Diario di un condannato a morte è una raccolta di lettere scritte da William Van Poyck, condannato a morte nello stato della Florida, a sua sorella Lisa. Le lettere sono datate dal 2005 al 2013 e sono state inizialmente scritte dal detenuto per esser poi pubblicate su un blog. Sono quindi da considerarsi un carteggio “pensato” per un lettore terzo, oltre che per gli occhi della destinataria dichiarata. Le troviamo qui raccolte, tradotte ed editate sotto forma di libro da Alessandro Piana. Il libro però, è ben più di quanto la sola descrizione della forma possa far intuire. L’arte epistolare non è certo fiorente nei tempi contemporanei e anche solo la “riuscita” stilistica e la capacità di trasmettere un senso di attualità, spesso ottenuta con riferimento ad avvinementi di cronaca e politica, è di per sè rimarchevole. Bill, per riprendere la firma in calce ad ogni lettera, giorno per giorno, lettera per lettera, ha la capacità di trasportare il lettore nelle anguste celle del braccio della morte, prima in Virginia e poi in Florida. La straordinarietà delle lettere, e della persona di Bill, sta nel contenuto di queste che, più che nel resoconto della vita quotidiana in prigionia, si articolano in una descrizione di quella che l’autore stesso definisce la macchina della morte.
Se il Miglio Verde ha commosso alcuni, e Orange is the new Black ha avuto il merito di mostrare con potenza l’America delle prigioni privatizzate, Diario di un condannato a morte potrebbe definirsi un manifesto dolce del movimento contro la pena di morte. Bill ci trasporta, tra tutto un susseguirsi di esecuzioni che lo circonda, in un mondo di un’ipocrisia così cristallina che rasenta, sfiora, supera, il limite dell’umanamente accettabile. I cavilli giudiziari, le contraddizioni e la totalizzante ragion politica spesso dietro alle condanne capitali, torna continuamente, mentre attorno a Van Poyck la gente continua ad essere “eseguita”, per riprendere la traduzione che Alessandro Piana ci propone, con ragione di enfasi, dell’inglese executed. Se poi consideriamo che i temi sono affrontati in un periodo, che si può in gran parte far coincidere con l’amministrazione Bush figlio, in cui l’autocritica degli Stati Uniti non era sviluppata nella cultura popolare come lo è al giorno d’oggi, il libro ci appare ancor più brillante. In pochi anni, si è passati da Law and Order, serie tv spesso citata dallo stesso Van Poyck nelle sue lettere come esempio di pessima rappresentazione del sistema legale reale, al già citato Orange is the new Black, The good Fight o How to make a Murderer. In questo forse William Van Poyck era in anticipo rispetto al suo tempo, e pensare che parliamo di neanche un decennio fa e di un tema a cui Beccaria diede già tanto già nel 1764 con Dei delitti e delle pene. Inutile celare una certa amarezza nel dover ancora oggi affrontare simili temi: eppure Bill non potrà mai vedere né darci la sua opinione su questa nuova presa di coscienza americana. Son considerazioni come questa che danno l’idea della vastità delle conseguenza del privare della vita altrui.
Manifesto dolce, lo si è definito sopra: manifesto davvero, tanto che il libro ha meritato il patrocinio di Amnesty International. Lo definisco così perché malgrado Van Poyck non si sottragga da un racconto veritiero e spesso crudo delle condizioni di vita a cui sono costretti i detenuti, mantiene un’energia positiva di fondo e riesce a trasmettere con un’abilità di qualità superiore una compassione contagiosa e a tratti disarmante. Bill non dichiara mai di essere un innocente: non lo è. Ha commesso tanti crimini nella sua vita e non fugge mai il suo passato né cerca di addossare la colpa ad altri. Eppure il suo caso, come tanti altri che espone nelle missive, è così palesemente esempio di ingiustizia che la condanna alla pena capitale è non solo una barbarie per la moralità della pena in sè, ma anche perchè evidentemente inflitta (evidenza che William ci mostra con innumerevoli esempi) in modo arbitrario. Nel concreto e senza entrare nel dettaglio, per lasciar al lettore l’opportunità di legger il resoconto di Bill in prima persona, egli è stato condannato per l’omicidio di una guardia in un tentativo di evasione; omicidio però, di cui non è l’autore materiale, fatto riconosciuto dalle corti di appello. Van poyck tenterà in ogni modo di commutare la pena, ma invano. Condannato a morte per omicidio pur non avendo mai ucciso nessuno, questo sarà il suo status legale fino all’iniezione letale.
Questo è un libro di cui si conosce la fine fin dalla prima pagina; eppure non vi è il giustificabile dominio dell’angoscia di una fine ineluttabile, o la stanchezza arrendevole che viene dal lasciarsi andare con la corrente verso una cascata. Sempre sarà presente un senso di energia e un grande slancio vitale. Grace under pressure, grazia sotto pressione, questo era secondo Hemingway il marchio di un eroe; e quando Van Poyck darà l’ultimo saluto alla sorella Lisa, vi ritroverete a condividere con Bill l’amore per la vita e il prossimo che permea ciascuna di queste lettere, e vi scoprirete a constatare che quest’uomo, pur dal braccio della morte, ha trovato il modo di toccare persone lontane.
Una nota di merito va inoltre all’Editore: oltre al merito di offrire una scelta editoriale, esposta in prefazione, che include come patroni i lettori, Bookabook propone un volume curato e all’altezza degli standard delle case editrici di più alta qualità. Questo è degno di nota in un mondo di editoria sempre più inondato di prodotti scadenti, nella forma e nei contenuti, che di fatto vanno a delegittimizzare i piccoli editori che vedono a volte la loro qualità perdersi nel mucchio di narrativa sciatta pubblicata per motivi universalmente noti. Quindi, per il valore dell’edizione in sé e per il merito di distinguersi con onore dalla massa, complimenti a Bookabook.
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