Il territorio italiano è ricco di patrimoni naturali e architettonici spesso non valorizzati al meglio, a volte per motivi economici e politici, altre volte per carenze strutturali legate comunque al primo punto. Tuttavia ci sono eccellenze che non risentono di questa crisi e di questa mancata valorizzazione: si prenda come esempio la bellissima zona attorno ai grandi laghi lombardi, veneti e piemontesi, o si pensi ancora alla Toscana e alle terre brune attorno a Siena.
Sono zone geografiche in cui negli anni si è saputo creare, oltre ad un tessuto produttivo che ha favorito l’economia, anche un sistema turistico che ha potenziato e dato risorse ad una regione già ricca di suo. Come da incipit però, ci sono regioni e provincie, in cui complice un sistema economico secondario e terziario sottosviluppato, il sistema turistico non si è sviluppato al meglio: si pensi alla Sicilia, terra bellissima, ma ancora ben lontana rispetto alle regioni del nord; o ancora, alla Calabria e alla Puglia, terre ricche di patrimoni artistici e di tradizioni immutate nel tempo, ma che a causa di un’arretratezza economica storica, non trova nel turismo le forze sufficienti per risollevarsi. In conclusione, un territorio di vocazione turistica non è sufficiente a far sì che una determinata regione possa vivere solo di quel settore.
La Sardegna da questo punto di vista è un altro esempio che potrebbe sorprendere. Nello specifico, in quest’articolo voglio parlare del Sulcis-Iglesiente, una delle (ex) province più povere d’Italia, ma con un territorio che, a livello turistico, dispone veramente di un patrimonio assai significativo. Si parla di ex provincia, in quanto dal 2017 in Sardegna è tornata la suddivisione “storica” di provincia “Sud Sardegna”, “Nuoro”, “Sassari”, “Oristano” e la neonata città metropolitana di Cagliari che è esclusa da un sistema provinciale.
Il Sulcis Iglesiente è posto nella subregione sudoccidentale della Sardegna e comprende territori comunali più o meno noti: sicuramente qualcuno avrà sentito parlare di Teulada, con le sue spiagge incontaminate e la sua vasta base militare che rende inaccessibili le stesse spiagge per 300 giorni l’anno, oppure avrete sentito parlare di Carloforte dove il sardo si contamina culturalmente con il genovese, generando un miscuglio peculiare di culture, ma probabilmente siete all’oscuro della presenza del paese di Narcao, fulcro di vita pastorale, ma dal florido passato minerario. E infine, fra tutti i ventisei comuni di questa provincia, chi di voi ha mai sentito parlare di Villaperuccio? Qui potrete trovare e visitare i resti di una delle più importanti necropoli pre-nuragiche in Sardegna nella zona posta nelle ruralità del paese chiamata “Montessu”. Visitabile tutto l’anno, non vi pentirete di aver fatto una deviazione lungo il tragitto di tre giorni e due notti che ora vi proporrò.
La Sardegna è unica nel Mediterraneo per caratteristiche ambientali, geologiche, biologiche, per i paesaggi naturali spettacolari nella morfologia delle coste e dei rilievi interni, le cavità sotterranee e le aree archeologiche che ne fanno per varietà e rilevanza, un piccolo ma intero continente, come disse anche il grande storico Fernand Braudel, nel suo più celebre libro “Civiltà e imperi nel Mediterraneo nell’età di Filippo II”. Una verità geografica e culturale che renderebbe la Sardegna turisticamente approcciabile tutto l’anno: purtroppo manca un sistema di riforme proattive da parte della Regione Sardegna.
L’attività mineraria ha modellato il paesaggio insieme all’antica cultura delle popolazioni minerarie creando un ambiente in cui il fascino della storia accompagna il visitatore tra le splendide testimonianze di archeologia industriale, in mondi sotterranei e a contatto con la magnifica natura sarda, tanto aspra e selvaggia.
Suggestivi villaggi operai (Miniera di Rosas a Narcao o l’Argentiera ad Alghero), pozzi di estrazione (Pozzo Gal di Arbus), migliaia di chilometri di gallerie (Porto Flavia), impianti industriali, antiche ferrovie (Galleria Henry di Buggerru), preziosi archivi documentali e la memoria di generazioni di minatori rendono il Parco Geominerario sardo un grande giacimento culturale da scoprire.
Il tragitto che vi propongo è pensato con partenza da Cagliari con macchina propria e un budget di circa 100€ a persona. Vi basterà, per godere al meglio una regione tanto povera economicamente, quanto ricca dal punto di vista delle emozioni turistiche.
PRIMO GIORNO
Il primo giorno lo dedicheremo alle miniere dell’Iglesiente. Il Sulcis Iglesiente ha rappresentato negli ultimi due secoli uno delle regioni più floride in Italia per quanto concerne l’industria mineraria: carbone, argento, galeno, ferro, piombo, zinco, furono questi, oltre gli altri, i principali materiali estratti già dall’epoca sabauda con delle miniere molto spesso all’avanguardia. Così impostando il vostro navigatore su “Miniera Rosas Narcao”, arriverete dopo un viaggio lungo la Pedemontana Sulcitana, strada due corsie immersa nelle campagne atte ai pascoli delle grandi greggi di pecore, in un affascinante villaggio minerario che sembra uscito da un film di John Ford. Il villaggio di Rosas è iscritto nella lista degli “Ecomuseo” è questo può essere solo un motivo in più per visitare, al costo di 8€, questo sito minerario che venne scoperto nel 1832 da Enzo Perpignano. Quest’ultimo, per intercessione del re Vittorio Emanuele II, ottenne la licenza per estrarre la galena nel 1851 come “Società Anonima dell’Unione Miniere del Sulcis e del Sarrabus” ed è in questo anno che si iniziò ufficialmente a estrarre il prezioso minerale. Estesa 400 ettari, dalle sue gallerie si cominciarono successivamente a estrarre anche piombo, zinco e ferro. L’area, situata alle falde del cosiddetto monte Rosas, era già stata sfruttata sin dall’epoca nuragica e fu oggetto di sfruttamento prima con i romani e successivamente con i pisani, quando occuparono la Sardegna nel 1400. La miniera deve dunque il suo nome al Monte Rosas, in cui nel 1929 venne scoperta la rosasite, un minerale (carbonato basico di rame e zinco) così chiamato in onore della località tra i monti di Terrubia, frazione di Narcao. L’unicità di questo sito industriale è data dal fatto che si può visitare un interessantissimo e moderno museo, dotato anche di suggestivi reperti multimediali, dal fatto che si può visitare la laveria, ovvero il luogo dove avvenivano i processi chimici attraverso i quali il minerale veniva “lavato” dell’inerte e, infine, dal fatto che per tutta la visita verrete accompagnati da delle istruitissime guide che renderanno la visita (di circa un’ora e mezza) ricca di aneddoti e dettagli, specie durante la visita nelle gallerie laddove i minatori scavavano la roccia con i T21, potenti martelli pneumatici di grandissima efficacia. Per assurdo, all’epoca il T21 era considerato lo strumento del futuro, quasi nanotecnologia. È arrivato il momento di lasciare il villaggio di Rosas, dove però avrete a vostra disposizione anche un ostello e un albergo diffuso qualora vogliate dormire in loco, oppure un ristorante dove appagare il palato, e quindi ci dirigiamo in direzione Porto Flavia.
Quest’altro sito minerario si presenterà davanti ai vostri occhi dopo aver compiuto un tragitto di circa un’ora prima nella tipica landa di campagna sarda, caratterizzata dalla scarsa presenza di centri abitati, anche se varrebbe la pena compiere una piccola deviazione per andare a Terraseo, dove producono una varietà di fagiolo autoctono, il cosiddetto “Fagiolo bianco di Terraseo”; sfiorerete anche la cittadina medievale di Iglesias che merita una visita a parte nel centro storico medievale e nei piccoli musei posti nel villaggio minerario di Monteponi. Infine, gli ultimi quindici minuti di strada, saranno una serie di curve affascinanti con scenari mozzafiato a picco sul mare che vi porteranno direttamente nelle immediate vicinanza dell’impianto minerario di Porto Flavia posto nel territorio di Masua, che per le sue caratteristiche, è unico al mondo. Porto Flavia è per l’appunto un porto situato in una falesia a picco sul mare davanti all’isolotto noto come “Pan di Zucchero”: faceva parte dell’infrastruttura mineraria di Masua e fu progettato e realizzato nel 1924 per ingegno dell’ingegnere Cesare Vecelli. La visita guidata costa 10€ e il prezzo è totalmente giustificato perché le esperte guide narrano fatti e aneddoti che non si avrebbe altrimenti modo di scoprire. Tanto più che non esiste né una bibliografia su Porto Flavia, né una più generale (che avrebbe anche portata enciclopedica) su tutta la storia delle miniere in Sardegna. Chissà, se tramite Scuola Filosofica, possiamo aprire un filone di ricerca sulle miniere in Sardegna.
L’intera struttura portuale fu scavata nella roccia e si basava su due gallerie sovrapposte con dei binari al centro: questi si collegavano direttamente agli impianti di laveria della Miniera, dai quali appunto arrivavano dei vagoncini pieni di minerale che veniva prima immagazzinato in degli enormi silos scavati all’interno della roccia, e poi caricati nelle navi mercantili che portavano i minerali nei principali porti di tutta Europa. Prima della nascita di Porto Flavia, il minerale veniva smistato sulla spiaggia di Masua dove venivano caricate le bilancelle, piccole barche a vela latina, che una volta caricate partivano alla volta di Carloforte, dove poi venivano nuovamente smistate in mercantili di più grande portata. Con il progressivo abbandono delle miniere negli anni sessanta, anche Porto Flavia smise la sua attività portuale: oggi è possibile rivivere con una certa emozione il passato, spesso funesto, dei lavoratori delle miniere, gli incidenti infatti erano all’ordine del giorno, e non si parlava ancora di sicurezza sul lavoro. Questa giornata ricca di visite sta per terminare. Cambiamo rotta e dirigiamoci a Portovesme per imbarcarci, compresa la macchina, per il primo traghetto per Carloforte, “l’isola nell’isola”. Se fate in tempo assaggiate assolutamente la pizza e la focaccia di questo borgo autentico, insignito dal Touring Club Italia, che ricorda molto i sapori e le tradizioni di Genova, precisamente della cittadina di Pegli in Liguria.
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