“Possiamo analizzare la nozione di padre dicendo che “essere un padre” vuol dire essere un genitore maschio. Però, se ciò è corretto, sembra allora che si dica la stessa cosa espressa dall’asserzione “Essere un padre è essere un padre”. Eppure, se le cose stessero davvero in questo modo, l’analisi sarebbe un lavoro banale. Ha senso, allora, chiedersi se sia possibile un’analisi davvero informativa nel vero senso della parola?”[1]
Le proposizioni di uguaglianza come “Marte è il pianeta rosso” sono della forma “x = y”. La forma “x = y” è identica a quella della proposizione “x = x”, vale a dire la proposizione che enuncia l’identità di una cosa con se stessa. L’identità è una tautologia ed è priva di significato. Se “x = y” ha senza dubbio la stessa forma di “x = x”, allora o “x = x” e “x = y” hanno lo stesso significato, oppure no. Se hanno lo stesso significato, allora l’uguaglianza “x = y” è da considerare una tautologia. Se non hanno lo stesso significato allora l’uguaglianza ha una sua ragion d’essere, cioè esprime un contenuto informativo non ovvio, a differenza della tautologia.
Frege prende in considerazione esclusivamente l’uguaglianza tra una descrizione definita e il nome proprio, arrivando a sostenere che esiste una differenza di “modo di presentazione” e “uguaglianza di significato”, cioè il nome e la descrizione definita si riferiscono al medesimo oggetto mostrandolo in modo diverso. Così egli tiene conto del fatto che nel caso di “Marte è il pianeta rosso”, la parola “Marte”, nome proprio, e “il pianeta rosso”, descrizione definita, sebbene significhino la stessa cosa, ciò viene espresso in due modi distinti. Da qui l’idea che il nome e la descrizione definita si comportino allo stesso modo all’interno del linguaggio, sebbene raggiungano lo scopo attraverso forme diverse.
Frege tiene separati i “modi di dire” (sensi) dai significati (denotazioni), tuttavia non ha chiarito in alcun modo accettabile cosa siano i sensi.
Russell sostiene che le descrizioni definite non sono che un caso specifico di descrizione indefinita (questo sotto un profilo rigoroso, ma nell’uso corrente del linguaggio le descrizioni definite sono utilizzate come dei nomi propri, cioè più parole che denotano uno e un solo oggetto).
Ora, tutto questo, a parer nostro, non risolve il problema, quello che Clark chiama “il paradosso dell’analisi”. Nel caso di Russell si pone la domanda del perché delle descrizioni definite, quando potrei semplicemente usare un nome proprio. Posso anche ammettere che il linguaggio naturale abbia delle ambiguità da risolvere mediante l’uso del simbolismo adeguato, ma si pone comunque il problema del perché esso funzioni “bene”, nonostante tutto. Inoltre, a questo punto diventa assai difficoltoso spiegare la sensatezza delle definizioni e così si ritorna al problema di partenza. Non è un caso che Russell sostenga che, praticamente descrizioni definite e nomi siano usate nello stesso modo nel linguaggio corrente.
La proposta di Frege è di considerare l’esistenza di “modi di dire” diversi per uno stesso significato. Ciò sembrerebbe più plausibile se non fosse che Frege, come nota Chomsky (ma non soltanto lui), non definisca in alcun modo cosa sia un “modo di dire”, cosa lo distingua da un altro etc.. Perché “Marte” è diverso da “il pianeta rosso”, se considero “Marte” e “il pianeta rosso” come due formulazioni identiche, addirittura sostituibili tra loro nelle frasi in cui compaiono?
Una possibile soluzione a questo paradosso potrebbe venire prendendo in considerazione non il fatto che “Marte” e “il pianeta rosso” denotino lo stesso oggetto fisico, piuttosto che a livello mentale “Marte” e “il pianeta rosso” implichino la medesima processazione mentale. Spieghiamo meglio questo punto di vista. Possiamo anche tener fermo il fatto che “Marte” e “il pianeta rosso” siano effettivamente lo stesso oggetto. Tuttavia, sin tanto che la mente non li contemplerà allo stesso modo, per noi saranno equivalenti a due oggetti distinti, come nel caso che non so che Marte è il pianeta rosso, ma solo un pianeta. Quando dico ad una persona “Marte è il pianeta rosso” sto, in realtà, dicendo:
Quando dico “Marte” devi pensare allo stesso identico modo di quando dico “il pianeta rosso”.
Con “pensare allo stesso modo” intendiamo “costruire i processi mentali analoghi” cioè costruire le stesse rappresentazioni e utilizzare regole di computazione per il concetto “Marte” e per “il pianeta rosso”. Quando penso ad una parola sto, in realtà, processando moltissime proprietà ad essa associate, nel caso di Marte penso alle leggi di Keplero, alla teoria di gravitazione, al fatto che non brilla di luce propria. In poche parole, sto pensando al significato “operativo” in termini mentali della parola “Marte”. Quando penso alla parola “il pianeta rosso” devo pensare allo stesso identico modo che quando penso a “Marte”.
In questo senso, il paradosso è risolto: l’analisi è possibile perché non devo più andare a vedere se con “Marte” e “il pianeta rosso” indichi il medesimo oggetto, ma se con quelle espressioni la mia mente proceda in modo identico. Inoltre si dà una possibile soluzione di cosa sia il “modo di dire” fregeano. Rispetto poi al “mondo dei sensi” di Frege, questa posizione ha la qualità di essere possibile per una mente finita: è uno dei parametri fondamentali il fatto che la mente possa processare solo quantità limitate di informazione. Frege non ritiene che il “mondo dei sensi” sia finito né materiale.
Questa posizione ha anche il pregio di essere falsificabile (si può verificare attraverso esperimenti se la mente proceda così) e consente di pensare in termini operazionisti alla semantica: con la frase “Marte è il pianeta rosso” posso intendere: “l’informazione contenuta in –Marte- e l’informazione contenuta in –pianeta rosso- sono computate allo stesso modo dalla mente”. Se le cose stiano così o no, diventa una questione di definizione di procedure. Se tutte le menti processano “Marte” e “il pianeta rosso” allo stesso modo, allora non c’è dubbio che “Marte” e “il pianeta rosso” siano la stessa cosa. Se invece no, si potrà esplicitare il perché attraverso l’indicazione di una procedura non identica. Si può richiedere una maggiore precisione e caratterizzazione del concetto di “intersoggettività” e quanto debba essere intersoggettiva una certa processazione mentale, ma non è questo il nostro intento qui. Certo è che in questo modo si tiene conto dell’idea che esista una realtà “concettuale” innata e comune utilizzata dall’essere umano quando articola espressioni linguistiche sensate.
Così si spiega anche l’insignificanza dell’identità. Se dico “Marte è Marte” è come se stessi dicendo alla mente: “opera così e così è opera così e così”. La ridondanza è evidente.
[1] Clark M., I paradossi dalla A alla Z, Raffaello Cortina, Milano, 2004.
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