Cyber Intelligence Tra libertà e sicurezza è un saggio di Mario Caligiuri, professore all’Università della Calabria, esperto di intelligence e fondatore del Master in Intelligence all’Università della Calabria. Dopo l’importante volume collettaneo, edito da Rubettino e recensito qualche tempo fa su SF, Caligiuri si occupa della nuova frontiera dell’intelligence, ovvero l’attività si ricognizione, concentrazione, analisi dei dati provenienti dal mondo digitale, ovvero dai computer e da internet in particolare.
Il libro si concentra prima di tutto ad analizzare le linee di novità e di continuità della forma di intelligence, che richiede o impatta su tutta una serie di nuove tecnologie che stanno rivoluzionando la realtà pubblica e privata dei paesi sviluppati, occidentali o meno. Inoltre, le nuove tecnologie, tra tutte le Information Communication Technologies (ICTs), stanno rivoluzionando non soltanto il mondo della sicurezza, creando nuove opportunità e minacce, ma anche le relazioni umane, la società civile e, in particolare, la politica.
L’intelligence è prima di tutto uno strumento burocratico per vigilare la sicurezza nazionale interna ed esterna. Tuttavia, la nozione stessa di “sicurezza nazionale” va interpretata in chiave politica. Questo è esplicito in tutti i manuali del settore, giacché l’intelligence si declina, da un lato, rispetto alle fonti a cui si rifà (Humint, Sigint, Osint etc.) e da un altro lato si discriminano le tipologie rispetto alle necessità dei decisori: intelligence militare, intelligence strategica, tattica etc.. Quindi, l’intelligence dipende dalla politica per sua stessa natura. L’intelligence senza politica semplicemente si chiama osservazione. Invece, l’intelligence è uno strumento indispensabile e proattivo soltanto a condizione che sia intimamente legato alla politica. Quando la politica e l’intelligence si disgiungono, entrambe perdono qualcosa di essenziale. Il vero problema sviluppato dalla crescita e dalla diffusione delle ICTs non è solamente la creazione di nuove forme di criminalità organizzata o meno, o la maggiorazione della loro potenza. Il vero problema è il fatto che la classe politica ancora fatica a concepire le complesse problematiche determinate e implicate dalle ICTs.
Forse per la prima volta in Occidente, una civiltà che ha sempre distinto se stessa dalla propria potenza tecnologica, si assiste ad un pessimismo o scetticismo generale, soprattutto dell’élite al potere, della nuova frontiera tecnologica. Perché internet è l’equivalente del limes romano in cui la libertà di intraprendenza è controbilanciata dai pericoli che uomini spregiudicati dovevano e devono correre per poi ritornare al centro del potere. Questo fenomeno di scalata sociale dipende intrinsecamente dalla nuova ossificazione dell’apparato statale, ancora non capace di intervenire in modo massivo su Internet e le ICTs.
Per la prima volta, dunque, la tecnologia ha creato un nuovo spazio, in cui il controllo non è di natura territoriale ma non locale, come segnalato dal libro. Per tale ragione, l’intelligence deve stare al passo coi tempi e cercare di creare un rinnovato senso di sicurezza all’interno di questo nuovo spazio. Dal punto di vista dell’intelligence, si tratta di aggiornare le tecnologie e dotarsi di una nuova dottrina, ma sostanzialmente di proseguire ciò che è la storia e l’evoluzione del sistema di sicurezza in uno spazio come quello cyber.
Il problema più delicato si pone per la classe politica, lontana dall’essere nativa digitale. La questione è allora di natura culturale, intesa almeno in senso ampio in cui la conoscenza non delle applicazioni per gli Iphone, sempre più simili a videogiochi per adulti (e neanche troppo), deve essere dispiegata in modo molto più efficace. Bisogna conoscere i problemi sollevati dai conflitti tra i valori fondamentali della democrazia, come il conflitto rinnovato tra privacy e sicurezza, come la tensione tra eguaglianza e libertà. Fino ad oggi abbiamo sempre considerato questi valori come paritari, messi su una stessa linea in ogni possibile contesto, in cui tutti sono semplicemente da armonizzare tra loro. Ma la realtà di oggi, parzialmente modificata o totalmente creata ex novo dalla tecnologia, non consente più una tale visione incantata dei valori fondativi. L’errore è che si riparte ancora una volta dall’anno zero nel dibattito pubblico, cioè si ridiscute la validità della democrazia e dei suoi valori fondativi, fatto evidentemente assurdo almeno rispetto al fatto che tanto vale accettare lo stato di cose e lentamente riformarlo in modo anche sostanziale. Quando invece il problema principale consiste non nel pensare a nuovi sistemi e nuovi valori, ma a capire come rendere i vecchi valori e i vecchi sistemi più giusti, cioè più armonizzati con la complessa realtà che ci troviamo di fronte. Come sottolinea Luciano Floridi (The Forth Revolution), professore di filosofia dell’informazione all’Oxford Internet Institute, i rivolgimenti tecnologici non sono novità nella storia, ma il tempo in cui si stanno susseguendo è talmente ristretto da essere, in questo, un fenomeno unico nel suo genere. Ed è oltre tutto inutile ancora una volta piangere i tempi passati che, a me, ricordano soltanto i massacri del XX secolo, nel migliore dei casi. Noi, cittadini del XXI secolo, dobbiamo fare di meglio.
E per questo Caligiuri, come già in altri suoi lavori, propone una ri-conversione del sistema universitario e culturale a vantaggio tanto della politica quanto dell’intelligence. In Italia sono ancora pochissimi i centri universitari che promuovono la cultura dell’intelligence, quando in UK e US, ma anche Francia e Giappone, il mondo dell’intelligence è intrinsecamente legato all’attività industriale, militare e universitaria, ovvero alle attività in cui la competizione per la conoscenza e l’evoluzione della cultura è qualcosa di più di un principio astratto. Non solo, ma la tecnologia delle ICTs nasce ed evolve essenzialmente dall’unione e dalla sinergia del sistema ricerca e sviluppo, impiantato tanto a livello di istruzione ma poi soprattutto nei settori delle industrie e della difesa, gli unici (ancora) ad avere la necessità intrinseca e i mezzi tecnici ed economici per proseguire in questa gara tecnologica ma altrettanto essenzialmente culturale. Non esiste tecnologia senza cultura né cultura senza tecnologia giacché, di fatto, sono due facce della stessa medaglia.
Il problema, forse, è che in generale la struttura universitaria ha le sue peculiari difficoltà, ben note addirittura nel dibattito pubblico, assai complesse da risolvere. Detto questo, però, il punto di Caligiuri è incontrovertibile. Se non vogliamo lasciare la politica a se stessa, abbiamo bisogno di una cultura dell’intelligence diffusa. E per far questo in modo scientifico, l’università deve assolutamente svecchiarsi e dare il suo contributo. Caligiuri propone tutta una serie di possibilità per creare opportunità per un possibile circolo virtuoso. Questo è proprio quello che bisogna fare. Speriamo di farcela.
Mario Caligiuri
Cyber Intelligence Tra libertà e sicurezza
Donzelli
Pagine: 98.
Euro: 16,00.
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