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Filosofia della carezza – Come amare nel rispetto della libertà dell’altro


Molte volte facciamo coincidere con l’Amore un sentimento di proprietà e di appartenenza, saltando il livello della libertà che rappresenta il luogo stesso dove l’Amore vive e ha bisogno di vivere. L’eros vive al suo interno una condizione di continua ambiguità equivocando, all’interno della relazione etica come metafisica, tra l’immanenza e la trascendenza, passando dall’altruismo all’egoismo e rischiando continuamente di trasformare il desiderio metafisico, dell’invisibile, mistero in cui si racchiude l’enigma della femminilità, in bisogno fisico del visibile che si esprime nella voluttà e nel godimento. La partita dell’eros come relazione che mantiene la metafisicità, rischiando continuamente di perderla, viene giocata tutta nel desiderio dell’intimità erotica attraverso la ricerca della nudità senza profanazione.

Come scrive Sergio Labate, ricercatore in filosofia teoretica all’Università di Macerata: “andando incontro all’amata, l’amato desidera di approfondire il mistero, di instaurare una relazione al di là del volto; percepisce che questo desiderio si può esaudire come profanazione […], ma se questa relazione è oltre l’egoismo, nella sfera della gratuità, desidera ancora più fortemente che la relazione con l’infinito mistero celato nella nudità dell’amata avvenga senza profanazione, o come profanazione che pure lascia lo spazio perché ciò che è profanato sia mantenuto nella sua essenza di intoccabilità, di improfanabile”[1].Questa tensione desiderante che muove l’attenzione del desiderio su se stesso “per non decadere in semplice bisogno”[2], si traduce nella concretezza nell’evento della “carezza”. Questa indica a pieno titolo “il movimento dell’amante di fronte alla debolezza della femminilità, che non è, né pura compassione, né impassibilità, ma si compiace di questa compassione”[3], ponendosi come esperienza profonda della relazione erotica, in quanto relazione con la trascendenza, la quale allo stesso tempo cerca continuamente il contatto con l’intimità della nudità.

La carezza come momento della concretezza dell’eros, e come contatto con l‘altro, “è sensibilità”[4] , ma non di una sensibilità qualsiasi tale da restare imprigionata nella forma tutta immanente di un estetismo senza evoluzioni, ma di una sensibilità che attraverso la carezza, “trascende  il sensibile”[5], non in un modo tale “che essa senta al di là del sentito, più profondamente dei sensi, significa che essa si impadronisca di un cibo sublime, […], un’intenzione di fame che si dirige sul cibo che si promette e si dà a questa fame, la scava, come se la carezza si nutrisse della propria fame, al contrario, la carezza consiste nel non impadronirsi di niente, nel sollecitare ciò che sfugge continuamente dalla sua forma verso un avvenire-mai abbastanza avvenire-nel sollecitare ciò che si sottrae come se non fosse ancora”[6]. Amando l’amata, la carezza “ama il trascendente celato nel non-ancora-essere dell’amata”[7] permettendo così all’amato di donarsi all’amata in un “desiderio senza voluttà”[8] proponendosi come un atto profanatore di ciò che non può essere profanato, perché per natura improfanabile. Nonostante questo, la carezza è il segno tangibile della non “rinuncia alla comunicazione segnica corporea, non spirituale”[9] che traccia i confini di “un incontro integrale e paradossale, corpo e trascendenza uniti l’uno come desiderio che desidera la trascendenza, l’altra come trascendenza che si dona al desiderio come nudità o intimità”[10]. Quindi l’eros seppur interpretato in chiave prettamente metafisica, non rifiuta l’esperienza della corporeità che con la carezza viene descritta come “l’azione di una mano diretta dal desiderio verso l’intimità dell’amata, in un contatto del tutto sensibile con la pelle nuda, profanazione dell’intimità di Altri”[11]. Tuttavia se fosse solo questo, la carezza perderebbe di eticità e quindi di metafisicità, avvicinandosi invece sempre più ad una relazione di tipo ontologico, tale che il contatto tra io e Altri perderebbe la nozione di separazione da cui è caratterizzata la prossimità. Senza dubbio ciò che nella carezza è interpretato come voluttà, e cioè l’appetito della soddisfazione sensuale, “non viene soddisfatto nella pienezza di un compimento”[12], in quanto, in questo tipo di relazione che si viene a creare,  con la carezza erotica, io non possiederò mai ciò di cui sento il bisogno[13] perché “l’appetito sensuale o il bisogno si soddisfano della nudità dell’amata, ma non si saziano di essa – soddisfazione che non coincide mai con il nutrimento”[14] o meglio coincide con un nutrimento del tutto particolare[15], che resta allo stadio dell’appetito, “che si sazia della sua fame”[16], “di una fame che rinasce all’infinito”[17] in quanto rivolto più che al cibo alla sua assenza, nella quale la carezza come non-ancora-essere trova la sua intenzionalità. Cosi la relazione etica in eros, non solo è salvata, non potendo essere assolutamente compresa, ma l’alterità “resta intatta nella sua nudità”[18], nella misura in cui l’Amata “si mantiene nella sua verginità”[19], nella notte dell’erotico, nella quale nello stesso istante in cui scoperto Eros, Eros sfugge “per esprimere in modo diverso la “profanazione”.


[1] S. LABATE, La sapienza dell’amore, CITTADELLA EDITORE, 2007 cit., p. 150.

[2] Ibidem.

[3]Totalità e infinito, op. cit., p.264, (corsivo mio).

[4] Ivi, p. 265.

[5] E.LEVINAS Totalità e infinito, JACA BOOK – Milano, 1971 op. cit., p. 265.

[6] Ibidem, (corsivo mio).

[7] S. LABATE, La sapienza dell’amore, cit., p. 151.

[8] Ibidem.

[9] S. LABATE, La sapienza dell’amore, cit., p. 151.

[10] Ibidem.

[11] Ivi, p. 152, (corsivo mio).

[12] S. LABATE, La sapienza dell‘amore, cit., p. 152.

[13] “La carezza erotica non cerca una comprensione concettuale dell’altro; sull’orlo della profanazione dal di dietro del pudore, appare l’Altro non come oggetto del bisogno, ma come oggetto di un bisogno particolare tracciato dal desiderio dell’Altro, il bisogno voluttuoso.”  A. JARNUSZKIEWICZ, Separazione e prossimità,  cit., p.116.

[14] S. LABATE, La sapienza dell’amore, op. cit., p.152, (corsivo mio).

[15] “L’amore è caratterizzato da una fame fondamentale e inestinguibile”, E. LEVINAS, Dall’esistenza all’esistente, Casale Monferrato, Marietti, 1986, p. 37.

[16] Ibidem.

[17] Il tempo e l’altro, op. cit., p. 58.

[18] Totalità e infinito,op. cit., p. 264.

[19] Totalità e infinito,op. cit., p. 264.


Valerio Stagno

Valerio Stagno nato ad Agrigento il 01.06.1976. Formazione classica e laurea in Filosofia all’Università degli Studi di Palermo. Interessato alla filosofia morale con tesi di laurea in “La concezione dell’eros in Kierkegaard e Levinas” specializzato con Master in “Neuroscienze sociali Applicate” e Founder di Terapia delle Emozioni che rappresenta il punto d’incontro tra la filosofia pratica e la relazione di aiuto in termini di ascolto.

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