La democrazia liberale è un’etichetta per un insieme di teorie che, soltanto nella loro somma, hanno costituito un corpus unitario oggi noto come “democrazia liberale”. A differenza che nella democrazia ateniese, il modello della democrazia liberale è stato oggetto di una lunga analisi teorica, quando ancora la prassi politica era tutt’altro che democratica. Il primo pensatore fondamentale per la definizione della democrazia liberale è stato Thomas Hobbes (1588-1679), fautore dell’assolutismo. Tuttavia, già in Hobbes abbiamo la definizione di alcuni diritti naturali, che verranno ripresi ed ampliati dalla successiva analisi di John Locke (1632-1704), il primo vero teorico liberale quand’anche ante litteram.
John Locke ribadisce la presenza di alcuni diritti inalienabili e la necessità di fondare la politica su di essi. Locke non è il teorizzatore della separazione dei poteri in diverse aree di attività politica (potere esecutivo, legislativo e giudiziario). La distinzione viene proposta da Montesquieu (1689-1755), sebbene anche lui non arrivi ad una definizione netta e definitiva del discrimine delle varie tipologie di azione di governo, poi diventate canoniche nelle varie democrazie liberali e nel pensiero teorico liberale democratico stesso. Infine, John Stuart Mill (1806-1873) propone una complessa teoria dello stato democratico liberale ed è proprio Mill ad essere considerato il pensatore del modello liberale par excellence.
In realtà, alla composizione dello stato democratico-liberale hanno contribuito anche Niccolò Machiavelli (1469-1527), David Hume (1711-1776), Adam Smith (1723-1790) e Jean Jacques Rousseau (1712-1778). Il primo ha offerto la prima teoria politica dell’evo moderno e ha proposto una riforma delle istituzioni militari in linea con le nuove esigenze dello stato sovrano, concepito in modo moderno. Rousseau invece ha proposto una visione dello stato incentrata sul riconoscimento del valore del contratto sociale. Hume e Smith hanno costruito una antropologia fondata sulle passioni umane, sulla base della quale si sono costruite le teorie economiche classiche tra le quali spicca proprio quella dello stesso Smith, amico di Hume. In questa disamina proporremo a grandi linee il modello generale dello stato democratico-liberale, senza scendere nel dettaglio delle specifiche posizioni alle quali non possiamo che rimandare il lettore interessato.
Scopi e valori politici della democrazia ateniese
Come già visto nella democrazia ateniese, per comprendere la natura della forma di un modello politico, è bene partire dai suoi valori politici di riferimento, la cui definizione generale è quella proposta:
(VP*) Un valore politico x è la valutazione associata ad uno stato di cose C ad un preciso momento t tale per cui C è riconosciuto come intersoggettivamente positivo e costituisce lo scopo F della società O a tempo y > t.
Quindi, venendo ai valori politici del modello liberale, essi erano sostanzialmente i seguenti:
- Eguaglianza e libertà dei cittadini.
- Diritto positivo fondato sul diritto naturale.
- Il rispetto della legge e quindi della giustizia.
- Separazione dei poteri del governo.
- Elezione dei rappresentanti del popolo.
Dai valori 1-5 è possibile derivare semplicemente per implicazione logica gran parte dei valori democratici liberali, tra i quali l’impegno nella difesa della proprietà da parte dello stato e la promozione del libero mercato e della libera impresa.
La democrazia liberale fonda il diritto positivo (quello effettivamente istanziato nella legislazione di uno stato) sul diritto naturale, ovvero una serie di diritti goduti dai cittadini in quanto uomini, a prescindere dalla loro nascita o dal loro status economico. I diritti naturali (diritto alla vita, alla proprietà e all’espressione) sono inalienabili e devono venire incorporati all’interno del diritto positivo. Il rispetto dei diritti naturali è condizione sine qua non per l’esistenza di uno stato, non necessariamente democratico, ma almeno non dispotico e non arbitrario.
Per avere uno stato democratico, osservava Mill, è indispensabile riconoscere l’autonomia della agency dei soggetti politici in modo che questi possano vivere la loro vita attivamente all’interno dello stato. Per questo lo stato è il garante della giustizia, intesa come preservazione dello stato di diritto naturale quindi positivo dei cittadini. Lo stato, allora, è una sorta di nozione di limite in cui esso è l’organizzazione che può garantire il fatto che la libertà dei cittadini stessi non travalichi i giusti confini di azione.
Lo stato, dunque, è prima di tutto una nozione di limite esterno a garanzia della tutela del cittadino. Allo stesso tempo, il governo dello stato deve essere un’espressione dei cittadini. Mill riconosce l’impossibilità di fondare lo stato democratico direttamente sull’intervento dei cittadini, semplicemente perché troppo numerosi e anche perché non tutti equamente idonei a ricoprire le cariche dello stato. In questo senso, Mill distingue la burocrazia e i funzionari dello stato dai cittadini della democrazia, nel senso che i primi devono avere anche delle competenze per essere parte dell’attività organizzativa dello stato, a differenza dei cittadini, ai quali questo non è richiesto. D’altronde, notava Mill, i moderni stati composti da milioni di individui non consentono altra scelta. Per avere una democrazia in queste condizioni è necessaria l’elezione dei rappresentati del popolo, i quali si fanno rappresentanti degli interessi e dei diritti dei cittadini. Quindi vi è un rispecchiamento dei cittadini nella classe dirigente e viceversa, giacché questi ultimi sono stati eletti proprio in quanto portatori dei medesimi interessi di chi sta alla base.
Lo stato democratico deve prevedere la separazione dei poteri in modo che si dia una reciproca condizione di limite e non concentrare nelle mani di una sola persona giuridica tutto il potere. Quindi, anche in questo caso, la democrazia nasce come una nozione di limite imposto dai cittadini alla élite di governo. Mill infatti riconosce tutti i problemi dell’arbitrio, sia esso compiuto dalla burocrazia che dall’establishment: tanto la burocrazia che l’establishment possono finire per perseguire esclusivamente le proprie logiche di interesse, personali o di casta. Anche questo rischio deve essere scongiurato ed è probabilmente uno dei temi maggiormente complicati per l’esistenza stessa della democrazia. Infatti, la pratica di governo, che è gestione delle informazioni necessarie alla costituzione stessa dell’esistenza dello stato e del suo mantenimento, richiede inevitabilmente un personale che si prenda cura del ciclo dell’informazione rilevante. Il risultato è che la burocrazia è l’organizzazione necessaria all’esistenza stessa dello stato ed è ineliminabile. Da ciò segue la sua importanza politica e la possibilità che essa stessa travalichi i suoi confini. Per questo, in teoria, dovrebbe esserci un doppio controllo tra la burocrazia e l’establishment, in quanto rappresentante del popolo.
Infine, l’azione del governo deve essere rivolta alla tutela dei cittadini e dei loro diritti. In particolare, lo stato si impegna a difendere la proprietà privata e la sicurezza personale dei cittadini, nel momento in cui la tutela personale e della proprietà sono le due principali fonti di esistenza e, allo stesso tempo, la causa principale di infrazioni alla legge. Allo stesso tempo, proprio per evitare la sussistenza dell’arbitrio tra persone, ovvero il nudo e puro esercizio della forza tra le parti, si deve interporre la logica super partes di un attore che sia incaricato di mediare e giudicare le parti. Questo non può che essere fatto dallo stato.
A conseguenza di quanto appena detto, lo stato democratico-liberale si presenta neutrale da un punto di vista economico. E quindi non può che riconoscere la liceità dell’economia di libero mercato. E’ neutrale da un punto di vista economico perché lo stato è neutrale circa gli scopi personali degli individui e non ha interessi diversi da quelli della tutela dei singoli cittadini, a cui l’azione di governo è rivolta. In secondo luogo, l’economia di libero mercato è quella che si instaura tra cittadini liberi di avere scambi di proprietà e lavoro. Quindi, se lo stato negasse il libero mercato, negherebbe anche la libertà del cittadino di disporre di se stesso e della propria proprietà. Dato il fatto che questo è negato dalla presenza dei diritti naturali, riconosciuti nel diritto positivo dello stato e quindi parte integrante di esso, l’economia non può che essere libera dall’intervento dello stato.
Sembra allora che lo stato democratico-liberale sia un attore sostanzialmente passivo, appunto una nozione di limite all’azione degli individui che spontaneamente agiscono nel benessere proprio e quindi della collettività. In realtà lo stato può promuovere delle istituzioni e attività nell’interesse del cittadino. Per esempio, proprio per promuovere la piena attuazione delle libertà lo stato può agire a favore dell’educazione dei cittadini, può difendere la salute dei singoli a tutela della loro stessa sicurezza etc.. Quindi, lo stato democratico-liberale si presenta da un lato come limite e dal un altro lato come espansione del cittadino. Come limite perché impone il rispetto di regole condivise nella mediazione tra cittadini, come espansione perché consente al cittadino di acquisire maggiore capacità di azione mediante l’erogazione di servizi che ne aiutino il naturale sviluppo.
Alcuni cenni circa l’evoluzione del modello
Come si è visto nella ricostruzione, il modello democratico-liberale si è costituito attorno alla nozione di limite, prima, e di espansione, poi, del cittadino. Quindi, come già nella democrazia ateniese, l’obiettivo è il potenziamento complessivo dell’attività individuale dei cittadini stessi, i quali sono ritenuti capaci di agire in funzione dei propri interessi. Il modello, dunque, riconosce come valore politico il cittadino, libero ed eguale, nella sua azione regolata dalle leggi dello stato.
Questa visione positiva dell’individuo comporta una visione negativa dello stato, concepito come potenziale nemico dell’intraprendenza individuale. Quindi, prima di tutto, la democrazia liberale nasce per correggere il problema dell’assolutismo: l’assoluto arbitrio della volontà del sovrano rispetto a quella dei suoi sudditi. Questo era stato messo bene in luce da Locke, replicando allo scenario immaginario di Hobbes: se gli uomini nello stato di natura sono in perpetua lotta tra loro, l’ultima cosa che avrebbe senso fare è affidarsi ad un capo ancora più forte del loro nemico (dalla tirannia del lupo, si passerebbe a quella del leone). La volontà del sovrano trova dei limiti nel diritto naturale, che deve essere incorporato all’interno del diritto positivo.
La seconda nozione di limite è quella della distinzione tra poteri. Anche questa idea, presente in Montesquieu, si fonda sul riconoscimento della necessità di imporre un controllo reciproco all’interno dell’attività di governo. La presenza della concentrazione di un potere eccessivo nelle mani di una sola persona giuridica è nemica del cittadino, giacché quest’ultimo deve sottostare alle leggi e alla forza dello stato e non ha contromisure contro l’una e l’altra. Il risultato è che il potere esecutivo deve essere distinto da quello legislativo e soggetto ad esso. Anche questa è una nozione di limite, un limite imposto all’interno della struttura stessa dello stato democratico e non diretta alla regolamentazione tra lo stato e il cittadino. Il cittadino risulta indirettamente tutelato dallo stato proprio perché l’attività di governo ha un vincolo a priori che elimina il pericolo che l’azione di governo intervenga direttamente all’interno del potere legislativo. Stesse considerazioni circa il potere giudiziario, che diventa così arbitro tanto del potere esecutivo che del potere legislativo e garante della protezione dello stato di diritto del cittadino rispetto agli altri e, soprattutto, rispetto allo stato. E’ solo in questo modo che il cittadino può essere sicuro che lo stato può essere concepito come colpevole all’interno di una contesa.
Infine, la terza nozione di limite assunta all’interno del modello democratico-liberale è la stessa nozione di diritto e tutela del cittadino. Ovvero, il cittadino è, come visto, tutelato sia nel rapporto con lo stato sovrano, sia nel rapporto con gli altri cittadini. Ancora una volta, la democrazia cerca di fondare il diritto universale dei cittadini di fronte alla legge, ovvero crea una struttura formale e sostanziale dell’azione politica rivolta alla definizione e tutela dei rapporti tra i individui. Se non ci fossero rapporti e scambi di qualsiasi natura tra cittadini o tra il cittadino e lo stato, semplicemente non si porrebbe il problema della politica. Il problema nasce quando sussiste un arbitrio che può essere esercitato indiscriminatamente verso una volontà senza che quest’ultima possa avere modi per interdire l’azione arbitraria a suoi danni. Questo era addirittura stato osservato da Thomas Hobbes ed è il punto fondamentale di ogni democrazia. Quindi, l’ultimo arbitrio da cui essere scongiurati è proprio quello tra cittadini. E questo è vinto dalla presenza di uno stato che può intervenire seguendo le leggi e applicate utilizzando la forza sufficiente per dirimere la contesa, valutata alla luce del potere giudiziario.
A questo punto possiamo notare che la democrazia è neutrale circa l’obiettivo stesso della società. Come già nella democrazia ateniese, la democrazia-liberale è silente circa l’obiettivo finale dell’organizzazione sociale. Il motivo è dovuto alla stessa prima nozione di limite presentata e al rapporto concepito tra stato e cittadino. E’ il cittadino ad essere libero, non lo stato. E’ il cittadino che solo può decidere di fare quello che crede, in particolare i suoi interessi. La democrazia, di fatto, assume una nozione positiva e costruttiva della libertà individuale. Infatti, lo stato liberale (più o meno democratico) è sempre stato prudente quando non proprio ostile alle varie forme di religione, soprattutto a quella cattolica (stato nello stato). Infatti, la religione è una questione privata e come tale deve essere vissuta. Dunque, lo stato democratico assume che la massima espressione dell’efficienza dello stato è data dalla soddisfazione media dei singoli cittadini, i quali sono liberi di perseguire i propri valori e i propri interessi.
Quindi, in primo luogo la democrazia nasce come neutrale da parte dei valori morali e religiosi e, anzi, preme affinché il dibattito circa questi ultimi non assuma una rilevanza politica (in teoria). La neutralità della democrazia, fondata sul principio della tolleranza espresso da Locke, è in realtà solo parziale, nel senso che, ancora una volta, i suoi valori sono soltanto formali nel senso che non offrono fini ma soltanto limiti per l’azione positiva dell’individuo. La democrazia sta al cittadino come gli argini stanno al fiume. Il fiume è sia argini che acqua e l’acqua passa proprio in quel punto perché ci sono gli argini. Ma gli argini sono solo il limite estremo dove l’acqua non può passare. Fuor di metafora, il cittadino può fare quello che vuole, secondo le proprie inclinazioni e passioni, a condizione che rispetti gli argini della democrazia.
L’altro grande problema, rimarcato da Marx, consiste nell’accumulazione di potere dovuto alla diseguaglianza economica. Infatti, lo stato democratico-liberale è neutrale circa l’attività economica per sua stessa natura. Quindi, nel qual caso che il capitale economico si concentri nelle mani di pochi, determinando una diseguaglianza di fatto nella gestione dell’esistente, lo stato democratico-liberale tenderà a difendere gli interessi di quei pochi proprio perché riconosce come valore fondativo la proprietà privata del cittadino. Si osservi che in questo caso la nozione cardine è quella di responsabilità causale. Un capitalista, diciamo, ha un potere causale molto più alto di un suo stipendiato, non fosse altro perché lo stipendiato dipende dal capitalista per vivere e non necessariamente viceversa. Inoltre, il capitalista ha una capacità di influenza sul mondo dovuta alla gestione delle tecnologie e risorse economiche tali da avere un peso di responsabilità decisamente diverso da quello di un senza tetto. Ma in teoria il capitalista dovrebbe contare come il senza tetto, di fronte allo stato democratico. La negazione di questo semplice fatto è dovuta alla diversa capacità di influenza reale (causale) sul mondo e sullo spazio sociale circostante.
Quindi, lo stato liberale-democratico, da un punto di vista economico, è estremamente conservativo e protettivo dello status quo, proprio per la sua stessa neutralità. Qui il problema profondo e strutturale non è tanto il fatto che la proprietà privata crei diseguaglianze economiche che poi correlatamente producono diseguaglianze politiche (di fatto c’è poco da fare in tal senso). La questione più profonda è invece il fatto che i due valori fondamentali, “libertà” e “eguaglianza” non sono né sinonimi né necessariamente pacifici tra loro. Si può essere liberi ma non eguali, si può essere eguali ma non liberi. Il problema, appunto, si pone quando c’è da fare una scelta. In questo senso, Marx aveva puntato il dito in una delle piaghe.
Stesse considerazioni valgono per l’altro valore, quello della sicurezza. Infatti, per avere un certo tipo di sicurezza bisogna inevitabilmente circoscrivere tanto la libertà quanto l’eguaglianza. Ma se si fa questo, allora la democrazia-liberale deve affrontare una crisi. O si mette come prioritario un valore e si depotenzia un altro, oppure viceversa. Non è possibile mantenere entrambi i valori sullo stesso piano allo stesso tempo. In poche parole, quello che sembra emergere come problema nel modello liberale non è tanto la qualità e natura dei valori politici di riferimento (libertà, eguaglianza, proprietà e sicurezza) quanto il fatto che essi hanno pesi diversi in circostanze diverse e non sono necessariamente tutti sullo stesso piano. Tuttavia, riuscire a discriminare le condizioni attraverso le quali conservare nella giusta misura tutti i valori allo stesso tempo è la sfida della democrazia, la quale dovrebbe reagire con un dibattito pubblico serio.
Bibliografia
Rimando i lettori alla bibliografia presente in Held, Models of Democracy per i testi che non si trovano in questa bibliografia essenziale per questo articolo. Voglio sottolineare che il libro di Held è eccellente per una approfondita introduzione alle tematiche legate ai modelli della democrazia e questo articolo è parzialmente debitore al testo, soprattutto per le parti su John Stuart Mill.
Held D., (2006), Models of Democracy, Polity Press, Cambridge (UK).
Hobbes T., (1651), Leviatano, Laterza, Roma-Bari.
Hume D., (1739-1740), Trattato sulla natura umana, Bompiani, Milano.
Locke J., (1690) Saggio sull’intelletto umano, Laterza, Roma-Bari.
Locke J., (1690), Trattato sul governo, Editori Riuniti, Roma.
Machiavelli N., (1513), Il Principe, Mondadori, Milano.
Machiavelli N., (1519), Dell’arte della guerra, Newton Compton, Roma.
Montesquieu J.L., (1748), Lo spirito delle leggi, Rizzoli, Milano.
Pili G., (2009), “Modelli dell’individuo liberale”, www.scuolafilosofica.com.
Pili G., (2015), Filosofia pura della guerra, www.scuolafilosofica.com.
Pili G., (2016), “La democrazia ateniese: un modello”, www.scuolafilosofica.com.
Rousseau J.J., (1755) Contratto sociale, Rizzoli, Milano.
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