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Consigliamo –Percorso di Filosofia Antica e Socrate
Vita
Il movimento pitagorico è fondato su alcune dottrine attribuite al Sommo Maestro, Pitagora, il quale ha connotati più leggendari che umani. Di lui e dei suoi principali discepoli e sostenitori, Filolao e Archita, sappiamo poco.
Pare sia nato a Samo nel 570 a.C. e lì visse fino a che non fu costretto a scappare per via di dissidi avuti con il tiranno. Si sistemò a Crotone e lì fondò la sua scuola e una setta la cui sede venne distrutta per via di una sommossa popolare della linea democratica. Pitagora riuscì scappare, pare per miracolo, e viaggiò per la Magna Grecia. Si recò prima di tutto a Taranto, città fiorente all’epoca (pare che poco prima dell’invasione romana la città contasse duecentocinquantamila anime), e successivamente si spostò nel Metaponto, terra che tuttora ospita le rovine del tempio di Zeus, considerate molto importanti seppure rimane solo il colonnato dorico. A Metaponto trova la morte nel 490. a. C..
Durante la sua vita pare avesse a lungo viaggiato, in particolare nell’oriente, Egitto e Persia, pare che arrivò anche nella capitale del grande Impero, Babilonia, ma alcuni di questi spostamenti sono del tutto frutto di racconti. D’altra parte, la figura del sapiente errante è una costante nelle biografie dei filosofi antichi ( pensiamo per esempio a Democrito, Talete, Platone ).
Pitagora non lasciò alcuno scritto e le sue idee sono riportate sistematicamente dal suo discepolo più importante, Filolao, al quale si deve anche una chiara visione cosmologica in accordo con la dottrina pitagorica dei numeri. D’altra parte, lo stesso Platone si richiama alla dottrina dei numeri di Pitagora e Aristotele stesso nel primo libro della metafisica tratta di Pitagora, delle dottrine sue e dei suoi discepoli, e della connessione tra platonici e pitagorici.
Nonostante la fama indubbia di questo semispettro dell’antichità e le testimonianze antiche, ci sono opinioni autorevoli che insinuano la possibilità che il pitagorismo non sia mai esistito: non solo dunque il Sommo Maestro, ma pure tutta la sua dottrina. Ci sono infatti delle buone ragioni per ritenere che la costruzione pitagorica sia nata al tempo di Platone.
Filosofia
La scuola pitagorica fu organizzata in modo rigido e gerarchico alla cui base erano posti gli acusmati i quali non potevano né rivolgere domande né esprimere opinioni personali, erano dei discepoli ed avevano come unico compito quello di ascoltare i maestri e rispettare precise regole morali, un po’ come nell’intero mondo accademico occidentale, nel quale si può dire un parere solo dopo un lungo periodo di addestramento all’opinione dominante, periodo variabile dai sette ai dieci anni di base, durante il quale bisogna anche imparare a seguire determinati comportamenti aderenti alle voglie di chi è già all’interno del sistema.
Al di sopra degli acusmatici vi erano i matematici i quali potevano esprimere opinioni e avevano accesso interamente alle dottrine del maestro. Fatto assai inusuale per la Grecia anticha, nella scuola Pitagorica potevano iscriversi sia uomini che donne.
Al principio della concezione pitagorica stava la musica, pensata interamente all’interno dei rapporti matematici delle altezze dei suoni. Dalla musica si passa alla visione della realtà concepita come insieme di numeri: ogni corpo è una figura geometrica la quale è, a sua volta, composta da punti, ovvero, unità. La matematica pitagorica, che non pensava lo zero, pensava di poter rappresentare la realtà attraverso il numero in quanto gli stessi numeri avevano delle precise caratteristiche: l’uno è il punto, il due è una linea, il tre un piano, il quattro un corpo solido. Il dieci rappresentava l’armonia: per tale ragione e per l’idea comune a quasi tutti i filosofi dell’antichità ( eccetto per Epicuro ), nonostante si vedessero solo nove pianeti, i pitagorici affermavano che dovessero essere dieci.
L’arché pitagorico non ravvisa non in un elemento il principio delle cose, ma nell’unità numerica perché le cose che appaiono sono in realtà delle rappresentazioni numeriche. Il numero uno, che non ha precedenti[1], è l’unità fondamentale la quale non ha opposti, come gli altri numeri, gli altri numeri ammettono opposti: opposizione pari/dispari. L’unità è dunque indivisibile ed è anche chiamata “parimpari” in quanto non è né pari né dispari. In realtà, la concezione pitagorica è molto meno matematica di quel che da a vedere: in numeri sono solo delle rappresentazioni delle cose di cui mantengono solo determinate caratteristiche ed infatti l’aritmogeometria pitagorica avrà difficoltà a spiegare i paradossi dell’infinito di Zenone.
I pitagorici furono i primi occidentali a riflettere sulla presenza dell’anima: una volta morto il corpo, l’anima trasmigra e si purifica fino a ritornare, dopo una serie di reincarnazioni, un’unità con la divinità. Tale impostazione verrà ripresa e rivista da Platone.
In fine l’ultima parte della concezione pitagorica è la cosmologia: la terra è pensata al centro dell’universo e attorno ad essa ruotano dieci pianeti, questi sono in continuo movimento e questa arminia genera una musica celeste non udita dagli uomini perché non hanno un udito sufficientemente fine. Lungi dallo scomparire nel tempo, questa teoria è la base della visione prima aristotelica e poi tolemaica scomparsa ( quasi per tutti… ) tra il cinquecento e il seicento grazie alla nascita dell’astronomia scientifica con Galileo e Copernico in particolare. La visione cosmologica pitagorica è attribuita a Filolao, sebbene non si possa essere del tutto certi che egli sia esistito.
Dunque, la filosofia pitagorica da ragione di tre problemi filosofici: (a) l’origine e fonte di tutte le cose, (b) la presenza di un’anima, (c) la cosmologia. Tuttavia, tutte e tre le visioni sono molto simili a quelle dei platonici e non si discostano poi di molto, sebbene la visione platonica sia molto arricchita. La presenza di questa completa “aderenza” tra le due filosofie fa pensare proprio che, in realtà, sia un’invenzione a posteriori l’esistenza della dottrina di Pitagora di cui nessuno ha niente di certo: senza scritti e senza originalità in un periodo storico in cui le voci bastavano a far incarnare i corpi, non ci sono basi per avere nessuna certezza dell’esistenza di questo famosissimo pensatore, uno dei pochi che quasi tutta l’umanità conosce e che pure nessuno ha mai visto.
Riferimenti
Aristotele, Fisica, PIII
La scienza della natura ha per oggetto grandezza, movimento e tempo, e ciascuno di questi è necessariamente o infinito o finito; e questo anche se non tutte le cose sono infinite o finite, come nel caso di un’affezione o di un punto , giacché, forse, nessuna di queste esiste alternativamente nell0uno o nell’altro modo. Dunque è del tutto opportuno che chi si occupa di scienza della natura, faccia oggetto di ricerca anche l’infinito, per indagare se esso esiste o meno e, qualora esiste, per determinare che cosa è.
Vi sono degli indizi per affermare che questa ricerca è propria della fisica. Infatti, tutti coloro che sembrano aver trattato correttamente questa parte della filosofia, hanno fatto oggetto di indagine l’infinito, e tutti lo hanno inteso come un certo principio delle cose.
Per gli uni, come i Pitagorici e Platone, l’infinito è considerato esistere per sé stesso, e non come un attributo che si predica di altro, bensì pensano che l’infinito sia sostanza. Ma i primi, i Pitagorici, lo hanno collocato nelle realtà sensibili ( infatti essi non considerano il numero come una realtà separata dagli oggetti sensibili ), e dicono che l’infinito sussiste come realtà al di fuori del cielo ( neppure le idee, poiché esse non esistono in nessun luogo ), e sostiene che l’infinito esiste e nelle cose sensibili e nelle idee. E per gli uni, l’infinito è il pari, giacché dicono che esso, circoscritto e limitato dal dispari, rende presente l’infinito nelle cose. Prova ne è quanto capita nei numeri. Infatti, se i gnomoni sono posti attorno all’uno, e separatamente da questo, ne risulta ora una figura sempre differente, ora sempre la stessa. Mentre Platone dice che esistono due tipi di infinito, il grande e il piccolo.
P., 101.
Anche i Pitagorici sostenevano l’esistenza del vuoto e dicevano che esso, dall’infinito soffio, penetra nello stesso universo come se respirasse, e che è il vuoto che delimita la natura delle cose, come se il vuoto fosse qualcosa di separato e delimitasse le cose contigue. E questo avviene in primo luogo nei numeri, poiché il vuoto delimita la loro natura.
Su questi fondamenti, gli uni affermano che il vuoto esiste, mentre gli altri [ i Pitagorici ] lo negano, all’incirca facendo uso di tali e tante argomentazioni.
P., 151.
Ogni cambiamento è per natura distruttore. Nel tempo infatti tutte le cose si generano e si corrompono. E per questo gli uni dicevano il tempo, “l’essere più saggio”, mentre gli altri, come il Pitagorico Parone, “il più ignorante”, in quanto in esso si dimenticano le cose: e questa considerazione è più adeguata. E’ chiaro dunque che il tempo sarà causa, per sé, di distruzione piuttosto che di generazione, come si è detto prima ( il cambiamento è in effetti per sé distruttivo ), mentre esso solo per accidente è causa di generazione e di essere. Una prova sufficiente è che nulla si genera senza che questo stesso sia in qualche modo mosso e agisca, mentre una cosa si distrugge anche senza che nulla sia mosso. E noi solitamente intendiamo soprattutto questo, quando affermiamo che una cosa è distrutta dal tempo. Ma invero il tempo non fa neppure questo, ma capita che, nel tempo, si produca anche questo mutamento.
P., 189.
Aristotele, Metafisica I.
Nella stessa epoca di costoro, e anzi, prima di loro, i cosiddetti pitagorici si dedicarono per primi alle scienze matematiche, facendole progredire; e poicé trovarono in esse il proprio nutrimento, furono del parere che i principi di queste si identificassero con i principi di tutti gli enti. I numeri sono per natura i primi tra tali principi, e i pitagorici credevano di scorgere in quelli, più che nel fuoco o nella terra o nell’acqua, un gran numero di somiglianze con le cose che sono e che si generno, e asserivano che una determinata proprietà dei numeri si identifica con la giustizia, un’altra con l’anima e con l’intelletto, un’altra ancora col tempo critico, e che lo stesso vale, pressappoco, per ciascuna delle altre cose, e individuano, inoltre, nei numeri le proprietà e i rapporti delle armonie musicali, e, insomma, pareva loro evidente che tutte le altre cose modellassero sui numeri la loro intera natura e che i numeri fossero i primi di tutta la natura; e per tutte queste ragioni essi concepirono gli elementi dei numeri come eelementi di tutti gli enti, e l’intero cielo come armonia e numero; e quante concordanze con le proprietà e le parti del cielo e con l’intero ordine universale essi riscontravano nei numeri e nelle armonie, e le raccoglievano e le sistemavano. E anche se, in qualche parte, ne veniva fuori qualche mancanza, essi con facilità si mettevano ad aggiungere, allo scopo di rendere pienamente compatta la loro dottrina; così, ad esempio, poiché la decade sembra perfetta e capace di abbracciare tutta quanta la natura dei numeri, essi asseriscono che sono dieci anche gli astri che si spostano sotto la volta celeste; ma, poiché quelli visibili sono soltanto nove, per questa ragione essi ne creano un decimo, L’antiterra.
Su tali questioni noi abbiamo condotto un esame più rigoroso in altra sede. Tuttavia ne stiamo pardando anche per il solo scopo di apprendere anche da questi filosofi quali principi essi pongano e in che modo questi si collochino rispetto alle cause da noi elencate. Orbene, è evidente anche che costoro concepiscono il numero come principio, considerandolo sia come materia degli enti sia come costitutivo delle affezioni e degli stati di questi, ed elementi del numero sono il pari e il dispari, e di questi il primo è illimitato, il secondo è limitato e l’iuno risulta da tutti e due questi elementi (giacché esso è pari e, insieme, dispari) e il numero deriva dall’uno e l’intero cielo, come si è già detto, si identifica con i numeri.
Altri, che fanno parte della stessa scuola, dicono che i principi sono dieci e li elencano per coppie incolonnate, ossia
limite e illimitato
dispari e pari
uno e molteplice
destro e sinistro
maschio e femmina
quieto e mosso
retto e curvo
luce e oscurità
buono e cattivo
quadro e oblungo;
questa pare che sia stata la dottrina anche di Alcmeone di Crotone, e o questi ha desunto dai pitagorici tale modo di ragionare oppure i pitagorici l’hanno desunto da lui, giacché Alcmenone [ era nell’età giovanile quando Pitagora era ormai vecchio e ] si esprimeva in modo molto vicino a quello dei pitagorici: egli dice, infatti, che la maggior parte delle cose umane procede per coppie di contrari, ma non le raggruppa in modo determinato, come i pitagorici, bensì a caso, ad esempio, bianco e nero, dolce e amaro, buono e cattivo, grande e piccolo. Così, dunque, Alcmeone buttò lì, senza alcun ordine, [ 986 b ] le altre coppie di contrari mentre i pitagorici rivelarono il nuermo e la natura delle coppie di contrari. E pertanto possiamo desumere tanto da lui quanto dai pitagorici almeno una cosa, ossia che i contrari sono principi degli enti; ma possiamo desumere il numero e la natura di tali principi soltanto dai pitagorici. Il modo, però, mediante cui questi loro principi possono essere ricondotti alle cause indicate da noi, non risulta chiaro da come essi li hanno disposti, ma pare che essi collochino tali elementi come se questi fossero di specie materiale, giacché, secondo le loro affermazioni, la sostanza risulta composta e plasmata proprio da questi elementi, in quanto essi le sono immanenti (…)
pp., 89-93.
Orbene, i cosiddetti pitagorici fanno uso di principi e di elementi meno familiari di quelli posti dai naturalisti ( e il motivo di ciò sta nel fatto che essi non li hanno desunti dai sensibili, giacché gli enti matematici, tranne quelli di cui si occupa l’astronomia, sono privi di movimento ), ma non di meno essi discutono e trattano in ogni caso della natura; essi, infatti, parlano della generazione del “cielo” [990 a] e si occupano di ciò che accade nella parti e nelle affezioni e nelle attività di esso, e verso tali cose essi esauriscono i principi e le cause, come se fossero d’accordo con gli altri naturalisti nel sostenere che l’essere è in quanto è sensibile e che è compreso in ciò che è chiamato “cielo”. D’altra parte, però, come noi dicevamo, le cause e i principi di cui essi parlano sono sufficienti per condurre anche verso enti più elevati, anzi a questi ultimi essi sono adatti piuttosto che alle teorie fisiche. Essi, tuttavia, non dicono nulla sul modo in cui possa esserci il movimento, una volta che hanno posto come sostrato il limite e l’illimitato, il dispari e il pari, né chiariscono come mai sia possibile che, senza movimento e mangiamento, si verifichino la generazione e la corruzione o le attività dei corpi che si spostano attraverso il cielo. Inoltre, anche se si concede loro, o se si potesse dimostrare, che una grandezza deriva da questi principi, come è mai possibile, tuttavia, che alcuni corpi siano leggeri ed altri abbiano un peso? Giacché, in base alle loro premesse e alle loro asserzioni, questi filosofi parlano dei corpi matematici non più che di quelli sensibili; ed è questo il motivo per cui non hanno parlato di fuoco o di terra o degli altri corpi di tal genere, perché essi, a parer mio, non avevano nulla di particolare da dire intorno ai sensibili. E ancora, come mai si potrebbe pensare che le affezioni del numero e lo stesso numero siano causa di ciò che è e si genera al di sotto del cielo, e non solo dapprincipio, ma anche ora, e che, d’altra parte, non esista alcun altro numero al di fuori di quello da cui è composto il mondo? E quando essi pongono, ad esempio, in una certa parte dell’universo l’opinione e il tempo critico, e un po’ più su o più già l’ingiustizia o la decisione o la mescolanza, e, come dimotrazione di questo, dicono che ciascuna di queste cose si identifica con un numero, ma poi accade che in questo stesso luogo vi è di già una pluralità di grandezze composte da numeri, proprio perché questo proprietà numeriche corrispondono a ciascun luogo: ebbene, bisogna assumere che è proprio lo stesso numero che c’è nell’universo che è il numero di ciascuna di queste cose, o qualche altro oltre ad esso? Platone infatti afferma che è un altro, eppure ritiene che le cose e le loro cause siano numeri, ma i numeri intelligibili sono cause, mentre gli altri sono sensibili.
p., 120-122.
Bibliografia
Aristotele. Fisica. A cura di Luigi Ruggiu. Mimesis editore. Milano. 2007.
Aristotele. Il libro primo della metafisica. A cura di Enrico Berti. Laterza. Bari-Roma. 1973-2005.
Adorno, Verra, Gregory. Manuale di storia della filosofia. Mondolibri editore su licenza Laterza. Roma-Bari. 1993.
[1] Per i greci non esistendo lo zero, non esistevano nemmeno i numeri relativi o i numeri inferiori allo zero, come 0,1 o 0,987 perché sono comunque numeri che presuppongono la presenza dello zero.
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