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Consigliamo in SF I paradossi dalla A alla Z di Michael Clark e Filosofia del linguaggio – Teorie della Verità di Giangiuseppe Pili
(C) Io so che questo enunciato, C, è falso.
Se C è vero, è falso, perché lo so; perciò è falso. Ma, poiché lo so, so che è falso, il che significa che è vero. Quindi è sia vero che falso[1].
Questo problema sembra analogo a quello del mentitore: “Questo enunciato è falso”, intendendo che l’enunciato falso è proprio quello tra virgolette. Se ciò è vero allora l’enunciato è falso (perché l’enunciato è vero se e solo se è falso). Se invece “Questo enunciato è falso” è falso allora è vero. Però è sia vero che falso. Infatti, abbiamo detto prima che “…” è falso, dopodiché abbiamo detto che esso è vero, dunque è sia vero che falso.
Si può dire allora in questo modo: “Io so che i sestesi sono bugiardi, io sono un sestese”. L’enunciato incassato nella credenza è paradossale perché esso implica sia il vero che il falso contemporaneamente: “I sestesi sono bugiardi. Io sono un sestese” se dico che questa frase è vera allora sto dicendo il falso, perché ho premesso che i sestesi sono bugiardi e io faccio parte dell’insieme dei sestesi. Se invece nego tale asserzione, cioè che non è vero che tutti i sestesi sono bugiardi, allora l’enunciato è vero perché io sono un sestese e sono un bugiardo.
Ma nel caso del problema non sarebbe corretto affermare che siamo di fronte al paradosso del mentitore. Infatti “Io so che questo enunciato, C, è falso” si può considerare come composto da due enunciati con valori di verità distinti. Il primo è “Io so che…” il secondo è “questo enunciato, C, è falso”. Di questa seconda proposizione non è possibile dar conto qui, si tratta del paradosso del mentitore di cui abbiamo accennato senza dare risposta. Nel caso seguente, si può però trattare la credenza “Io so che…”.
Innanzi tutto, se (C) è una contraddizione, allora sarebbe errato dire che la credenza è vera o falsa in base al fatto che (C) è falsa a priori. “Io so che…” è vera se e solo se io sono convinto e giustificato nella convinzione di (C) indipendentemente dal valore di verità di (C). Se dico “Io so che domani pioverà o non pioverà” non ha importanza ciò che dico, se non nella misura in cui serve a palesare ciò che realmente penso. Si badi, però, che “Io so che domani pioverà o non pioverà”, che ha incassato all’interno un enunciato della logica del primo ordine definibile dal principio del terzo escluso (cioè “A o non A”) non può essere ridotto a “domani o pioverà o non pioverà” perché ciò che intendo dire è solo che in me esiste una certa idea che coincide con la proposizione “domani pioverà o non pioverà”. Di conseguenza: la proposizione “Io so che…” è vera se e solo se ho una certa idea di cui sono persuaso e tale idea è rispecchiata nella mia mente, non nella realtà dei fatti. Il punto è che in questo caso, anche qualora sia di fronte ad una credenza su un problema analogo a quello del mentitore, devo tener conto che essa è una forma di credenza. I criteri di verità per le credenze sono distinti da quelli per le proposizioni di stati di fatto.
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