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Vita
Il filosofo sofista per eccellenza nasce a Lentini, città della Sicilia, nel 490 e lì muore nel 391, alla tenera età di 99 anni di cui è lecito dubitare. Compì studi approfonditi sull’arte della retorica prima ancora che nella filosofia e pare che fosse discepolo di Empedocle. Viaggiò per tuta la Grecia e si sa per certo che fu ad Atene nel 427 a. C. (anno di nascita di Platone).
Lasciò numerosi scritti tutti molto polemici con le posizioni filosofiche a lui contemporanee o precedenti. L’encomio di Elena è senza dubbio il testo più famoso pervenutoci per intero. Con L’encomio fa coppia l’apologia di Palamede: i due testi satirici della cultura a lui corrente mettono in evidenza la vena euristica del filosofo.
Diversa solo per la più marcata accezione filosofica è l’altra famosa opera, a noi giunta come riassunto, “Sul non ente”. Quest’ultima, già dal titolo, prende chiaramente di mira la posizione allora dominante in filosofia: l’eleatismo e il pensiero dei pluralisti. In quest’opera Gorgia esplicita le tre famose tesi: nulla è, se anche l’essere esiste comunque non sarebbe comprensibile e qualora fosse comprensibile non sarebbe comunicabile.
Opere
Encomio di Elena.
Apologia di Palamede.
Sul non ente.
Schema di ragionamento
Ipotesi G(orgia)1: tutto ciò che esiste è generato o ingenerato.
Specifica a: quest’idea è tratta dall’esperienza.
Specifica b: Gorgia inizia da un dato che dovrebbe essere ovvio per tutti, parte, cioè, da un’assunzione valida per il luogo comune, non per una dottrina filosofica particolare. In ogni caso, egli:
- ha come scopo finale della sua dimostrazione il ricondurre all’assurdo l’idea eleatica ( l’essere esiste ed è uno ).
- ha come idea di conoscenza quella esperienziale, non intellettuale.
- lo scopo della dimostrazione non implica la costituzione affermativa di una nuova visione filosofica.
Specifica c: che tutto ciò che esiste sia generato o ingenerato è una cosa abbastanza evidente: tra due alternative contrarie o l’una è vera e l’altra è falsa o l’una è falsa e l’altra è vera. Il fatto è che tra due alternative contrarie possono essere entrambe false, possibilità che, in questo caso, è presa proprio come punto di partenza nella discussione di Parmenide. La contraddizione può nascere nel caso in cui l’essere non sia inteso come essere-essenziale ma come essere-presenziale[1] ovvero come essere nel mondo (e conosciuto dall’esperienza). Il fatto è che l’essere, per Parmenide, non è conosciuto tramite esperienza.
Spiegazione I: noi prenderemo esclusivamente in considerazione il discorso di Gorgia del “Non ente”.
Ipotesi P(armenide)1: l’essere non è generato né ingenerato.
Specifica a: ciò che si può dire dell’essere è che è e non può non essere che non sia, insomma, l’essere non è il nulla (ed è proprio a questo che Gorgia vuole arrivare: dimostrare l’incontrario).
Inferenza. Se tutto ciò che esiste o è generato o è ingenerato, se l’essere non è generato e non è ingenerato allora l’essere è nulla.
Tesi Gi: dunque, l’essere è nulla.
Specifica a: solo il nulla non è né generato (perché sarebbe qualcosa) né ingenerato (perché sarebbe senza essere stato precedentemente qualcos’altro). Dunque, l’essere, se non è né generato né ingenerato si riduce a niente.
Ipotesi P2: l’essere è pensiero.
Specifica a: Gorgia analizza anche la possibilità (accettata da Parmenide come detto sopra) in cui l’essere sia pensato come puro pensiero razionale: polemizzando anche con questa posizione, Gorgia arriva a dimostrare che l’essere come pensiero non è garanzia di esistenza così come potremmo ipotizzare.
Ipotesi G2: il pensiero è soggettivo.
Specifica a: questo rivela effettivamente un’idea genuina di Gorgia: il pensiero soggettivo non la ragione ma il risultato dell’esperienza fenomenica. Per tale ragione il pensiero risulta effettivamente riducibile ad un’esperienza privata, inaccessibile a terzi e incomunicabile per via diretta.
Inferenza. Se il pensiero è soggettivo allora il risultato del pensiero è a sua volta soggettivo.
Tesi Gii: dunque il risultato del pensiero è a sua volta soggettivo.
Corollario α: la realtà e il pensiero sono due cose diverse.
Specifica a: prova ne è il fatto che possiamo immaginare ad un automobile che sfreccia nel mare pur non potendo essere vero nella realtà dei fatti. Dunque il pensiero e i suoi risultati sono soggettivi.
Specifica b: ancora una volta, questa critica al pensiero parmenideo è, in realtà, aleatoria in quanto si basa su un’ipotesi diversa di pensiero diversa da quella di Parmenide. Il pensiero per Parmenide è la ragione, il logos, inteso nel senso di determinazione essenziale universale: “il triangolo è una figura geometrica” è un’affermazione che Parmenide avrebbe condiviso senza dubbio ma non avrebbe certo condiviso l’affermazione fattuale “il carro cammina sull’acqua” in quanto riguarda l’aspetto fenomenico, soggettivo e irrazionale del mondo: l’apparenza è nulla per Parmenide proprio perché utilizza il verbo essere in modo contraddittorio ( “la pipa è sul tavolo” implica “la pipa non è sulla sedia” ma dire “la pipa è” non implica alcuna contraddizione, secondo Parmenide ).
Specifica c: quello che Gorgia pensa come “risultato soggettivo del pensiero” non è altro che l’immaginazione, ovvero la capacità di immaginare cose che non ci sono. Tuttavia, è abbastanza evidente che l’immaginazione fondi le proprie possibilità sull’esperienza: le immagini prodotte dal pensiero creativo non sono ex novo, anche quando pensiamo a cose chiaramente impossibili nella realtà. Ogni nostra immagine inizia con l’esperienza: non a caso l’immaginazione è forma geometrica più colore, né più né meno.
Inferenza. Ammesso e non concesso che l’essere esista (abbiamo già assodato che è nulla), ammesso e non concesso che l’essere sia pensiero, sia che l’essere esista, sia che l’essere non esista, sia che l’essere sia pensiero risulta incomunicabile.
Tesi Giii: dunque, l’essere risulta in tutti i casi incomunicabile.
Specifica a: se l’essere non esiste allora non è nulla, dunque non c’è niente da comunicare.
Specifica b: se l’essere esiste ed e non è pensiero allora non si sa cosa sia.
Specifica c: se l’essere esiste come fenomeno allora non è comunicabile perché ognuno vede e sente e esperisce sensazioni diverse da quelle di tutti gli altri. E’ impossibile pensare che due persone diverse vedano esattamente le stesse cose tanto più è impossibile che ad una serie di parole due persone diverse riescano a immaginare le stesse cose.
Spiegazione I: le tesi “decostruzioniste” di Gorgia sono riuscite a dimostrare questo: che l’essere esista è dubbio se non assurdo, ammesso che l’essere esista, in ogni caso è incomprensibile e se è comprensibile è incomunicabile.
!!Spiegazione II: le idee logiche di fondo del pensiero di Gorgia sono due:
- qualunque tesi è dimostrabile mediante le parole,
- tutto ciò che si può conoscere è la propria sensibilità,
In questo senso, il ragionamento di Gorgia si avviluppa su se stesso fino a far diventare il soggetto senziente chiuso in se stesso, solipsista: questo è il concetto che sta nel “se anche l’essere è conoscibile, comunque è incomunicabile” giacché tutto ciò che si può conoscere è la sensazione e la sensazione è, per definizione ed esperienza, una cosa puramente relativa al soggetto. Per tanto la conoscenza è soggettiva e relativa al soggetto e qualsiasi discorso razionale implica un’assurdità di partenza: una selezione di ipotesi arbitraria dalla quale non è importante il risultato in quanto sarà comunque solitario, soggettivo e non deve, per ciò, pretendere nulla.
Spiegazione III: dunque, in conclusione, la filosofia di Gorgia si riduce pienamente ad un soggettivismo spinto e una scissione della parola dalla realtà, in ciò rompendo con la tradizione immediatamente precedente della filosofia che credeva poter esprimere il mondo così come esso è in quanto logos e mondo sono la stessa cosa.
Spiegazione IV: con qualche provocazione, Gorgia fu uno dei primi filosofi analitici della storia, nel senso che egli basava tutta la sua analisi sulla possibilità di dimostrare il contrario senza affermare nulla e già al principio si vede uno dei punti di forza di questa filosofia, pure sua debolezza: la critica che egli pone non elimina l’eleatismo per la sola ragione che non arriva a nessuna immagine scientifica (o prescientifica che sia) del mondo. Egli si limita ad affermare una serie di negazioni che, prese per quello che possono valere, non vanno oltre il momento dimostrativo. In realtà, andando proprio a vedere le sue argomentazioni, egli forza le tesi di Parmenide travisandole solo per arrivare a dimostrare il contrario. In realtà, la critica che egli muove al più grande degli eleati è aleatoria perché non si rifà alle ipotesi di Parmenide ma a delle ipotesi diverse. Per ciò egli non ha dimostrato che la filosofia parmenidea sia all’interno incoerente, al limite che sia difficilmente credibile: ma incoerenza e incredibilità sono due cose assai diverse e una cosa può essere incredibile ma vera e coerente.
Spiegazione V: curiosamente, sebbene ne “Sul non ente”[2], l’opera più filosofica di Gorgia, egli non arrivi a nulla che impensierisca il pensiero parmenideo, è invece molto bello e vero il discorso in difesa di Elena moglie di Menelao, rapita da Paride causa apparente della guerra di Troia. In questo lavoro le tesi antisociali che Gorgia porta sono realmente un raggio di luce in quello che doveva essere ben altro che un mondo fatto da ragione giacché il mondo del piccolo paese ( quale doveva essere per lo più quello della Grecia antica ) è tutto tranne che un locus amoenus fatto di luce intelligente. Elena non fu certo lei causa della guerra, semmai il suo rapimento: ma le malelingue onnipresenti nelle case degli uomini associano ad un evento una causa che non centra nulla con l’effetto. “Se Elena non ci fosse stata non ci sarebbe stata nemmeno la guerra” è come dire “Se non ci fosse stato il genere umano non ci sarebbe stata nemmeno la guerra”: ma quante volte si sentono dire cose assai vicine ad associazioni casuali di idee che diventano cause di eventi che non esistono? In chi crede che la ragione debba dare un volto a ciò che è sfigurato dalla stupidità, invitiamo a leggere l’encomio di Elena e rimarrà stupendamente stupito.
Filosofia
La centralità della parola e della retorica è assolutamente centrale in particolare se si tiene conto del fatto che il retore fonda tutta la sua riflessione sulla possibilità comunicativa che, però, per quanto a volte possa assumere accenti estremamente virulenti, non è fine a se stessa come nei successivi sofisti che adotteranno la sua tecnica solo per argomentazioni capziose e fini a se stesse.
La concezione della realtà è per Gorgia un aspetto poco importante ma vanno tenuti presenti alcuni punti importanti: l’uomo è una realtà che non è in grado di giungere ad una verità assoluta né per via intellettuale né per via sensibile. Nella via sensibile è giusta la concezione di relatività posta da Protagora e per quanto riguarda l’intelligenza si può tener presente quel che Gorgia sostiene nello scritto Sul non ente: si dice che nulla è e le altre due frasi chiariscono il perché: se un ente esiste allora è incomprensibile infatti la coincidenza essere-pensiero è impossibile (si tenga conto che (1) ciò che è comprensibile è ciò che può essere inteso con l’intelletto ovvero pensato, (2) la coincidenza pensiero-essere era tipica del pensiero eleatico il quale specifica proprio la coincidenza con l’esclusione dell’apparenza, molteplicità in divenire). Infatti se io penso ad un essere che sia coincidente con il pensiero allora dovrei credere che tutto ciò che penso esista, per tanto posso pensare ad un carro che vada sull’acqua mentre non potrò mai vederlo nella realtà. Dunque vi è una frattura tra essere e pensiero.
Qualora però io accettassi anche la tesi che il pensiero è esso esclusivamente l’essere però non lo potrei neanche comunicare perché le percezioni di qualsiasi oggetto sono variabili e soggette e quindi, in ultima analisi, indescrivibili e inintelligibili.
Gorgia indica anche che tutte le filosofia si sono contraddette nel senso che ci sono stati pensatori che hanno sostenuto l’unicità dell’essere, altri che hanno sostenuto la plurima essenza sotto forma di radici della realtà.
In fine, per sostenere che “nulla è” dice che se esistesse allora o è generato da qualcosa o non è generato e dunque o è l’un caso o l’altro. Ma se dell’essere non si può dire né che sia generato da altro né che sia ingenerato allora l’unica cosa asseribile è che l’essere non sia.
Concetti
Retorica, linguaggio, eristica, sofistica, ironia, polemica, inasseribilità di una verità assoluta, relativismo epistemologico, riduzione all’assurdo.
Riferimenti
Gorgia, fr. 82B3 e 82B3. Tr. It. Di M. Timpanaro Cardini, in I presocratici…, cit., pp. 918-923.
Gorgia afferma che nulla esiste; se poi esiste, è inconoscibile; se poi anche esiste ed è conoscibile, non è però manifestabile ad altri. E che nulla esiste, egli lo deduce così: mettendo insieme dottrine di quegli altri filosofi, che ragionando delle cose esistenti, sostengono, a quanto apre, gli uni contro gli altri principi contrari –gli uni dimostrando che l’ente è uno e non molteplice, gli altri, che è molteplice e non uno; gli uni, che gli enti sono ingenerati, gli altri , che sono genearati- contro gli uni e gli altri egli trae la sua conclusione [ che nulla esista ]. Infatti, egli dice, se qualcosa esiste, ( sarà necessariamente o uno o molteplice, e questi saranno o ingenerati o generati; ma se accade ), che non sia né uno né molti, né ingenerato né generato, allora nulla esiste; perché se qualcosa esistesse, sarebbe o l’una o l’altra di queste possibilità. […]
Passiamo ora a dimostrare che, se anche alcunché sia, esso è, per l’uomo, inconoscibile e inconcepibil. Se infatti, come dice Gorgia, le cose pensate non sono esistenti, ciò che esiste non è pensato. Questo è logico; per esempio, se di cose pensate si può predicare la bianchezza, ne segue che di cose bianche si può predicare la pensabilità; e analogamente, se delle cose pensate si predica l’inesistenza, delle cose esistenti si deve necessariamente predicare l’impensabilità. Per il che, è giusta e conseguente la deduzione che “se il pensato non esiste, ciò che è non è pensato”. E invero, le cose pensate ( rifacciamoci qui )non esistono, come dimostreremo; dunque, l’essere non è pensato. Che le cose pensate non esistano, è evidente: infatti, se il pensato esiste, allora tutte le cose pensate esistono, comunque le si pensino; ciò che è contrario all’esperienza; perché non è vero che se uno pensa ad un uomo che voli, o dei carri che corran sul mare, subito un uomo si mette a volare, o dei carri a correr sul mare. Pertanto il penato non esiste. Inoltre, se si ammette che il pensato esiste, si deve anche ammettere che l’inesistente non può esser pensato; perché i contrari hanno predicati contrari; e il contrario dell’essere è il non essere. E perciò in via assoluta, se dell’esistente si predica l’esser pensato, dell’inesistente si deve predicare il non esser pensato. Il che è assurdo, perché per esempio e Scilla e Chimera e molte altre cose inesistenti sono pensate. E dunque, ciò che esiste non è pensato. E come, ciò che si vede, in tanto si dice visibile, in quanto si vede; e quel che si ode, in tanto si dice udibile, in quanto si ode; né noi respingiamo le cose visibili per il fatto che non si odano, né ripudiamo le udibili per il fatto che non si vedano ( ché ciascuna dev’essere giudicata dal senso che le corrisponde, non da altro ), così anche le cose pensate, se pur non si vedano con la vista né si odano con l’udito, esisteranno, in quanto sono concepite dall’organo di giudizio che è proprio di esse. Se dunque uno pensa a dei carri che corran sul mare, anche se non li vede, deve credere che ci siano carri che corrono sul mare. Ma questa è un’assurdità; dunque l’esistente né si pensa né si comprende. […]
E se anche [ queste cose ] fossero conoscibili, in che modo egli osserva,m uno potrebbe manifestarle ad un altro? Quello che uno vede, come egli si chiede, potrebbe esprimerlo con la parola? O come questo potrebbe divenir chiaro a chi ascolta senza averlo veduto? Come infatti la vista non consoce suoni, così neppure l’udito ode i colori, ma i suoni; e chi parla, pronunzia ma non pronunzia né colori, né oggetto. Quello dunque di cui non ha proprio concetto, come potrò concepirlo per opera d’un altro mediante la parola o un qualche segno di natura diversa dal fatto, o non dovrà piuttosto, se è colore, vederlo, se è un rumore, udirlo? Infatti chi parla non usa, per esprimersi, un rumore o un colore, ma una parola; perciò neppure è possibile pensare un colore, ma solo vederlo, né pensare un suono, ma udirlo. E se anche è ammissibile conoscere ed esprimere quello che si conosce, come poi chi ascolta, potrà immaginare il medesimo oggetto? Ché non è possibile che una stessa cosa sia contemporaneamente in più soggetti, fra loro separati; ché allora l’uno sarebbe due. E se anche fosse vero, egli dice, che il medesimo oggetto di pensiero si trovasse in più persone, nulla impedisce che non appaia loro uguale, poiché esse non si somigliano in tutto fra loro, né si trovano nella stessa condizione; ché se fossero nell’identica condizione sarebbero uno e non due. Né poi la stessa persona, evidentemente, prova sensazioni simili nel medesimo tempo, ma altre con l’udito, altre con la vista; e in modo differente ora e in passato. Sicché difficilmente uno potrebbe avere sensazioni uguali a quelle idi un altro. E così, nulla esiste; e se anche esistesse, nulla sarebbe conoscibile; se poi anche fosse conoscibile, nessuno potrebbe farlo conoscere ad una altro, per la ragione che gli oggetti esterni non sono parole, e che nessuno concepisce le cose nel modo stesso d’un altro.
Gorgia, Encomio di Elena, trad. it. Di Paola Pultrini per Trombino M., Filosofia 1. Poseidonia, Bologna, 1998.
1) Ciò che rende ordinata e perfetta una città è l’abbondanza di uomini valorosi, per un corpo è la bellezza, per un’anima è la sapienza, per un’azione è la virtù, per un discorso è la verità; ciò che è contrario a tutto questo crea disordine e imperfezione. Un uomo, una donna, un discorso, un’azione, una città devono essere onorati con lodi per la loro condizione, se ne sono degni, se viceversa ne sono indefni, devono essere colpiti da biasimo; infatti biasimare ciò che è lodevole è sciocco tanto quanto lodare ciò che è riprovevole.
2) E’ compito di una stessa persona affermare con forza ciò che è dovuto e controbattere coloro che biasimano Elena, donna che è stata biasimata concordemente tanto dalla testimonianza fedele dei poeti, interpreti della tradizione, quanto dalla fama del nome, divenuto sinonimo di sventure. Io tuttavia, riesaminando con razionalità la leggenda, voglio liberare Elena dall’accusa e dalla sua cattiva fama, mostrando che i suoi detrattori mentono, e chiarendo la verità por fine all’ignoranza.
3) Che dunque per nascita e per stirpe la donna su cui è questo discorso fosse assolutamente tra i più nobili –uomini e donne- non c’è chi non sappia. Infatti è ben noto che la madre fu Leda, il padre nella realtà dei fatti un dio, per ciò che si credeva un mortale –mi riferisco a Zeus e a Tindaro- l’uno, per il fatto di esserlo realmente, fu ritenuto il padre, l’altro, per il fatto di affermarlo, venne smentito, ed erano questi il più forte degli uomini, quegli il signore dell’universo.
4) Poiché era nata da tali genitori, Elena ebbe la bellezza di una dea, che ottenne e conservò senza nasconderla: infuse in moltissime infinite passioni d’amore, con la sua sola persona radunò molti uomini orgogliosi delle loro grandi doti; fra questi alcuni ebbero grande ricchezza, altri la rinomanza che viene da un’antica nobiltà, altri la forza del vigore fisico, altri il potere che deriva dalla conquista del sapere; e tutti giunsero spinti da un amore desideroso di lotta e da un’invincibile ambizione.
5) Chi dunque e perché e come saziò il suo amore, prendendo Elena, non racconterò, perché a dire chi sa ciò che già conosce conquista fiducia, ma non è interessante. Tralasciando ora nel mio discorso quel tempo, passerò a parlare delle orifini dell’argomento in questione, e metterò in chiaro i motivi per cui era naturale che si verificasse la partenza di Elena per Troia.
6) Infatti fece ciò che fece o per volere della Sorte e decreto ineluttabile degli dei o portata via a forza o sedotta dai discorsi.
Se fu dunque per il primo motivo di colei che è accusata non è degna di accusa, poiché è impossibile impedire il volere degli dei con la previdenza umana. Infatti è legge di natura che il più forte non possa essere impedito dal più debole, ma il più debole è dominato e guidato dal più forte. Il più forte guida, il più debole segue. Gli dei sono potenze superiori all’uomo sia per forza, sia per sapienza, sia per tutte le altre doti. Se dunque alla Sorte e alla dea bisogna ricondurre l’accusa, bisogna prosciogliere Elena dalla sua infamia.
7) Se invece, rapita con la forza, le fu fatta violenza contro la legge e contro la legge subì oltraggio, fu chiaramente colui che l’ha rapita a compiere ingiustizia, avendo usato la violenza, mentre lei che venne rapita, avendo subito violenza, fu sventurata. Dunque il barbaro che intraprese una barbara impresa – per la legge, per la parola, per i fatti – merita di avere in base alla legge la perdita dei diritti civili, in base alla parola merita un’accusa, in base ai datti una punizione. Viceversa cole che subì violenza e venne privata della patria e orbata dei suoi cari, non sarebbe più naturale compiangerla piuttosto che calunniarla? L’uno infatti commise un delitto, l’altra lo subì: sarebbe dunque giusto aver pietà dell’una e odiare l’altro.
8) Se poi fu la parola che la convinse e le incantò il cuore, neppure in questo caso è difficile difenderla e ribattere l’accusa come segue. Grande padrone è la parola, che pur on un corpo microscopico e del tutto invisibile riesce però a compiere opere assolutamente degne degli dei: infatti può placare il timore, eliminare il dolore, infondere la gioia, accrescer la pietà. E mostrerò come ciò avvenga.
9) Bisogna infatti renderlo evidente per l’opinione degli ascoltatori. Io considero e definisco tutta la poesia “discorso in metrica”; essa infonde negli ascoltatori brividi di paura, lacrime di compassione, il rimpianto struggente per un lutto, e attraverso le parole riesce a fare sentire come proprie le fortune o le disgrazie relative a fatti e persone estranei. Orsù, bisogna che faccia un ulteriore passaggio.
10) Gli incantesimi di ispirazione divina attraverso le parole inducono il piacere, rimuovono il dolore; infatti diventando una cosa sola con l’opinione dell’anima, con il suo potere l’incantesimo la affascina, la seduce e la trasforma con il suo potere magico. La magia e l’incanto hanno trovato due mezzi per raggiungere il loro scopo: gli errori dell’animo e gli inganni della opinione.
11) E grazie a un falso discorso quanti sono quelli che oggi e un tempo infangarono e furono ingannati, e su quante cose! Se infatti tutti avessero su tutto ricordo del passato, consapevolezza del presente e previdenza del futuro, il medesimo discorso non ingannerebbe allo stesso modo. Ma ora invero non c’è modo di ricordare il passato né osservare il presente né prevedere il futuro; così i più offrono all’anima solo l’opinione come consigliera. Ma l’opinione, essendo incerta e insicura, coinvolge chi se ne serve in rivende dall’esisto incerto e insicuro.
12) Dunque quale ragione impedisce che anche Elena sia stata raggiunta in modo analogo da parole incantatrici – lei che non era più giocane – come se fosse stata rapita con la violenza? Infatti la forza della persuasione che determinò il pensiero di costei – certamente era ineluttabile – possiede un potere un potere pari a quello di ciò che accade necessariamente. La parola infatti che persuade la mente, costringe l’animo che ha persuaso a credere alle parole e ad approvare le azioni. Dunque colui che persuase è nell’ingiustizia poiché ha esercitato una costrizione, mentre colei che fu persuasa, in quanto costretta dalle parole, a torto viene diffamata.
13) Quanto al fatto poi che persuasione unita alla parola imprima anche nell’animo ciò che vuole, bisogna osservare in primo luogo i discorsi dei fisiologi, che rendono evidente agli occhi della mente ciò che è incredibile e oscuro, eliminando un0opinione e infondendone un’altra; in secondo luogo le contese oratorie nei dibattiti giudiziari, in cui un solo discorso riesce ad interessare e convincere un’infinità di gente, se è scritto con arte, non se è pronunciato in base alla verità; in terzo luogo i sottili dibattiti dei filosofi, in cui si mostra anche la rapidità del pensiero, giacché cambia rapidamente la fiducia accordata ad un’opinione.
14) La potenza della parola poi nei confronti della disposizione dell’animo si comporta in modo analogo alla incidenza dei farmaci sulla natura dei corpi. Come infatti alcuni dei farmaci eliminano dal corpo certi umori, altri fanno cessare la malattia, altri la vita, così anche fra i discorsi gli uni arrecano dolore, altri gioia, gli uni infondono timore negli ascoltatori, gli altri coraggio, altri infine, con un malvagio potere di persuasione, avvelenano e incantano l’anima.
15) E che, se fu persuasa dalle parole, non commise ingiustizia, ma fu colpita da sventura, è già stato detto; ora esaminerò nella quarta parte del discorso la quarta accusa. Se infatti fu Amore l’autore del fatto, non sarà difficile per lei sfuggire all’accusa della colpa che le viene attribuita. […]
19) Se dunque lo sguardo di Elena, godendo della vista del corpo di Alessandro, comunicò all’animo il desiderio e la brama di Amore, che c’è di strano? Se questi è un dio, come potrebbe respingere e difendersi dal divino potere degli dei chi è ad essi inferiore? Se poi è una malattia umana e nasce dall’ignoranza della mente, non dovrebbe essere biasimata come un errore, ma ritenuta come una sventura; giunse infatti come giunse tendendo una trappola all’anima, non per una decisione della mente; e con forza irresistibile, non con gli a stratagemmi dell’arte umana.
20) Dunque bisogna forse ritenere giusto il biasimo contro Elena, la quale in ogni caso fece ciò che fece buoi perché travolta dall’amore, vuoi perché convinta dai discorsi, vuoi perché rapita a forza, vuoi perché costretta da una volontà divina – sfugge completamente all’accusa?
21) Con la parola ho eliminato l’infamia di una donna, sono rimasto nelle linee che stabilii all’inizio del discorso, ho cercato di dissolvere l’ingiustizia di un biasimo e l’ignoranza di un opinione diffusa, ho voluto scrivere il discorso come un encomio per Elena, come un gioco per me[3].
Bibliografia
E. Severino, Antologia filosofica, Rizzoli, Milano, 1990.
Trombino M., Filosofia 1. Poseidonia, Bologna, 1998.
Adorno, Verra, Gregory., Manuale di storia della filosofia, Laterza, Roma-Bari, 1993.
[1] Per avere una chiara idea del problema rimandiamo alla scheda su Parmenide. In ogni caso, l’essere essenziale è il verbo essere utilizzato come copula, mentre l’essere presenziale è il verbo essere usato come presenza.
[2] In ogni caso, consigliamo sempre una lettura dei riferimenti diretti dei filosofi in quanto la propria idea vale sempre di più di quella degli altri.
[3] Chiedo scusa per la formattazione deficiente ultima ma è colpa del mio computer idiota.
Firenze 27/12/2019 – Grazie. Mi è stato utile. Sono in pensione dopo 45 anni di lavoro, e mi sto riguardando diverse cose che mi hanno insegnato a scuola. Ricordo, forse male, che Gorgia di Leontini diceva che la democrazia si basa su due pilastri, l’educazione (scuola istruzione) ed il lavoro (che permette l’autonomia della persona). Ma di questo discorso non ne ho ritrovato traccia. Quindi forse mi sbaglio, oppure forse lo ha detto Gorgia il retore del 2° sec. a.C., quello che fu maestro di Marco Cicerone, figlio di Cicerone (https://it.wikipedia.org/wiki/Gorgia_(retore)) Se riguardo a questo discorso dei due pilastri lei sapesse dove posso trovarlo in Gorgia, mi farebbe piacere se me lo comunicasse. Grazie, cordiali saluti,