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Consigliamo –Percorso di Filosofia Antica e Socrate
Vita
Anassagora nasce a Clazomene nel 496 a.C. circa e, forse, a causa di invazioni persiane, ad età matura, si reca ad Atene e lì si stabilisce. Insegna filosofia e diventa, nel momento di massima democrazia, un uomo chiave e simbolo della città di quel tempo, diventa amico di Pericle e fonda una scuola ad Atene.
Tra i numerosi discepoli sono senza dubbio da ricordare Euripide, per primo, Archelao e, citato per ultimo in quanto non si può esser certi che le cose stiano effettivamente così, Socrate. Durante il momento di crisi della città fu accusato di miscredenza e di rifiuto degli dei. Andò così a trascorrere il resto del suo tempo a Lapsaco e lì morì nel 428. a.C..
Figura centrale e iniziatore della filosofia ad Atene, Anassagora è uno di quei pensatori che si trova a dover risolvere il problema della discrepanza tra essere e molteplicità lasciato aperto da Parmenide e dai suoi discepoli.
Schema di ragionamento
Ipotesi A(nassagora) 1: nulla si genera dal nulla.
Corollario α: l’essere non si genera dal non essere.
Corollario β: l’essere esiste e il non-essere non esiste.
Specifica a: come si vede, l’impostazione di Anassagora mantiene intatta l’idea fondamentale ( come Aristotele stesso ricorda ) della filosofia presocratica, cioè l’esistenza dell’essere e l’esclusione del non essere.
Specifica b: il problema rimane sempre lo stesso: riuscire a giustificare l’evidenza dell’esistenza della molteplicità con l’esistenza dell’essere. “La realtà ci appare molteplice” dunque possiamo avere solo un numero limitato di casi:
- “La realtà non è molteplice” dunque “La realtà è una”.
- “La realtà non è molteplice” dunque “La realtà non esiste”.
- “La realtà è molteplice” dunque “La realtà non esiste”.
- “La realtà appare molteplice” dunque “La realtà è molteplice”.
Tutte e tre le possibilità verranno affermate, per esempio, la prima è chiaramente l’impostazione eleatica, la seconda è l’impostazione scettica di Gorgia ( l’idea che la realtà non sia un bel niente o che comunque su di essa non si possa affermare nulla ), la terza è l’idea inconsapevole di Protagora ( il relativismo conoscitivo dell’“uomo misura di tutte le cose” ) e, in fine, l’ultimo principio è condiviso da diversi filosofi: da tutti i pluralisti, almeno.
La filosofia, una volta che apre un problema, generalmente concretizza tutte le varie possibilità e così, andiamo a vedere la soluzione proposta da Anassagora.
Ipotesi A2: la realtà è molteplice.
Corollario α: la realtà è costituita dalla totalità degli oggetti.
Specifica a: non esiste possibile dimostrazione se non il fatto d’evidenza che le cose ci appaiono effettivamente come molteplici e non in altro modo.
Specifica b: le filosofie che negano la molteplicità non la escludono assolutamente, nel senso che essa rappresenta ciò che “appare”, non ciò che “è”. In altre parole, il problema è questo: quando vado dall’oculista e vedo delle lettere in modo sfocate, esse mi appaiono come non sono e così l’oculista mi da un correttivo. Se noi gli obbiettassimo che ci vediamo benissimo, in realtà, l’oculista non potrebbe negarcelo ma, più probabilmente, direbbe: guarda che vedi le cose come non sono. I filosofi che ritengono la realtà una pensano proprio questo: che la sensibilità distorca le cose e le faccia apparire come non sono. Il filosofo empirista dirà l’esatto opposto, e cioè che le cose in linea di massima appaiono come sono.
Inferenza. Se la realtà è molteplice, se la realtà è costituita dalla totalità degli oggetti, se nulla genera nulla, allora gli oggetti o sono generati o sono ingenerati.
Tesi Ai: dunque gli oggetti sono o generati o ingenerati.
Inferenza. Se tutto è molteplice, se la realtà è costituita dalla totalità degli oggetti allora gli oggetti sono una molteplicità.
Tesi Aii: dunque gli oggetti sono una molteplicità.
Corollario α: anche un singolo oggetto implica una molteplicità.
Specifica a: il ragionamento non è perfettamente coerente in quanto la parola “tutto” è chiaramente usata in modo ambiguo e da un lato denota la totalità degli oggetti, da un altro anche le qualità degli oggetti ( quantità e qualità ). Tuttavia, il concetto è esattamente questo ed è proprio la causa della critica, da leggere, che Aristotele muove ad Anassagora.
Inferenza. Se gli oggetti sono una molteplicità, se la molteplicità è divisibile ( affermazione autoevidente giacché solo il nulla e l’unità –per i greci- non si possono dividere ) allora gli oggetti sono divisibili.
Tesi Aiii: dunque, gli oggetti sono divisibili.
Inferenza. Se gli oggetti sono una molteplicità, se gli oggetti sono divisibili allora il risultato di un oggetto diviso in due è un altro oggetto.
Tesi Aiv: dunque, il risultato di una divisione di un oggetto è a sua volta un oggetto.
Inferenza. Se gli oggetti sono una molteplicità, se gli oggetti sono divisibili, se il risultato di una divisione è a sua volta un oggetto allora il risultato di una divisione di un oggetto è a sua volta divisibile.
Tesi v: dunque, il risultato di una divisione di un oggetto è a sua volta divisibile.
Corollario α: se il risultato di una divisione di un oggetto è un oggetto, e se la divisione è divisibile allora è chiaro che l’operazione di divisione è ripetibile in modo infinito.
Specifica a: da un solo oggetto ne possono nascere molti e ogni parte dell’oggetto implica un’infinità di oggetti. Le omeomerie sono appunto questo: oggetti sempre divisibili.
Specifica b: la realtà è dunque composta da un’infinità di oggetti infinitamente divisibili.
Inferenza. Se gli oggetti sono una molteplicità, se un oggetto è composto da più oggetti allora gli oggetti hanno infinite proprietà.
Tesi vi: dunque, gli oggetti hanno infinite proprietà.
Corollario α: di conseguenza, ciascun oggetto differisce da un altro oggetto per infinite qualità.
Specifica a: questo pone un regresso all’infinito nella nostra conoscenza: se le cose stessero effettivamente così, non potremmo conoscere effettivamente proprio nulla ed è ciò che molto lucidamente rileva Aristotele nella sua critica.
Ipotesi A3: tutta la realtà è ordinata da un principio intelligente.
Specifica a: questa è proprio un’ipotesi perché è indeducibile dalle asserzioni precedenti.
Specifica b: il principio Intelligente, o intelletto, è il Nous ( traslitterazione dal greco ).
Specifica c: Anassagora sostiene che l’Intelletto sia a sua volta una sostanza materiale composta di parti più leggere della normale materia ma:
- se fosse vero, allora la materia avrebbe un peso, ma se la materia ha un peso allora non può essere infinitamente divisibile altrimenti sarebbe anche infinitamente pesante,
- se fosse vero, allora come si fa a distinguere una materia più leggera da una meno leggera quando entrambe sono divisibili all’infinito? Ad un certo livello dovrebbero essere ugualmente pesanti!…
Specifica d: se si procede come Aristotele ( cioè sostenendo che l’Intelletto è immateriale ) ci si può chiedere giustamente come questo intelletto possa ordinare una realtà come quella di Anassagora.
Specifica e: per tutta la questione è interessante leggere l’insieme delle critiche che Aristotele muove a Anassagora.
Filosofia
Le concezioni filosofiche pluraliste sono quelle che pongono alla base della realtà principi diversi, non relazionati tra loro né posti secondo un ordine gerarchico. Per i pluralisti la realtà è molteplice perché sono molteplici i principi. Un esempio di pluralismo è classicamente quello di Empedocle, che fissa i due principi, le due “leggi della dinamica” amore e odio, e i quattro principi. Anche l’atomismo di Democrito si può definire in tal senso in quanto alla base del mondo ci sono gli atomi. Come si può ben vedere, già solo da questi due esempi, con “pluralismo” si designano delle concezioni assai diverse.
Il pluralismo può essere così descritto:
- filosofia dai più principi non riscrivibili l’uno a partire dall’altro,
- filosofia non monista, ovvero che vede nella molteplicità l’essenza stessa della realtà,
Anche per Anassagora si parla di “pluralismo” ma non ha molto in comune con le altre posizioni “pluraliste” se non in senso molto astratto. Anassagora pone l’accento sulla differenza infinita sia per quantità che per qualità delle radici della realtà: esse sono infinite, infinitamente divisibili ( dunque doppiamente infinite ), infinite nella diversità le une dalle altre. Dunque, possiamo schematizzare le radici così:
-
- entità fondamentali della realtà,
- entità infinite di numero,
- entità infinitamente divisibili,
- entità infinitamente diverse le une dalle altre,
Il problema parmenideo viene in parte risolto con l’introduzione di una radicale possibilità di derivazioni delle radici a partire da se stesse, per cui tutto è uguale a se stesso, finito e infinito nello stesso tempo, ovvero è l’opposta impostazione di Parmenide. Le radici Anassagora le chiama “omeomerie”, o così già le chiama Aristotele.
L’ordine delle omeomerie è dato da un principio soprasensibile che permea tutta la realtà (soprasensibile di fatto anche se Anassagora parla di una materia più leggera, non di un’assenza di materia).
Il principio d’ordine sovramateriale è il nous (intelligenza) dal quale le omeomerie sono poste non casualmente, ma in modo determinato. Con questo modo di interpretare la physis si instaura un ordine sopraelevato rispetto alla natura stessa così che vi sarà una sorta di finalismo ovvero un principio secondo il quale da uno stato di ordine le cose tenderanno ad ordinarsi, la prima forma di teleologia della filosofia (anche se Aristotele sottolineerà che tale forma teleologica non è affatto reale ma solo fittizia e rivendicherà la “scoperta della causa finale”).
L’ultimo punto importante della filosofia di Anassagora è il modo in cui lui propone di studiare i fenomeni: l’esperienza è la prima fase dalla quale bisogna trarre le informazioni da memorizzare (seconda fase) e da usare e capire secondo un principio tecnico preciso (terza fase). Se si tiene conto di tutta la riflessione di Anassagora allora diventa chiaro come sostenga la natura materiale degli astri (sassi e fuoco).
Il suo approccio scientifico fu attaccato dai conservatori e per questo fu condannato. La condanna non era stata fatta per questioni religiose ma politiche poiché gli accusatori erano dei conservatori aristocratici in disaccordo con l’imminente e operante rivoluzione dei costumi in atto nell’Atene di quel periodo e chiaramente in rotta di collisione con la politica moderna di Pericle, amico pure del filosofo. Infatti, la religione inn Grecia non essendosi mai costituita come istituzione né su un libro sacro contenente un’unica verità, identificata come una serie di riti comuni e di miti su cui riflettere, non fu mai causa di reali scontri, fu però usata come simbolo della tradizione e abitudine codificata della comunità e, per tanto, le condanne religiose di quel tempo, esattamente come la celebre condanna di Socrate, rispecchiavano problemi di ordine pubblico-politico e non religioso.
Concetti
Pluralismo, radici, omeomerie, processi all’infinito, divenire, esperienza, memoria, intelligenza, teche, nous, cosmologia, natura.
Riferimenti
Fisica di Aristotele. Fisica A, Libro I.
Quanto ai fisici, essi sostengono due tesi: gli uni fanno il corpo che fa da sostrato uno –o uno dei tre elementi soliti o qualcun altro che sia può denso del fuoco e più sottile dell’aria -, e quindi generano tutto il molteplice da un processo di condensazione e di rarefazione. Questi sono contrari, e in generale essi parlano di eccesso e difetto, come dice Platone a proposito del “grande” e del “piccolo”; salvo che Platone afferma che la materia fa da sostrato, mentre l’uno costituisce la forma; altri asseriscono che l’uno è lo stesso corpo che fa da sostrato, mentre i due contrari costituiscono le differenze e la forma. Altri pensatori, invece, sostengono che dall’uno che li contiene, si separano i contrari, come afferma Anassimandro e coloro che dicono che l’essere è nello stesso tempo uno e molteplice, come Empedocle e Anassagora.; questi fanno derivare dalla mescolanza tutte le altre cose attraverso un processo di separazione. Si differenziano tra di loro in quanto l’uno, Empedocle, ritiene questo processo ciclico, mentre l’altro, Anassagora, sostiene che esso è avvenuto una volta per tutte; inoltre per il primo esistono particelle similari ( omeomerie ) e contrari infiniti, mentre per l’altro si danno solamente i cosiddetti elementi.
Sembra inoltre che Anassagora assuma i principi come infiniti, in quanto egli accoglie quella che è convinzione comune a tutti i fisici, e cioè che “dal nulla non deriva nulla”. Ed è appunto per questo motivo, che essi affermano che “tutte le cose sono assieme”, e sostengono che il generarsi di una certa cosa è un mutamento qualitativo; altri invece, a proposito della generazione delle cose, parlano di “composizione” e “separazione”. I contrari, inoltre, si generano l’uno dall’altro: dunque dovevano già pre-esistere. Giacché; se tutto ciò che si genera deriva necessariamente o da ciò che è, o da ciò che non è, ed impossibile che le cose si generino dal non-essere –su questa opinione infatti concordano tutti coloro che hanno indagato sulla natura-, allora non resta altro che affermare che la generazione delle loro masse, si sottraggono alla nostra percezione. [ 187b ] Essi affermano perciò che “tutto è mescolato in tutto”, dal momento che vedevano che ogni cosa si genera da ogni cosa. Le cose invece si manifestano come differenti l’una dall’altra e vengono chiamate in modo diverso, a seconda di ciò che prevale, fra gli infiniti elementi, nella mescolanza. Infatti non si trova allo stato puro, un intero che sia bianco o nero, o dolce, o carne o ossa, ma quell’elemento che prevale sembra appunto costituire la natura della cosa.
Ora, se l’infinito, in quanto infinito, è inconoscibile, l’infinito è allora una quantità inconoscibile o secondo il numero o secondo la grandezza, mentre l’infinito secondo la specie è inconoscibile secondo qualità. E dal momento che i principi sono infiniti sia secondo il numero che secondo la specie, non è possibile conoscere ciò che è composto da essi: infatti noi riteniamo di conoscere un composto quando conosciamo da quali e da quanti elementi esso è costituito.
Inoltre, se la parte del composto può essere una qualunque cosa determinata secondo la grandezza e la piccolezza, allora anche il tutto può essere tale ( intendo dire composto da quelle parti che sono presenti nel tutto e nel quale il tutto si divide ). Ma se è impossibile che un qualunque animale o pianta sia grande o piccolo in modo indeterminato, è chiaro che la stessa cosa non può accadere ad alcuna delle sue parti, e che anche l’intero sarà allo tesso modo, e cioè carne e ossa, e le altre parti per l’essere vivente, e i frutti per le piante. E’ evidente dunque che è impossibile che carne e ossa siano grandezze indefinite o nel senso della crescita o in quello della diminuzione.
Inoltre, se le cose di questo tipo sono tutte già presenti ciascuna nell’altra, esse non si generano, ma si producono per un processo di separazione e quindi assumono il loro nome in forza dell’elemento che in esse prevale. Inoltre, qualunque cosa può generarsi da qualunque cosa –come ad esempio l’acqua dalla carne, e la carne dall’acqua-, per un processo di separazione. Dal momento tuttavia che ogni corpo finito può essere estratto da un corpo finito, è chiaro che non è possibile che ogni cosa sia in ogni cosa. Se infatti procediamo a sottrarre della carne dall’acqua, e di nuovo a estrarre dell’altra carne da quanto resta, anche se la parte che estraiamo è sempre più piccola, tuttavia essa non potrà oltrepassare in piccolezza una certa grandezza data. Cosicché, se il processo di separazione giunge infine ad un termine, allora non è vero che ogni cosa sarà in ogni cosa ( e infatti non vi sarà più carne in ciò che resta dell’acqua ). Se, invece, il processo di estrazione non ha un termine, ma è possibile estrarre continuamente qualcosa di nuovo, allora in una grandezza finita vi saranno parti che sono ugualmente finite in grandezza, ma numericamente infinite: ma questo è impossibile.
Ancora: se ogni corpo dal quale viene prelevata una parte diviene sempre più piccolo, e la quantità della carne è delimitata sia in grandezza che in piccolezza, è chiaro che dalla parte minima di carne [ 188a ] non sarà possibile estrarre alcun corpo, dal momento che quella sarà la più piccola parte minima possibile di carne. E ancora: in ciascuno degli infiniti corpi vi sarebbe un infinità di carne, di sangue e di cervello, ciascuno di essi aventi una esistenza separata dagli altri, ma non di meno esistente realmente e ciascuno infinito: ma questo è assurdo.
Si dice giustamente –ma senza esserne coscienti- che un processo di separazione non possa essere mai portato a termine: infatti le affezioni non esistono separatamente. Se dunque colori e stati sono mescolati,e se essi si possono separare, allora potrà esistere e qualcosa di bianco e qualcosa che sta in salute, senza che questi siano attributi di alcun sostrato. Sicché assurdamente l’Intelletto di Anassagora sta tentando l’impossibile, dal momento che esso vuole separare queste cose. Ma non è possibile fare questo né in rapporto alla quantità, né in rapporto alla qualità: in relazione alla quantità, in quanto non esiste una grandezza piccolissima; in rapporto alla qualità, perché gli attributi non esistono come realtà separate.
Né Anassagora assume correttamente la generazione delle particelle similari. Un pezzo di fango, infatti, in un senso si divide in fango, in un altro no. No, per lo meno nel senso nel quale diciamo che le pietre sono prodotte dalla casa e la casa dalle pietre: queste non si generano nello stesso modo in cui acqua e aria lo sono l’una a partire dall’altra. E’ preferibile, dunque, assumere principi in numero minore e finiti, come fa ad esempio Empedocle.
Aristotele, Fisica, pp. 17-23.
Aristotele, Primo libro Metafisica.
…Anassagora di Clazomene, invece, che è più anziano di Empedocle, ma che ha prodotto la sua opera dopo di lui, afferma che i principi sono infiniti; infatti egli dice che quasi tutte le cose formate da parti simili, come l’acqua o il fuco, nascono e periscono in questo modo, cioè soltanto per aggregazione e separazione; in nessun altro aspetto esse nascono e periscono, ma permangono eterne.
pp. 78-79.
(…)
Ma dopo questi pensatori che furono addotti siffatti principi, poiché proprio questi ultimi si rivelarono insufficienti a spiegare la genesi della natura degli enti, ancora una volta i filosofi, costretti, come abbiamo già rilevato, dalla stessa verità, si diedero alla ricerca di una altro principio. Difatti è senza dubbio inverosimile che il fuoco e la terra o qualche altro elemento di tal genere sia causa del fatto che in parte gli enti siano, in parte si generino in conformità col bene e col bello, ed è, altresì, impossibile che quei filosofi ci credano; né, d’altronde, sarebbe stato ragionevole affidare un compito così importante al caso e alla fortuna. Ecco perché, quando qualcuno disse che, proprio come negli animali, così anche nella natura la causa dell’ordine e di ogni disposizione è un Intelletto, egli apparve come una persona sobria rispetto ai più antichi che parlavano a casaccio. E noi sappiamo con certezza che Anassagora fece questi ragionamenti, quantunque si dica che Ermotimo di Clazomene avvia parlato di una tale causa già prima di lui.
p. 81.
(…)
Risulta pertanto, a nostro avviso, che questi filosofi finora hanno toccato solamente due delle cause che noi abbiamo distinte nei nostri Trattati di fisica – ossia la materia e ciò da cui tra origine il movimento -, quantunque ne abbiamo parlato in maniera vaga e per nulla chiara, come nelle lotte si comportano coloro che non sono esercitati; anche questi ultimi, infatti, vanno scorrazzando di qua e di là e vibrano sovente bei colpi ma senza rendersene conto, allo stesso modo che quei filosofi non sembrano aver consapevolezza di quello che devono, giacché risulta che essi non ne sanno trarre profitto se non in piccola parte. Anassagora, infatti, usa l’Intelletto come un meccanismo per la produzione dell’ordine universale, e, quando non sa spiegarsi per quale causa qualcosa necessariamente è, allora tira in ballo l’Intelletto, mentre nei rimanenti casi egli considera come causa degli accadimenti qualsiasi altra cosa tranne che l’Intelletto (…)
p. 84.
(…)
Per quanto concerne Anassagora, se si pensasse che egli parla di due elementi, si avrebbe un’opinione che sarebbe dato forma ad un ragionamento che egli stesso non riuscì ad articolare, ma che necessariamente avrebbe accettato se qualcuno ve lo avesse guidato. In realtà è assurdo asserire che al principio tutte le cose erano mescolate; e questo, oltre che per altre ragioni, anche perché [989b] ciò presupporrebbe che le cose stesse esistessero precedentemente come non mescolate, e perché per natura non accade che una cosa qualsiasi si mescoli fortuitamente con una cosa qualsiasi; ma inoltre perché le affezioni e gli accidenti potrebbero essere separati dalle sostanze ( giacché mescolanza e separazione vengono ad esercitarsi sulle medesime cose ) ma tuttavia, se si seguisse Anassagora dando u più articolato svolgimento a ciò che egli vuol dire, forse risulterebbe che egli parla in modo assai moderno. Quando, infatti, nulla era separato, non si poteva dire nulla di vero di quella sostanza; voglio dire, ad esempio che essa non poteva essere detta né bianca né nera o grigia né di un altro colore, ma era necessariamente incolore, altrimenti avrebbe dovuto avere uno di tali colori, e similmente, per questa stessa ragione, essa era insapore, anzi non aveva nient’altro di simile, giacché essa non poteva essere né una qualità né una quantità né qualcosa. Altrimenti, infatti, ci sarebbe stata in essa qualche forma particolare, ma ciò è impossibile, giacché tutto era mescolato. E, invero, tale forma sarebbe già stata separati, mentre, al contrario, egli sostiene che tutte le cose erano mescolate tranne l’Intelletto, e che questo soltanto era non mescolato e puro. Da ciò risulta che, secondo lui, i principi sono l’Uno ( giacché appunto questo è semplice e non mescolato ) e l’Altro, cioè quello che noi identifichiamo con l’indefinito prima che questo sia definito o partecipi di una qualche forma, e di conseguenza, se egli parla in modo né corretto, né chiaro, tuttavia quello che vuol dire è molto vicino a quello che dicono i filosofi posteriori alle cose quali appaiono.
pp. 117-119.
Bibliografia
Aristotele, Fisica, Mimesis, Milano, 2007.
Aristotele, Il libro primo della metafisica, Laterza, Bari-Roma, 1973-2005.
Garzantina di Filosofia e scienze sociali.
Adorno, Verra, Gregory, Manuale di storia della filosofia, Laterza. Roma-Bari, 1993.
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