
Tornando per un attimo all’articolo: lei ha perfettamente ragione. La questione economica è irrilevante. Se una istituzione si assume per costituzione (intendesi atto fondativo formale e costitutivo) un certo compito o onere, il fatto stesso di non ottemperarlo equivale a una menzogna come minimo e a un crimine come massimo. Il fatto che siamo educati ad indulgere agli errori istituzionali come se fossero di differente grado o livello rispetto a quelli di un individuo è solo una questione – a mio giudizio – di educazione e abitudine, non di sostanza. Una istituzione buona è tale proprio perché efficiente moralmente. Una istituzione criminale è tale proprio perché inefficiente rispetto alle sue stesse direttive. Ad esempio, il sistema carcerario di molti paesi – europei e non europei – è criminale rispetto al compito rieducativo del cittadino che ci entra dentro che invece viene semplicemente ridotto ad uno stato miserabile. Questo è un atto immorale esattamente come chi segrega qualcuno in casa propria per fini derogatori/degradanti per la persona coinvolta.
La ringrazio per la riflessione e le faccio un caro saluto!,
Giangiuseppe