Erbil, Kurdistan Iracheno, circa 70 km ad est di Mosul. Ha inizio qui il viaggio dell’autore che lo porterà ad essere testimone delle modalità con le quali i curdi portano avanti il conflitto che li vede opporsi all’avanzata del Da’ish, meglio conosciuto in Occidente come Isis o Stato Islamico. Nel corso dei 20 giorni di permanenza tra il nord dell’Iraq e il nord della Siria, l’autore visita città chiave per lo scacchiere mesopotamico, entra in contatto con un gran numero di individui appartenenti alle più svariate organizzazioni curde, clandestine e non, e ci offre un interessante reportage della sua storia.
Gastone Breccia è uno storico e insegna Storia Bizantina all’Università di Pavia. Non è dunque un giornalista, come ci si aspetterebbe da chi si assume il compito di vedere con i propri occhi la guerra per poi poterla raccontare. “No press card, I’m sorry. University professor, no journalist” sarà costretto a ripetere ai check-point, alle frontiere, a chiunque volesse sapere cosa lo avesse portato così lontano da casa, in luoghi tanto pericolosi. Questo ci racconta nelle prime righe dell’introduzione al libro, per poi proseguire giustificando la propria scelta. Ci spiega che, sebbene sia opinione comune che il compito dello storico sia “studiare fenomeni già sedimentati nella coscienza collettiva, sui quali si sia accumulata una quantità sufficiente di informazioni(…)che permetta di analizzarli scientificamente”, non è poi così inutile per lo stesso “immischiarsi nella storia mentre accade”. D’altronde, come ancora spiega Breccia, gli storici antichi, e dopo di loro quelli bizantini, ritenevano il vedere con i propri occhi necessario e “si scusavano con i lettori perché(…)non potevano fornire una testimonianza diretta sulla maggior parte dei fatti narrati nelle loro opere”.
Inoltre l’autore lavora da diverso tempo sul tema della guerriglia. Perciò lo studio dei curdi, popolo che storicamente ha combattuto le proprie battaglie facendo ampio ricorso alla guerriglia stessa, può riservare dell’ottimo materiale per i suoi studi. Perché, dunque, non avere risposte alle proprie domande direttamente da loro? Tutto ciò ha spinto l’autore ad intraprendere questo viaggio non privo di pericoli.
Dopo l’introduzione ha inizio la narrazione del viaggio in dodici capitoli, nel primo dei quali un paragrafo è dedicato a fornirci alcune fondamentali nozioni sul popolo curdo, un popolo che, pur costituendo una popolazione di circa 30 milioni, non possiede un proprio stato. Risultano infatti divisi tra Turchia, Siria, Iraq, Iran e Armenia. Da storico ripercorre per sommi capi la loro storia, dall’antichità fino al XVII secolo. Altre, e più recenti, informazioni storiche saranno offerte al lettore nel corso della narrazione.
L’attenzione si sposta poi a Erbil, l’antica Arbela, verso la quale fuggì il sovrano achemenide Dario III dopo esser stato sconfitto dal re macedone Alessandro Magno nella Battaglia di Gaugamela del 331 a.C.. Per questo Breccia non si stupisce nel vedere una replica dello splendido mosaico della Battaglia di Isso (che vide scontrarsi i due sovrani nel 333 a.C.) in ricordo della figura dello stesso Alessandro, in un piccolo parco pubblico nei pressi della cittadella di Erbil.
Da questa importante città, capitale della Regione del Kurdistan (divisione territoriale autonoma nel nord-est dell’Iraq), l’autore, accompagnato da un interprete del PKK (partito dei lavoratori del Kurdistan, considerato un’organizzazione terroristica da Turchia, Iran, USA, NATO e UE), viaggia attraverso il Kurdistan Iracheno immergendosi nel complicato universo curdo.
PKK, PDK, PUK…, sono tante le sigle che definiscono le diverse organizzazioni curde e massimi i rischi di andare in confusione nel cercare di seguire le complessa situazione politica della zona. Ma da subito ci viene in aiuto Breccia che, attraverso un apparato di note ben strutturato e curato, offre spiegazioni, indicazioni e approfondimenti storico-politici allo scopo di favorire al lettore la comprensione dell’intera vicenda.
Un racconto che ci porta a conoscere più da vicino i membri del PKK, la loro ideologia, il loro braccio armato, vale a dire i “guerrieri con le scarpe rosse” dell’HPG, il tutto sotto lo sguardo vigile dei peshmerga in controllo del Kurdistan Iracheno. E così via, attraverso superstrade, sentieri, innumerevoli check-point, paesaggi “lunari”, passando per Makhmur, Kirkuk e Daqoq.
Si procede poi verso nord fino alla base di Atrush. Nell’ambito dell’operazione “Prima Parthica” che ha avuto inizio il 14 ottobre 2014, lo Stato Maggiore Italiano porta avanti l’addestramento militare delle Forze Armate irachene e dei peshmerga. E ad Atrush sono proprio i contingenti di peshmerga ad essere addestrati dalla Brigata Paracadutisti “Folgore” dell’Esercito Italiano. Qui l’autore fa una curiosa scoperta. I combattenti curdi, che immaginiamo come guerriglieri nati, naturalmente predisposti ad agire come “fantasmi” con tattiche “mordi e fuggi”, sono in realtà, nella maggior parte dei casi, inclini all’adozione di tattiche più “tradizionali”: difesa statica e attacco in massa. Proprio per questo la “Folgore” istruisce i peshmerga in modo da sviluppare in loro una forma mentis più adatta a fronteggiare il modo di combattere delle milizie del Da’ish.
Il viaggio non è ancora finito. Dopo aver temuto di non ottenere l’autorizzazione ad attraversare il confine tra Iraq e Siria, Breccia riceve la tanto sperata notizia: via libera verso ovest e si riparte, oltre il Tigri, oltre il confine, verso il Rojava (il Kurdistan Siriano).
Se nel Kurdistan Iracheno la situazione era stabile e i curdi avevano il completo controllo della zona mantenendosi in una condizione di sostanziale stasi nei confronti del Da’ish, qui tutto cambia. Il confine tra i territori controllati dai curdi del PYD (partito dell’unione democratica, “gemmato” nel 2003 dal PKK) attraverso le loro milizie (YPG e YPJ) e quelli controllati dallo Stato Islamico muta di continuo e sia il paesaggio naturale che quello urbano recano i segni dei frequenti combattimenti.
Dopo un interessante incontro a Kamishlo col generale Redur Khalil, portavoce dell’esercito del Rojava, si riparte verso Telberek e verso la prima linea coi ragazzi del YPG. Breccia ha così l’occasione di osservare il sistema di trincee che separa loro dal temuto Da’ish.
Si va poi verso Kobane, efficacemente ribattezzata “la Stalingrado dei curdi”. Tra le sue strade è stata combattuta una sanguinosa battaglia contro le milizie dello Stato Islamico che nell’estate 2014 assediarono la città, penetrandovi all’interno e occupandone una buona parte. Come a Stalingrado, tra il 1942 e il 1943, i sovietici resistettero alla 6ª armata tedesca contrattaccando e annientando il nemico, così i curdi opposero una strenua resistenza ribaltando la situazione e spezzando definitivamente l’assedio nel gennaio 2015.
Infine, rimane da affrontare il ritorno verso est. Breccia si unisce ad una troupe televisiva russa con la quale fa tappa a Sinjar dove ha ancora l’occasione di confrontarsi con i “guerrieri dalle scarpe rosse”. E poi via a riattraversare il confine tra Siria e Iraq verso Ebril. Qui un ultimo dialogo con alcuni ragazzi curdi che chiedono come si fa ad andare in Europa. “«You have a lot to do here at home», «avete un sacco di cose da fare qui, a casa vostra»” è la risposta di Breccia che conclude questa avventura.
Guerra all’ISIS è un libro di agile lettura, piacevole e coinvolgente. È una cronaca, un reportage, ma non solo. La mano dello storico si nota a partire dall’apprezzabile apparato di note che, come detto, ci accompagna per tutto il libro attraverso il ginepraio del mondo curdo, passando poi per i numerosi interventi dell’autore che pone momentaneamente da parte la narrazione del viaggio per offrirci brevi ma utili digressioni storiche. Nonostante ciò la distaccata oggettività dello storico lascia spazio a più riprese ad una narrazione più distesa, in grado di offrirci suggestioni. Particolarmente coinvolgente il momento in cui, sulla strada per Telberek, la radio del SUV su cui viaggiano Breccia e due giovani guerriglieri trasmette Hotel California degli Eagles e per un attimo la guerra sembra lontana. Toccante anche l’immagine di giovani uomini e donne del Rojava che, nell’avamposto di Telberek, combattono contro la minaccia del Califfato. È ben poco l’aiuto che ricevono dall’esterno, ma nonostante ciò ammettono «Combattiamo anche per voi. La nostra lotta è per l’umanità intera, per il bene e la sicurezza comune».
Breccia non nasconde una certa ammirazione e simpatia per i giovani curdi che combattono questa guerra. D’altronde l’intero Occidente non può che sentirsi più vicino ai valori difesi dalle varie sigle curde, per quanto non totalmente coincidenti con i propri, rispetto ai valori propagandati dal Da’ish.
Curiosa l’opinione diffusa tra i curdi riguardo la natura dello Stato Islamico, percepito quasi esclusivamente come un prodotto della Turchia e della cattiva politica estera dell’Occidente. Una visione prettamente materialista che sottovaluta la valenza religiosa della propaganda del Da’ish e che, senza voler aprire una discussione sull’argomento, non essendo questo il luogo adatto, mi pare un elemento assolutamente non trascurabile.
Interessanti e suggestive alcune ipotesi portate avanti dall’autore che non si limita a raccontare una guerra ma cerca di trarre delle conclusioni da ciò che sa e da ciò che vede. Un esempio su tutti le considerazioni di Breccia sullo strano contrasto tra l’impegno con cui alcune potenze occidentali portano avanti programmi di addestramento per i peshmerga ufficialmente per prepararli al combattimento contro l’ISIS, e la drôle de guerre (“strana guerra”) in atto nel nord-est dell’Iraq che vede i due contendenti fermi sulle loro posizioni. Una stasi tale che l’atmosfera respirata da Breccia nell’intera zona è quella di una regione in pace e in sviluppo, quasi dimentica della vicinanza del nemico. L’ipotesi dell’autore è che, al di là dei motivi sbandierati dall’Occidente, il vero obiettivo possa essere formare milizie non per combattere una guerra ma per comporre un nucleo di forze armate che garantisca “la sicurezza del governo che gli Stati Uniti e i loro alleati avranno deciso di appoggiare”.
Il libro si conclude con un capitolo dal titolo Post scriptum. Oltre l’orizzonte. Qui l’autore veste i panni dell’analista ipotizzando una possibile linea di sviluppo della situazione geopolitica del Vicino e Medio Oriente. Una situazione quanto mai complicata che vede agire direttamente e indirettamente una pletora di attori: naturalmente tutte le varie sigle curde di cui si è parlato, e poi il traballante governo iracheno, la Siria, la Turchia, l’Iran ma anche l’Arabia Saudita e l’Oman. Ancora, gli Stati Uniti e i loro alleati e perfino la Russia che tanto ha da guadagnare da una ridefinizione degli equilibri medio-orientali. L’ipotesi è che la Turchia sia la potenza più a rischio di ridimensionamento in questi giochi di potere. Dopo aver dimostrato di essere un dubbio alleato dell’Occidente nella lotta al Da’ish, è stata spettatrice dei progressi delle organizzazioni curde che, al di fuori dei suoi confini, hanno dimostrato di essere gli unici ad essere disposti a combattere sul campo il Califfato, in questo modo attirando l’interesse dell’opinione pubblica e acquisendo credito nei confronti dell’Occidente per far valere le loro rivendicazioni indipendentiste da sempre osteggiate dalla Turchia.
La Russia, da sempre interessata al Mediterraneo e all’area anatolica, è diventata un serio motivo di preoccupazione per il presidente Erdogan per l’appoggio, anche militare, in favore dell’alleato siriano Bashar al-Assad, malvisto da Ankara. Peraltro i tesi rapporti tra Russia e Turchia sono stati esacerbati dall’episodio del novembre 2015 che ha visto un cacciabombardiere russo abbattuto dagli F-16 turchi al confine turco-siriano. Anche i rapporti con gli Stati Uniti hanno subito un vistoso peggioramento in seguito al riavvicinamento tra gli States e l’Iran, storico rivale della Turchia per il controllo del Golfo Persico. Insomma, al momento della stesura del libro il grande sconfitto sembrava proprio Erdogan. Ma i recenti sviluppi (il tentativo fallito di golpe in Turchia e il conseguente consolidamento della posizione dello stesso Erdogan) hanno, forse, portato ad una situazione inattesa. Sembra vicino il punto di rottura tra Ankara e gli alleati della NATO e i rapporti tra Turchia e Russia sembrano avviati ad un deciso risanamento. Lo “zar” Vladimir Putin mostra di voler approfittare della situazione per raggiungere il tanto agognato obiettivo dello sbocco nel Mediterraneo, già parzialmente detenuto in virtù dell’alleanza col governo di Assad, nelle improbabili vesti di futuro alleato della Turchia.
In tutto ciò le milizie curde, che pur portano coraggiosamente avanti la loro battaglia al grido di Serkeftèn (fino alla vittoria), sembrano schiacciate da forze troppo grandi per resistere a lungo. Ma lo sguardo dell’opinione pubblica ha iniziato ad interessarsi alla loro situazione e alle loro rivendicazioni. Pregio del libro in questione è di far luce sulla spinosa questione del Kurdistan e sul suo irriducibile popolo. Un popolo “che sta conquistandosi la gratitudine del mondo pur non avendo ancora una vera patria”.
Gastone Breccia
Guerra all’ISIS: diario dal fronte curdo
Il Mulino
Euro 16,00
Pagine 210
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