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Eserciti e monete: un’essenziale analisi storica

Era un giorno di agosto, o forse settembre dell’anno 490 A.C., in un luogo stretto fra la montagna e il mare Egeo, che si chiama Maratona, due eserciti si scontravano. Uno era quello della città di Atene, a cui si era unita quella di Platea, l’altro era quello del grande Re, l’imperatore di Persia. Non si scontravano solo due potenze, ma due modi diversi di concepire la società. Uno, quello Greco, era il mondo delle Polis. Le Città della Grecia classica, dove a comandare erano liberi cittadini. Cioè color che possedevano un po’ di terra, e che vivevano in centri urbani, dove quello che contava erano gli scambi commerciali, e per questo, esisteva la moneta. Di terra, in Grecia, se ne trovava poca, perché in quell’ estrema punta della penisola Balcanica, le colline e le montagne si affollano, una sull’altra, lasciando scarso spazio alla pianura. Ciò aveva determinato che i suoi abitanti si fossero raggruppati in centri urbani, in cima ad un rialzo. Dove tutti sono uguali a tutti, salvo gli schiavi e le donne. Dove circola la moneta, strumento fondamentale per gli scambi e conta il commercio.

E siccome tutti sono uguali, tutti contribuiscono alla difesa della città che, oltre che essere un luogo di vita, è anche un’entità politica. Lo fanno in uno schema tattico che si chiama “Falange”. Uomini uguali tra loro, che possiedono le loro armi, ma che sono il minimo indispensabile: una corazza, uno scudo; una lunga lancia, ed una corta spada e, a volte, degli schinieri per proteggere le gambe. Conta la coesione della formazione, non conta il valore individuale, come accadeva secoli prima, quando a dominare la Grecia erano gli Achei, con i loro re: Wanax, resi famosi dall’Iliade, dove la guerra era monopolio delle caste guerriere. Dall’altra parte del campo di Maratona, c’è un’altra mentalità, un’altra sociologia. L’impero persiano, erede di Babilonia e degli stati agricoli della Mesopotamia. Qui la ricchezza è “la terra”, e se ne trova in abbondanza. Ma il clima pretende irrigazione e questa richiede un’organizzazione, che dà luogo a stati centralizzati, dove conta la Casta. Le armi in Persia sono monopolio di un gruppo sociale, che fa solo quello: monopolizzare la forza bruta dell’impero. Lo scontro tar Persia e Grecia, non è solo geopolitico, è anche fra due visioni del mondo, che dipendono dall’economia di questi due mondi.

La struttura militare delle società, cioè l’organizzazione che ha il monopolio della forza, dipende sempre dai rapporti economici di quella società. Roma era ripartita fra Patrizi, titolari di grandi estensioni di terre, e i Plebei, proprietari di terre meno estese o artigiani. Il Lazio, non è esteso quanto la Mesopotamia, quindi, necessariamente, i proprietari terrieri possedevano terre meno estese. Inoltre, in Lazio ci sono cicli stagionali di piogge, che fanno sì che l’agricoltura non sia legata all’irrigazione, ed al controllo delle acque da parte di un’autorità superiore. La civiltà di Roma è il frutto di un compromesso fra classi. Le legioni hanno soldati plebei e ufficiali patrizi, i soldati (legionari) mirano alle terre alla fine del loro servizio. Lo scontro politico fra classe dominante ed emergenti caratterizzerà la storia di Roma, fino all’impero di Augusto. Man, mano la potenza di Roma annegherà nelle lotte fra generali, per divenire imperatori e Roma sfocerà nel Medio Evo. Un ritorno alla supremazia della famiglia e della proprietà terriera. La guerra tornerà ad essere il monopolio di un manipolo di “eroi”, figli cadetti dei padroni di terre.

Ma le città hanno la loro da dire. Per tutto il medio evo, pagano ai sovrani, padroni della terra, tasse sotto forma di servizi, tra cui quello militare. Attraverso compagnie di cittadini, armati alla meglio che combattono, con il ruolo di fanti, le battaglie fra famiglie che mirano governare nuovi stati nazione. Ci vorranno quasi mille anni, prima che queste compagnie, organizzate in formazione di falange, o di squadre di arcieri, sconfiggano l’arroganza della cavalleria, ad Azincourt, a Grandson, a Morat e a Nancy. La borghesia, quasi una riedizione dei cittadini di Atene, e la moneta, di nuovo, sconfiggono insieme le famiglie e i padroni delle terre. Ma il mondo è molto cambiato dall’antichità. I borghesi scoprono nella guerra un affare, ed essa diviene una questione da professionisti. Il rinascimento è l’epoca degli imprenditori militari che in Italia, chiamati dalle città a difenderne le mura, finiscono per diventarne i padroni e dare origine alle “Signorie”.  Nel frattempo, invece gli stati nazione nascenti si cominciano a dare strutture militari professionali. I comandi sono affidati alla nobiltà, i soldati sono mercenari, anche quando sono sudditi dei re, che si battono in Europa per conquistare il proprio spazio. La Guerra dei trent’anni vede il progressivo mutare dei caratteri delle unità militari. Wallenstein uno dei condottieri delle prime fasi di questa guerra, è un imprenditore militare, al servizio dell’Impero. Man mano i contingenti cominceranno a disporre di unità a carattere nazionale. Questo si mostra ad esempio negli Svedesi di Gustavo Adolfo. Quest’ultimo inventa un complesso sistema di reclutamento, che consente di alternare i suoi uomini fra fronte e campi da coltivare. La Spagna di Filippo II, dispone dei Tercios, reggimenti composti anche di piccola nobiltà nazionale, in cerca di gloria.

L’assolutismo, fra il XVII ed il XVIII secolo, fra barocco ed illuminismo, vede le campagne d’Europa battute da reparti mercenari, assoldati dai sovrani, per combattere le guerre di successione. Il costo di queste guerre è conseguenza di due fenomeni socioeconomici: l’affermarsi dell’apparato amministrativo statuale, per raccogliere fondi e per dirigere la macchina bellica; e il nascere di fatto di un patto fra borghesia finanziaria e nobiltà. La prima presta i soldi alla seconda per assoldare mercenari per fare la guerra, per comprare cannoni e moschetti, uniformi e scarpe; cavalli e muli.  Ma anche per costruire le grandi fortezze (vedasi Vauban), che presidiano i confini degli stati nazione: Francia, Spagna, Portogallo, Piemonte.

La Rivoluzione francese marca un’altra svolta sociale, ed un’altra “Rivoluzione Militare”. Il borghese Napoleone combatte con armate composte da soldati di leva. Un modello mutuato dall’antica Roma e da qualche milizia medievale che, tuttavia, sulle ali degli ideali rivoluzionari, trasforma gli eserciti in organizzazioni numerose, che devono contare sulla fertilità della “Nazione”, la nuova entità astratta che sostituisce la fedeltà feudale dell’epoca assolutista.

Mentre le nazioni europee si affrontano sul piano dell’egemonia mondiale, il mondo cambia ancora. L’industria prende il posto dell’agricoltura e dell’artigianato. Servono sempre più operai e meno soldati. Il culmine della tensione fra potenze europee arriva con la prima guerra mondiale. C’è una forte concorrenza fra chi mandare a combattere e chi deve stare nelle fabbriche per costruire i milioni di tonnellate di acciaio in varie fogge che si consuma sui campi di battaglia. La soluzione viene trovata nella manodopera femminile. Durante la seconda guerra mondiale la gestione delle risorse umane è un problema. Il direttore della commissione per la produzione bellica degli Stati Uniti lo risolve brillantemente. Meno soldati e più macchine al fronte.

La composizione degli eserciti riflette fortemente quella della società, soprattutto nella seconda guerra mondiale. In un gigantesco conflitto che si traveste di ideologia, gli eserciti della democrazia sono un bel campione di classismo. Il “cannonfodder” (carne da cannone), cioè i reparti di prima linea, inglesi americani e relativi alleati, sono fatti di rampolli delle classi meno agiate, di lavoratori a bassa specializzazione, di cervelli meno intellettualmente dotati. Gli ufficiali sono il risultato selezionato della classe media ed alta, in proporzione al rango, occupano i gradi più alti. I tecnici e gli uomini dei servizi informazione, la crema delle migliori famiglie. Paradossalmente proprio l’esercito che per definizione dovrebbe essere quello più castale, quello tedesco, è al contrario il più democratico; fra SS, Wermacht, Luftwaffe, Reichmarine, niente privilegi di casta, tutti a morire alle stesse condizioni. La guerra viene vinta dal numero di risorse economiche e dalla moneta sonante, quella americana, ed un concetto keynesiano, quello della piena occupazione, grazie alla domanda dei campi di battaglia.

Fino al conflitto nel sud-est asiatico, permane la struttura classista, nelle forze armate: ufficiali di educazione superiore, soldati e marinai dai ghetti e dagli slum. La sconfitta americana da parte dei Vietnamiti porta con sé la fine dei sistemi di reclutamento di leva.

La terza rivoluzione industriale, il consumismo, la finanziarizzazione, trasformano di nuovo la società. Oggi i soldati dell’Occidente sono professionisti, che combattono poco e con mezzi supertecnologici, e guidano fanterie contadine di mondi non ancora entrati nel club dei paesi industrializzati.


Giovanni Ingrosso

Giovanni Ingrosso è nato a Bari il 16 aprile 1953, si è laureato a Pavia in Scienze Politiche indirizzo politica economica, a Torino in Scienze Strategiche e ha conseguito un MBA alla Scuola di Direzione Aziendale, dell’Università Bocconi. E’ autore di diversi articoli, su strategia militare e management, di un libro sull’evoluzione della guerra nel mondo moderno e post-moderno, di due romanzi di spionaggio. Ha vissuto tra il 2008 e il 2016 nel Canton Vaud e oggi vive nei pressi di Porto, Portogallo.

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