To dismiss the Nazis or the Soviet as beyond human concern or historical understanding is to fall into their moral trap. The safer route is to realize that their motives for mass killing, however revolting to us, made sense to them. Heinrich Himmler said that it was good to see a hundred, or five hundred, or a thousand corpses lying side by side. What he meant was that to kill another person is a sacrifice of the purity of one’s own soul, and that making this sacrifice elevated the killer to higher moral level. This was an expression of a certain kind of devotion. (…) It was Gandhi who noted that evil depends upon good, in the sense that those who come together to commit evil deeds must be devoted one to the other and believe in their cause. Devotion and faith did not make the Germans good, but they do make them human. Like everyone else, they had access to ethical thinking, even if their own was dreadfully misguided.
Timothy Snyder
Bloodlands – Europe Between Hitler and Stalin è un libro di Timothy Snyder, uscito per la prima volta nel 2010, tradotto in italiano (2015) con il titolo Terre di sangue – L’Europa nella morsa di Hitler e Stalin. E’ un libro la cui tesi storiografica è molto semplice ma anche intelligente e controintuitiva. Infatti, a quanto pare nessuno prima di Snyder, professore a Yale, si è reso conto che la zona di territorio che va dalla Germania-est sino, sostanzialmente, alla linea che va da San Pietroburgo-Mosca e Volgograd, è stata l’area del mondo in cui quattordici milioni di persone sono morte a causa dell’interazione del regime Nazista con il regime comunista-stalinista.
Secondo Snyder, catastrofe storico-umanitaria è dovuta alla congiuntura e alla dominazione dei due regimi “totalitari”. Infatti, entrambi hanno dato il loro contributo alla morte di milioni di persone con sistemi tutto sommato simili: esecuzioni di massa mediante mezzi di sterminio piuttosto semplici ovvero proiettili al collo o alla nuca, l’uso sistematico della privazione di cibo e di medicine, campi di concentramento e, nel caso della Germania Nazista, campi di sterminio. Acutamente, Snyder sottolinea continuamente il fatto che la nostra immagine di questo cataclisma umanitario è forviata proprio dalla sovrapercezione dei campi di sterminio, quando questi hanno contribuito in modo sensibile ma non maggioritario, alla morte dei quattordici milioni di individui. Solo nell’ultima fase della guerra (1944-1945) i morti in campi di sterminio superano le altre forme di uccisioni di massa. Questa sovrastima del ruolo dei campi di sterminio non è senza una sua peculiare ragione politica e di memoria collettiva: da un punto di vista politico, in questo modo di “dimentica” il ruolo dell’URSS o di altri stati, da un punto di vista di memoria collettiva, si può tracciare una linea netta tra vittime e carnefici.
La grandezza di quest’opera storiografica di portata generazionale sta principalmente nella semplicità delle domande di partenza. Uccidere quattordici milioni di uomini è molto difficile (assunzione vera e assai poco banale): come è stato possibile (domanda storiografica)? Snyder impiega oltre quattrocento fitte pagine di dettagliate descrizioni per trovare una spiegazione (e non una morale). Innanzi tutto, ci deve essere una volontà politica chiara e determinata. Nonostante la moda che vuole l’ideologia una specie di “glassa della politica” e, come tale, ininfluente, Snyder sottolinea continuamente l’importanza del progetto politico sostanziato su una visione antropologica di fondo. Tanto il Nazismo quanto il comunismo stalinista ritenevano alcuni tipi di individui accessori, altri ininfluenti e altri ancora dannosi. A determinate condizioni, questi individui diventano scomodi o addirittura nemici dello stato e, quindi, da eliminare.
In secondo luogo, per consentire un simile massacro, è necessario avere delle istituzioni efficienti rispetto allo scopo preposto, ovvero quello di uccidere a sangue freddo milioni di persone. L’elemento istituzionale, ovvero la caratteristica partecipazione di organizzazioni statali finanziate e organizzate per assassinare milioni di cittadini, è un’altra tipica caratteristica che sfugge nella concezione collettiva dell’olocausto o, per meglio dire, passa volentieri inosservata. Questo perché sia la Germania Nazista che l’URSS erano degli stati moderni, almeno nella loro ossatura istituzionale, e società di massa. Questo mostra il fatto che lo stato moderno, ovvero la sua realizzazione storica ma partecipe del modello ideale di stato, è capace di strutturarsi anche per simili scopi. E allora, si può giungere a pensare, che nelle giuste circostanze anche stati meno totalitari della Germania Nazista o dell’URSS potrebbero essere capaci di simili nefandezze. Lasciamo ai lettori immaginare quali.
La volontà politica e l’organizzazione istituzionale comunque spiega molto ma ancora non tutto. Infatti, per comprendere come è possibile che nella realtà si sia dato un simile massacro bisogna inevitabilmente scendere a guardare i dettagli. Infatti, Snyder non si accontenta di tracciare le condizioni generali della grande ecatombe, ma ricostruisce le dinamiche che hanno portato concretamente a questo peculiare stato di cose. Per questo, dunque, Terre di sangue è un libro che ripercorre parte della storia di molti stati (Germania Nazista, URSS, Polonia, Bielorussia, Lituania, Estonia, Lettonia, Ucraina e Romania, Bulgaria, Giappone) che si intreccia con molti altri (Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia e, molto meno, le potenze alleate). Il risultato è la discesa nell’inferno. E di inferno realmente si tratta, non una parola qui intesa con una dimensione metaforica:
Cannibalism is a taboo of literature as well as life, as communities seek to protect their dignity by suppressing the record of this desperate mode of survival. Ukrainians outside Soviet Ukraine, then and since, have treated cannibalism as a source of shame. Yet while the cannibalism in Soviet Ukraine in 1933 says much about the Soviet system, it says nothing about Ukrainians as a people. With starvation will come cannibalism. There came a moment in Ukraine when there was little or no grain, and the only meat was human. A black market arose in human flesh; human meat may even have entered the official economy. The police investigated anyone selling meat, and state authorities kept a close eye on slaughterhouses and butcher shops. A young communist in the Kharkiv region reported to his superiors that he could make a meat quota, but only by using human beings. In the villages smoke coming from a cottage chimney was a suspicious sign, since it tended to mean that cannibals were eating a kill or that families were roasting one of their members.[1]
La fame fu usata come arma di distruzione di massa sia dalla Germania Nazista, sia dall’URSS. Stalin fu il primo che, con le sue politiche, indusse la fame e, soprattutto, la mantenne. In Ucraina la morte per fame negli anni 1933-1934 (proprio quando Hitler diventava cancelliere della Germania) era una realtà a tal punto concreta che i bambini sognavano di morire dopo aver mangiato un pezzo di pane oppure (risparmiamo alcuni casi atroci di cannibalismo tra bambini ai lettori, che potranno scoprire i dettagli degli orrori direttamente affrontando questa impegnativa lettura). La Germania Nazista, invece, fu protagonista di uccisioni di massa soltanto dopo che invase la Polonia (1939) e l’URSS (1941). Il problema, infatti, nasceva dalla doppia necessità di garantire sufficiente cibo alla popolazione tedesca e all’esercito, ma anche sostituire la manodopera che l’esercito tedesco sottraeva, ipso facto, alla produzione: si usavano i campi di concentramento come campi di lavoro per garantire agli uomini tedeschi di fare i soldati.
La morte di milioni di civili fu dovuta a questi fattori interagenti comune ai due regimi che occuparono le medesime aree, ovvero la necessità di avere manodopera schiavile e risparmiare le derrate alimentari in un mondo europeo in cui l’abbondanza alimentare era ancora di là da venire. Ma non solo. Abbiamo già osservato che per simili scempi è necessario avere organizzazioni e istituzioni preposte a raggiungere questo scopo. E’ il caso delle Einsatzgruppen, ovvero le squadre della morte. Si trattava di gruppi di SS il cui scopo era quello di rastrellare i paesi occupati dalla Germania Nazista e uccidere selettivamente. Queste squadre erano capaci di uccidere a sangue freddo, dopo aver fatto scavare fosse capienti alle vittime, diverse migliaia di persone in pochi giorni a ritmi che anche solo a leggerli viene un capogiro dello stomaco anche al più privo di peli in quell’area. Nell’URSS se ne occupava l’NKVD. Ma anche questi individui addestrati e indottrinati per raggiungere questi scopi non sarebbero bastati. Questi avevano bisogno del sostegno della popolazione locale e di alcuni individui capaci di accettare qualsiasi compito e tradimento, pur di salvare la pelle. Quindi, la disperazione e il terrore erano entrambi strumenti consapevoli di questi regimi per potere ottenere i loro obiettivi.
La storia che racconta Snyder è, dunque, spietata perché Snyder non è interessato a tracciare ricostruzioni morali, almeno rispetto alla domanda obiettiva che si è posta all’inizio: come è stato possibile tutto ciò e a quali condizioni? Ecco allora che si guarda gli esseri umani nella loro reale esistenza: non ci sono “vittime” e “carnefici”, diciture morali. Ci sono uomini che uccidono, affamano, disperano e terrorizzano e uomini che muoiono, deperiscono, si disperano e si terrorizzano. Snyder cerca, da un lato, di spiegare e, da un altro, di riportare la voce di alcuni di quei singoli che hanno costituito “i milioni”: ognuno era un uomo, ognuno aveva una sua vita.
Si tratta di un libro straordinario per la sua capacità di mostrare una moltitudine di aspetti che normalmente passano colpevolmente inosservati sia nella coscienza collettiva sia nelle analisi storiografiche. Snyder compie egli stesso una discesa in questo mondo di morti, che dimostra la tesi secondo cui l’inferno è una configurazione possibile di questo mondo in cui alcuni esseri umani vivono senza possibilità di salvezza. Si tratta di un libro terribile, una lettura capace di suscitare incubi. E proprio per questo dobbiamo affrontarla: perché noi vinciamo quegli incubi e perché, attraverso quelli, riusciamo a capire come si possono evitare. Snyder non ha alcun dubbio su questo punto: non siamo migliori, oggi, degli uomini degli anni trenta. Nelle condizioni giuste, faremmo le stesse cose. E allora dobbiamo evitare di finire in quelle “giuste condizioni”. Questo si può fare e la lettura di un simile capolavoro può aiutare in questo processo. Solo così, finalmente, si riscatta la banalità del male, ovvero della forma tradizionale di vita nelle società di massa: restituire la centralità all’individuo sul nulla diventa, dunque, l’ultimo argine contro la bestialità propria dei soli esseri umani.
Timothy Snyder
Terre di sangue – L’Europa nella morsa di Hitler e Stalin
Rizzoli
Pagine: 553.
[1] Snyder T., (2010), Bloodlands, Penguin, London, p. 51.
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