Il professor Elio Conte ha svolto per tanti anni la sua attività didattica e di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Mediche di Base, Neuroscienze e Organi di senso dell’Università di Bari, dove ha insegnato in particolare Psicofisiologia e Teoria dei Modelli Cognitivi, attività attualmente conclusa per raggiunti limiti di età. Dirige la School of Advanced International Studies on Applied Theoretical and non Linear Methodologies of Physics di Bari. Dal 1972 si occupa dell’applicazione della meccanica quantistica a livello delle neuroscienze e i risultati da lui ottenuti insieme ai suoi collaboratori a partire dal 2003 hanno concorso in modo determinante all’avvento della nuova disciplina che prende il nome di quantum cognition.
Di cognizione quantistica ho già parlato su Brainfactor, tuttavia l’argomento è vasto e complesso, e merita di essere approfondito senza tralasciare l’importante contributo della ricerca italiana. Presentiamo ora un’intervista a Elio Conte, occasione preziosa per chiarire ulteriormente cosa sia la quantum cognition e, più in particolare, conoscere quali sono stati i contributi principali del professore di Bari.
Iniziamo con una domanda generale, utile al lettore che voglia avvicinare per la prima volta il tema. Che cos’è la cognizione quantistica? Che cosa propone e da quali esigenze nasce?
Niels Bohr è stato uno dei fondatori della meccanica quantistica. Il suo insegnamento rimane fondamentale. Se studiamo questa teoria e non rimaniamo sconcertati quando apprendiamo quanto la realtà sia sorprendente e decisamente in controtendenza rispetto al modello che risulta alla nostra esperienza quotidiana, possiamo essere certi che non siamo riusciti a comprendere a fondo questa teoria. La sovrapposizione è un principio generale della scienza. Per tutti i sistemi lineari, in un dato spazio e in un dato tempo la risposta determinata in un soggetto da due stimoli è la somma delle risposte determinate da ciascuno stimolo considerato separatamente. Prendiamo una e più onde di acqua che si sovrappongono, e ragioniamo in termini classici. La figura che segue ci aiuta a capire.
A sinistra, nella figura, abbiamo una sola onda. La sovrapposizione può avvenire o nel medesimo tempo oppure per successione temporale. Ciò che si determina è quello che tecnicamente si chiama una mistura, per addizione si ha la formazione di onde multiple collocate nella medesima unità di tempo o in successione temporale. Questo è quanto risulta alla nostra esperienza ordinaria. Esistono però livelli della nostra realtà in cui la sovrapposizione non risponde più a queste caratteristiche. In questo caso, non siamo più in grado di presentare una figura illustrativa perché la situazione non risponde alla nostra esperienza ordinaria e alla nostra logica. I possibili stati si sovrappongono nel medesimo spazio e nel medesimo tempo sussistendo non più come semplice mistura, cioè per addizione, ma come simultanea sussistenza delle alternative possibili, le quali ovviamente si escludono tra di loro. Possiamo fare un tentativo di spiegazione introducendo un esempio che può essere indicativo di una situazione in cui si configura la simultanea coesistenza di due o più alternative possibili. Consideriamo la seguente figura ambigua.
Il profilo della linea che separa la parte bianca della figura da quella nera determina simultaneamente la sovrapposizione di due alternative possibili. A livello percettivo-cognitivo identifichiamo sia il profilo di una persona sia quello di un vaso. Essi coesistono. A livello percettivo-cognitivo abbiamo una continua fluttuazione a livello della nostra coscienza, così che in alcuni momenti, se ci fosse chiesto, risponderemmo che si tratta di un vaso, in altri che si tratta di una donna.Inizialmente abbiamo uno stato mentale che è dato dalla simultanea sovrapposizione di due alternative possibili. Ad esso segue poi una transizione a livello decisionale. Cognitivamente selezioniamo tra le due alternative e rispondiamo che si tratta di un vaso o di una donna. E lo facciamo probabilisticamente. Per essere più tecnici possiamo dire che in primo luogo abbiamo una funzione di conoscenza. È uno stato mentale che indico con |Stato Mentale Iniziale>. È la sovrapposizione delle due alternative |Stato Mentale – Vaso> più |Stato Mentale – Volto di donna>. Ad esso segue poi una transizione, possiamo anche dire una riduzione oppure tecnicamente si usa il termine ‘collasso’ della funzione di conoscenza iniziale. In sostanza, selezioniamo o lo |Stato Mentale – Vaso> o lo |Stato Mentale – Volto di donna>.
La conclusione è che concettualmente il principio di sovrapposizione degli stati nella nuova teoria differisce sostanzialmente dalla sovrapposizione che abbiamo ad esempio per i classici fenomeni ondulatori come le vibrazioni. Nella teoria classica la sovrapposizione di una vibrazione o di una oscillazione su se stessa implica una nuova vibrazione di ampiezza che può risultare maggiore o minore. Inoltre, nella teoria classica delle vibrazioni esistono ad esempio degli stati di quiete in cui l’ampiezza della vibrazione è ovunque nulla. Nella nuova teoria invece la nullità della funzione in tutti i punti dello spazio corrisponde alla mancanza dello stato. In sostanza, la struttura logica che ne è coinvolta, non è più quella ordinaria, booleana, due valori di verità o SÌ o NO, o Volto di Donna o Vaso. Le due alternative sussistono a livello percettivo-cognitivo per poi transitare a livello decisionale e coscienziale verso una selezione delle due sussistenti alternative. Si delinea una struttura logica alternativa, una struttura del SÌ e del NO simultaneo, del Vaso e del Volto simultaneamente, cui segue poi una transizione dall’AND all’OR. Il contrasto con l’esperienza ordinaria consiste nel fatto che sia a livello mentale che nella nostra realtà materiale, alternative che sussistono simultaneamente (AND) non sono mai verificate né mai possono essere da noi osservate. Infatti, non vedo mai che in una stanza la lampadina è simultaneamente accesa e spenta così come non osservo mai per strada un semaforo che sia al tempo stesso rosso e verde.
Nella nuova teoria la sussistenza simultanea delle due alternative è la norma. Le alternative sussistono potenzialmente sino a quando non eseguo un’osservazione, come dire … un atto semantico che coscientemente induce una transizione tra alternative. Quando questo meccanismo di transizione agisce, il sistema in studio esegue appunto una transizione e una delle due alternative risulta alla mia coscienza e alla mia consapevolezza: il sistema transita dalla condizione potenziale in cui, per analogia, il semaforo è contemporaneamente verde e rosso alla nuova condizione, adesso booleana, in cui alla consapevolezza e alla coscienza del soggetto il semaforo risulta o verde o rosso. Si passa dalla condizione logica di AND alla condizione logica di OR. La presenza simultanea dell’AND rende selvaggia questa teoria perché mi è impossibile concepirla di fatto come entità esistente. Il principio di non contraddizione lo vieta e invece svolge un ruolo determinante nella struttura di base della nostra dinamica mentale. Gli stati mentali di un soggetto funzionano proprio in questo modo.
L’altro aspetto selvaggio della teoria è che il sistema in sé realizza una sovrapposizione degli stati alternativi potenzialmente e mediante un’indeterminazione che è intrinseca e irriducibile. Nella sovrapposizione rientrano delle ampiezze di probabilità così che la selezione finale risulterà intrinsecamente probabilistica e contestuale. Se al soggetto verrà chiesto di rispondere se alla sua coscienza risulti che si tratta di un vaso oppure di un volto di donna, egli selezionerà le due alternative probabilisticamente e la sua scelta dipenderà dal contesto in cui il quesito sarà posto.
Il lettore potrebbe osservare che non vede nulla di nuovo in quanto stiamo dicendo. Potrebbe ad esempio obiettarmi che la teoria classica dei modelli cognitivi ha introdotto da tempo il calcolo probabilistico ben riconoscendo che ogni atto decisionale implica la sussistenza di alternative e che è almeno dai tempi di Wittgenstein che queste cose ci sono note e ci è noto che il calcolo probabilistico è assolutamente necessario. Le cose non stanno purtroppo così. Anche rischiando di far inorridire chi è specialista in meccanica quantistica, cercherò un’analogia pur di tentare di essere più chiaro. Se ho di fronte un fenomeno molto complesso, per esempio verso in un bicchiere di acqua dei granuli molto piccoli di polvere di caffè e mi propongo di seguire il moto di ciascun granulo, dopo un po’ mi renderò conto della impossibilità di seguire il percorso di ogni granulo e mi resterà come unico strumento valido il calcolo statistico. Cercherò di caratterizzare questo sistema complesso con proprietà medie per avere almeno un quadro statistico-probabilistico di quello che in realtà avviene in quel bicchiere. Me la caverò in questo modo spegnendo le mie ambizioni descrittive dettagliate e riconoscendo che sono purtroppo in una condizione di ignoranza. Di fatto non posso arrivare a seguire il percorso di ciascun granulo e descrivo per come posso quel sistema. Questo é ragionare in termini classici.
Se ci trasferiamo nell’ambito della nuova teoria la situazione cambia radicalmente. Nulla preesisterà in forma ben determinata. Il soggetto valuterà, selezionerà e deciderà al momento, in base ad alternative che sono soltanto potenzialmente sussistenti e in dipendenza delle sue condizioni neurologiche, psicologiche e contingenti e nella decisione interverrà ovviamente una variabile cognitiva che sarà funzione del contesto emotivo-razionale, storico e di modalità di interazione del soggetto con l’ambiente esterno. Il sistema non avrà una struttura ben definita alla quale non riesco ad accedere per mia ignoranza, ma avrà soltanto alternative potenzialmente possibili ed intrinsecamente indeterminate.
L’indeterminismo di cui parliamo, relativamente allo stato mentale del soggetto, dovrà essere inteso in senso irriducibile e il momento decisionale sarà inteso in senso contestuale perché in quel momento il soggetto probabilisticamente selezionerà un’alternativa piuttosto che l’altra con una dinamica che dipenderà dalle specifiche condizioni generali di quel particolare momento. Siamo quindi su piani diversi e le conseguenze a livello di dinamica delle nostre entità mentali diventano enormi. Il concetto di potenzialità di cui abbiamo parlato non potrà in alcun modo essere confuso o trascurato o interpretato secondo canoni tradizionali.
Anche Aristotele parlava di potenzialità. Ma il terreno qui è diverso. Il granulo di caffè introdotto nel bicchiere, anche se da me non osservato, occuperà certamente una posizione ben definita quando immerso nel liquido.Potrà stare al fondo del bicchiere, in alto, da qualunque parte ma certamente in una ben definita posizione ad un determinato tempo. Il problema lì è che non riuscirò mai a seguire tutti i granuli contemporaneamente. Nella nuova teoria, anche a parlare di un singolo granulo, dovremo pensare, in un confronto basato, ripeto, su analogie molto grossolane, che sarà delocalizzato, cioè potenzialmente occuperà simultaneamente tutte le alternative posizionali possibili così che la situazione risulterà intrinsecamente ed irriducibilmente indeterminata, ci sarà soltanto un campo di probabilità che andrà a caratterizzare il fatto che, quando andrò ad osservarlo, compiendo quindi un atto di osservazione, di misura, ma sostanzialmente un atto semantico e cognitivo (Dove sta?), con una data probabilità lo troverò in alto, o in basso o a destra o a sinistra o in altra localizzazione ancora.
Questa è la dinamica delle nostre entità mentali in accordo con i risultati della quantum cognition. Ovviamente parliamo di dinamiche della nostra mente in cui potenzialità alternative sussistono. Intendo dire che lo stimolo posto al soggetto a livello percettivo e cognitivo dovrà essere ambiguo. Non accadrà mai che il soggetto utilizzi una variabile cognitiva e una sovrapposizione quantistica di stati se porremo il quesito se è nato a Roma o a Milano. In questo caso, la risposta del soggetto è in qualche modo prestabilita, predeterminata, e non avremo alcun processo percettivo o cognitivo che possa richiamare il principio di sovrapposizione. Il soggetto si limiterà a riferire fornendo un’informazione già precedentemente memorizzata. È altrettanto chiaro che in campo psicologico è assai difficile prevedere una condizione mentale del soggetto che sia priva di ambiguità se tralasciamo alcune situazioni decisionali del tutto scontate e che non rientrano infatti nell’ambito della decisone vera e propria. Chiedere al soggetto se sia nato a Roma o a Milano di fatto non comporta l’attivazione di una vera e propria funzione decisionale, almeno in condizioni cliniche di normalità.
L’obiezione che invece possiamo attenderci è la seguente: perché, se pure accettiamo che vi sia uno stato di indeterminazione che precede la scelta del soggetto (tra vaso e donna, nel caso della figura ambigua), dobbiamo poi con questo accettare una descrizione della realtà mentale (e fisica) che sovverte il nostro senso comune e stravolge l’ontologia implicita o esplicita oggi adottata dalla psicologia e dalle scienze ad essa affini? La dicotomia potenzialità vs. attualizzazione è essenziale per intendere bene il passo che stiamo compiendo. Uno spazio astratto in cui le entità mentali godono del principio di sovrapposizione non potrà mai appartenere alla nostra esperienza ordinaria. Contrasta con i principi su cui quest’ultima è fondata e l’avanzamento consiste nel fatto che pur in tali condizioni di totale astrattezza e di notevole distanza rispetto alla rappresentatività ordinaria della nostra esperienza di ogni giorno, essa può ancora essere rappresentata formalmente mediante un linguaggio che è il linguaggio formale della teoria. Inoltre, il fatto che la nostra dinamica mentale poggi sostanzialmente su transizioni potenzialità -> attualizzazione è un aspetto non soltanto assolutamente inedito e del tutto inatteso ma anche fortemente traumatico se pensiamo ad esempio che i nostri pattern neurologici e psicologici necessitano costantemente di riferimenti temporali e spaziali ben definiti. Scoprire che tutto ciò è proiezione di una strutturazione dinamica ben più complessa in cui lo stesso spazio non è più uno spazio ma un prespazio, in cui la localizzazione lascia il posto alla delocalizzazione e in cui la simultaneità del vero e falso prende il posto del tradizionale vero o falso che viviamo ogni giorno comporta di conseguenza uno scardinamento dell’ontologia classica.
È a noi del tutto chiaro quale sia l’importanza in psicologia come nelle neuroscienze di comprendere come si formano i concetti e come essi si combinino per determinare poi una qualsiasi sentenza. Sappiamo che parliamo di problemi fondamentali intorno ai quali ruotano non soltanto le scienze cognitive o la teoria dei modelli cognitivi. Ruota l’intero corpo delle neuroscienze e delle scienze della mente. Sappiamo che, rimanendo in un contesto strettamente classico, le teorie dei concetti sino ad oggi accettate sono quasi prevalentemente le teorie rappresentazionali. In questo contesto i concetti sono considerati entità che prendono la forma di rappresentazioni mentali fisse. Sono quindi strutture predeterminate. La nuova teoria ci dice esattamente il contrario e cioè che siamo in presenza di meccanismi di transizione potenzialità -> attualizzazione che impongono di continuo costruzione e ricostruzione attraverso l’interazione tra lo stato cognitivo e il contesto in cui esso si determina.
Sappiamo che, in accordo con la teoria classica dei concetti, esiste per ogni concetto un insieme di aspetti che in qualche modo lo definiscono. Se consideriamo la teoria dei prototipi, viene a mancare il concetto di insieme definente che lascia infatti il posto a quello di insieme di aspetti caratteristici che sono pesati in funzione del prototipo. Un nuovo item è categorizzato come istanza del concetto se è sufficiente simile al prototipo. La teoria classica stabilisce che la nostra dinamica mentale valuta la distanza che c’è tra il nuovo item e il prototipo e più il prototipo sarà rappresentativo del concetto nell’item in considerazione minore risulterà la distanza.
Sappiamo che questa è l’ontologia classica e sappiamo anche che in moltissimi casi queste teorie dei concetti hanno ottenuto validissimi risultati. L’analogia ovviamente è con l’empirismo. Un risultato empirico è un’osservazione sperimentale. In questo contesto, il termine può essere usato per qualificare metodi teorici che non usano o usano soltanto in parte leggi scientifiche. Spesso paghiamo uno scotto molto pesante perché il reale progredire della scienza richiede prima di tutto di fondare le elaborazioni teoriche su validi e accertati fondamenti scientifici, come nel caso della quantum cognition, il cui fondamento di base è la teoria e i suoi fondamenti sono ripetutamente controllati e accertati ad ogni possibile livello.
Noi tutti sappiamo che comprendere in maniera non empirica ma concretamente e in modo formalmente corretto come i concetti si combinino nella nostra mente è vitale per progredire significativamente in molti campi della scienza senza escludere ovviamente le neuroscienze, la linguistica e le scienze cognitive. Sappiamo anche che, nel caso delle teorie classiche dei concetti, una severa limitazione emerge proprio quando tentiamo di applicarle alla congiunzione dei concetti. È noto il cosiddetto GuppyEffect di Osherson e Smith del 1981. In buona sostanza, il punto è che noi umani usiamo la congiunzione e la disgiunzione di concetti in un modo tale da violare le regole della logica classica e ricercatori come Aerts e Gabora in primo luogo, ma anche chi scrive, hanno ben evidenziato che al contrario essi aderiscono perfettamente alla logica quantistica e ai fondamenti della meccanica quantistica che abbiamo prima evidenziato.
Se accettiamo i risultati soddisfacenti di cui parleremo e se essi poggiano su una nuova ontologia purtroppo lo sconvolgimento ne deriva automaticamente. L’approccio quantistico che abbiamo delineato evidenzia che il contesto influenza attivamente il significato di un concetto. Non ci sono strutture predeterminate e che determinano poi rigorosamente. Al contrario, il significato emerge nell’interazione concetto-contesto. Se il contesto è assente, nel senso che non c’è un’influenza contestuale sul concetto, abbiamo lo stato mentale della sovrapposizione potenziale e l’interazione del concetto con il contesto produrrà quella transizione dalla potenzialità all’attualizzazione con determinazione delle proprietà relative e la transizione in sé avrà natura strettamente probabilistica. Qui è il concetto di emergenza che, sebbene non da solo, svolge un ruolo chiave non perché esso sia nuovo di per sé nelle teorie della mente ma perché è nuovo e sconvolgente nei termini in cui la teoria ne identifica la sua struttura, la sua funzione e la sua dinamica.
Quali sono gli aspetti della teoria quantistica, a livello filosofico e formale, che vengono maggiormente utilizzati nella descrizione psicologica e neurologica dei processi mentali umani? Quali sono gli aspetti della psicologia del pensiero che oggi, secondo Lei, sono meglio spiegati dalla prospettiva della cognizione quantistica?
Nelle scienze della mente abbiamo già discipline che elaborano modelli razionali delle nostre decisioni. Di norma queste elaborazioni considerano che il soggetto che assume una decisone definisce il problema che gli è posto, comprende tutte le alternative possibili e le possibili conseguenze e seleziona la migliore azione decisionale valutando tutte le possibili opzioni a sua disposizione. Anche queste teorie assumono che il soggetto si affidi a valutazioni di tipo probabilistico. Tuttavia, come dicevo prima, esse sono costruite sulla base delle prescrizioni che caratterizzano la teoria classica delle probabilità. Sappiamo ad esempio che la teoria decisionale classica poggia sul principio della cosa certa (Sure-ThingPrinciple). Se il soggetto preferisce l’azione A rispetto alla B nel contesto (nello stato del mondo) X e preferisce A rispetto a B nel contesto complementare Non-X, allora il soggetto dovrebbe preferire A rispetto a B anche quando lo stato del mondo X gli è ignoto. Sappiamo che Tversky e Shafir sottoposero questo principio a verifica sperimentale nel 1992 e risultò chiaramente violato. E non è certamente questa l’unica circostanza in cui la formulazione classica della teoria dei modelli cognitivi risulta violata.
La teoria classica presenta diversi insuccessi sui quali non ci soffermiamo per brevità. Tuttavia, gli insuccessi non giustificano assolutamente che, venendo meno la teoria classica della probabilità, ci si debba avventurare adottando la teoria della probabilità che emerge dalla nuova teoria e che effettivamente risulta profondamente modificata nei contenuti concettuali e negli sviluppi formali rispetto a quella classica. Se per ipotesi, adottando la nuova teoria, dovessimo verificare che in alcuni esperimenti essa fornisce risultati migliori di quella classica, nemmeno in questo caso saremmo autorizzati ad avventurarci a ritenere che quindi la nuova teoria funziona meglio. Se procedessimo in questo modo, faremmo soltanto un uso strumentale dei nuovi metodi della nuova teoria e non avremmo stabilito alcun principio solido su cui basarci. Costruiremmo edifici fondati soltanto su un uso empirico del metodo e ciò rappresenterebbe un percorso al buio, privo di solidi riferimenti basati su fondamenti scientifici e concettuali strutturalmente ben fondati.
La mia posizione è che nello studio delle scienze della mente dobbiamo allontanarci sempre più dagli usi strumentali di metodi e da ricerche di carattere empirico. È necessario innanzitutto individuare fondamenti e principi di base e non percorsi metodologici. Popper sosteneva che la metodologia è la scienza dei nullatenenti e aveva ragione. Lo studio dei processi mentali richiede sforzi enormi, è reso ancora più difficile dalla presenza di grandi difficoltà che attualmente sono presenti ancor più di ieri e che sono dovuti in larga parte all’empiricità con la quale alcuni indirizzi di ricerca sono stati sviluppati negli ultimi decenni. Si pensi alle avanzatissime tecniche di imaging, cito soltanto la fMRI per brevità. Esse producono ogni giorno importantissime nuove conoscenze, non empiriche, sulla dinamica e sulla morfologia funzionale del nostro cervello. Basti pensare alle enormi conoscenze accumulate nella identificazione del ruolo delle aree funzionali e a livello regionale nella nostra dinamica neurologica e cerebrale. Questo è il dato neurologico da una parte. Dall’altra parte abbiamo anche una costante produzione scientifica a livello di studi strettamente collaterali. La speranza, dal punto di vista della ricerca, era ed è che questi due filoni, che attualmente purtroppo corrono separatamente come due binari paralleli, con il progredire degli studi e delle conoscenze, finiscano con il mettere in evidenza, finalmente, un’iniziale convergenza e in particolare nell’individuazione, almeno iniziale, di che cosa sia poi in definitiva un’entità della mente, la sua natura, la sua collocazione, la sua dinamica ab initio.
Purtroppo, oggi non accade nulla di tutto questo. Al contrario, le ricerche sembrano correre su due binari che incrementano progressivamente la loro distanza, portano ogni giorno a risultati tra loro più distanti e spesso in maggiore conflitto. Risulta sempre più evidente il gap fra le due attività così che diventa chiaro che ciò accade perché nel mezzo dei due filoni manca un corpo di conoscenze, diciamo meglio, manca un robusto modello scientifico, robusto nei suoi fondamenti, abile a coprire il gap. In breve, la mia impressione è che con l’empiricità e con gli usi strumentali di metodi e di tecniche non si vada da nessuna parte. Occorre formulare bene dei fondamenti scientifici validi e verificarne la applicabilità.
Secondo Lei, siamo di fronte ad un nuovo paradigma di ricerca (in senso kuhniano)?
È probabile che i risultati da me ottenuti indichino che una nuova strada è stata delineata e che sia meritevole di essere ulteriormente approfondita e sviluppata. Ho detto in precedenza che, in accordo con la nuova teoria e con i risultati da me ottenuti, lo stato mentale è rappresentato da una funzione di conoscenza. Entità selvaggia nella sua struttura perché prevede il principio di sovrapposizione degli stati mentali che non risponde più ad una logica strettamente booleana ma sostiene la potenziale, simultanea sovrapposizione degli stati mentali delle alternative che sussistono per il soggetto a livello percettivo e cognitivo in condizione di ambiguità, di dubbio, di forte conflitto, di intrinseca indeterminazione. Poi ho parlato di transizione. Lo stato potenziale di sovrapposizione degli stati mentali transita successivamente verso una selezione delle alternative possibili, recuperando la logica booleana tradizionale, e che la transizione è in sé intrinsecamente probabilistica e contestuale. A dare un primo sguardo, sembra evidente che l’applicazione di questi principi porti già di per sé all’esclusione del principio della cosa certa e al chiarimento di molte condizioni attualmente identificate come anomalie cognitive.
Ad esempio, se la funzione mentale iniziale del soggetto è |Stato Mentale Iniziale> uguale |Stato Mentale – Vaso> più |Stato Mentale – Volto di donna> e poi il soggetto selezionerà |Stato Mentale – Vaso>, se, nell’istante immediatamente successivo, chiederò al soggetto di prendere una nuova decisone relativa ad una nuova figura ambigua, mettiamo ad esempio quella della seguente figura …
… la sua funzione di conoscenza di partenza sarà |Stato Mentale – Vaso> che immediatamente determinerà una nuova sovrapposizione |sono due cerchi uguali> più |sono due cerchi disuguali> e la probabilità che quindi, nella transizione, il soggetto selezioni |sono due cerchi uguali> oppure |sono due cerchi disuguali> dipenderà dal fatto che inizialmente la sua funzione di conoscenza è |Stato Mentale – Vaso>. In altri termini, |Stato Mentale – Vaso> determinerà la nuova sovrapposizione /sono due cerchi uguali> più /sono due cerchi disuguali> e questa sovrapposizione determinerà poi la probabilità che il soggetto deciderà che i due cerchi sono uguali o sono disuguali. Se invece, inizialmente il soggetto si troverà nello stato mentale |Stato Mentale – Volto di donna>, questa condizione cognitiva determinerà sempre una nuova sovrapposizione /sono due cerchi uguali> più /sono due cerchi disuguali> ma le rispettive ampiezze di probabilità saranno differenti e quindi anche le corrispondenti probabilità che il soggetto selezioni poi alla fine che |sono due cerchi uguali> oppure |sono due cerchi disuguali>. Queste probabilità saranno ancora diverse se avessi chiesto al soggetto di esprimersi su cerchi uguali non uguali non mostrando la prima figura ambigua del vaso o volto di donna. In buona sostanza, si verificherà un’interferenza tra stati mentali che la nuova teoria potrà descrivere in dettaglio e verificare sperimentalmente.
Procediamo con ordine perché l’esperimento, pur nella sua semplicità, nasconde in realtà alcune insidie. Come si noterà, nel formularlo ho introdotto nuovamente il principio di sovrapposizione degli stati mentali. Poi ho parlato nuovamente di transizione potenzialità-attualizzazione e infine ho parlato di interferenza tra gli stati mentali che sono presenti nel soggetto quando l’input è rappresentato dalla figura ambigua vaso-donna e gli stati mentali che sono presenti invece quando è presentata la seconda figura ambigua e tra questa situazione sperimentale e quella in cui una sola figura ambigua è presentata.
Intendo accertare alcune cose e precisamente: esiste per davvero nella nostra mente, a livello percettivo-cognitivo-coscienziale, un’entità astratta che ho chiamato prima funzione di conoscenza e che sia rigorosamente rappresentabile come sovrapposizione di alternative possibili e che risponda rigorosamente ai requisiti della teoria che sto considerando? In questa teoria, per sovrapposizione degli stati alternativi non si intende una semplice somma, ma una sovrapposizione che deve contenere delle ampiezze di probabilità sussistenti in forma tale che ne deriveranno poi delle probabilità valutabili e confermabili sperimentalmente.
La funzione di conoscenza non è il semplice risultato di un calcoletto da eseguire alla scuola elementare. È piuttosto un’entità astratta che risponde a regole ben precise e complesse e quindi l’esperimento ha senso se potrò verificarne la sua reale esistenza nella nostra mente nel rispetto rigoroso delle regole imposte dalla teoria. Alla potenzialità che essa rappresenta seguirà un’attualizzazione (il soggetto deciderà o vaso o donna o cerchi uguali o cerchi disuguali). Anche questa transizione avverrà probabilisticamente e dovrà rispondere a ben precise richieste del calcolo delle probabilità. Se i processi mentali coinvolti nell’esperimento obbediranno rigorosamente alla teoria non potrò avere mai un risultato sperimentale che risponderà alle regole statistiche e probabilistiche classiche per il complesso delle ragioni prima elencate. Al contrario, queste probabilità dovranno fornire risultati sperimentali del tutto congruenti con i risultati che la teoria prevede.
In ultimo l’interferenza. Di certo, ogni lettore esperto della materia si attenderà un’interferenza degli stati mentali. Come potrebbe essere diversamente? Dovremmo annullare anni di conoscenza. Sembrerebbe dunque banale questo aspetto dell’esperimento. Non é così. L’interferenza quantistica è un fenomeno sostanzialmente differente dalla nozione classica di interferenza. La finalità dell’esperimento è quella di accertare se durante l’esperimento c’è interferenza quantistica. Pertanto, anche in questo caso, i risultati sperimentali ci diranno se essi concordano con quelli che la teoria prevede oppure se la teoria non ha alcun ruolo in questo esperimento e il dato sperimentale indica che abbiamo eseguito semplicemente un banale esperimento rispondente alle usuali regole del calcolo statistico e probabilistico classico.
Questo è l’esperimento. Basato non su presupposti empirici ma su precise richieste della teoria, esso sarà per noi un turning point nel senso che o riconoscerà il ruolo della teoria e a quel punto saremo indotti ad ammettere che l’ontologia è cambiata e che i principi della nostra mente rispondono a questa teoria oppure potremo definitivamente scartare l’ipotesi che questa teoria abbia un ruolo nella dinamica della mente.
Ho eseguito diversi esperimenti, affiancati dalla relativa base teorica, ripetutamente e in diverse condizioni di sperimentazione. I risultati hanno sempre confermato quanto era nei presupposti. Tutti hanno confermato il ruolo della nuova teoria. C’è di più. Sappiamo quanto fondamentale risulti in psicologia porre ad un soggetto uno stimolo percettivo intrinsecamente ambiguo o sottoporlo al medesimo stimolo ma chiedergli anche se cognitivamente lui poi selezionerebbe una o l’altra delle due alternative. Conseguentemente, sperimentare se lo stato mentale del soggetto sia in grado di produrre interferenza quando nella fase sperimentale faremo apparire una figura ambigua senza porre alcuna domanda e poi una seconda figura ambigua chiedendo questa volta al soggetto di selezionare una delle due alternative possibili sarà ancora di grande importanza perché il risultato che la semplice osservazione della prima figura ambigua andrà ad interferire con la scelta successiva del soggetto indicherà che la nostra coscienza, anche essa, permane in uno stato di sovrapposizione quantistica, indotto dal primo stimolo ambiguo, sino alla presentazione della seconda figura ambigua. E ciò potrà suggerirci che la nostra coscienza risponde ai principi della nuova teoria. E non sarà certamente un risultato da poco. E questo è quanto è stato verificato.
Un aspetto che non mi è del tutto chiaro è il seguente. Nei suoi lavori Lei scrive che attualmente il dualismo mente-corpo informa la spiegazione scientifica dell’elaborazione cognitiva. La materia, posta in uno spazio-tempo ben preciso, e ontologicamente indipendente dall’atto percettivo, verrebbe percepita o pensata dal cervello attraverso gli organi di senso. Questi registrerebbero la realtà trasformandola in rappresentazioni mentali, la natura ontologica delle quali, tuttavia, non è ben definita. Mi pare che nella sua proposta vi sia il tentativo di superare il dualismo attraverso l’adozione dei modelli e del formalismo della meccanica quantistica. Materia e mente coesisterebbero ancora prima della dinamica oggetto-percezione-rappresentazione, in uno spazio caratterizzato da una logica probabilistica quantistica. Può chiarire come avverrebbe questo superamento, e cosa si deve intendere con i concetti di probabilità e possibilità quando si discute di cognizione quantistica?
Vediamo se possiamo dire qualcosa di più sulle caratteristiche di questa entità astratta che abbiamo chiamato funzione di conoscenza. Sarò ridondante ma ricorderò ancora che abbiamo parlato di sovrapposizione degli stati mentali come potenzialità. La realtà esterna a noi è percepita dal nostro cervello mediante gli organi di senso. Essi trasmettono informazione dalla realtà esterna con l’aiuto di fattori fisici come le onde elettromagnetiche per i nostri occhi o altri fattori fisici per gli altri organi. I fattori fisici sono trasformati dagli organi di senso in attività neuronale chiamata transduzione sensoriale. La luce ad esempio entra nell’occhio come onda elettromagnetica, stimola i neuroni della retina che trasforma lo stimolo fisico in depolarizzazione dei neuroni e trasmettono l’informazione a specializzate regioni cerebrali. Analogamente, le onde sonore entrano nell’orecchio, stimolano i recettori e si ripete il medesimo meccanismo. Tutti gli organi sensoriali funzionano nello stesso modo.
Con l’informazione percepita dagli organi di senso, il cervello costruisce una rappresentazione mentale della realtà esterna. Tuttavia, se gli organi percettivi sono inattivati, ad esempio chiudendo gli occhi, non c’è più una interazione diretta tra realtà esterna e rappresentazione mentale nel cervello e l’osservazione della realtà esterna non è più possibile. In questo caso il cervello è tagliato fuori dalla realtà esterna e funziona soltanto con la sua memoria. Percezioni del passato sono registrate e possono essere richiamate. La distinzione tra percezione sensoriale attraverso il contatto diretto e le percezioni memorizzate nel passato è fondamentale dal momento che le pure percezioni bottom-updagli organi di senso rimangono invariate. L’intensità di un potente flash luminoso o di un rumore insopportabile reale non possono essere cambiati mentre la percezione di questi eventi a seguito della memorizzazione sì. Il soggetto può dimenticarli o richiamarli più tardi, il giorno dopo, può modificarli ad esempio in modo tale che non possano più indurre gli stessi sentimenti di paura o altra emozione spiacevole o gradevole.
Poiché le percezioni memorizzate nel passato possono essere cognitivamente modificate, esse consentono di essere riorganizzate nella rappresentazione della realtà esterna, organizzando o immaginando nuove situazioni che non corrispondono più alla realtà esterna precedentemente percepita. Parliamo quindi di funzioni mentali fondamentali per immaginare il futuro riorganizzando percezioni memorizzate nel passato in modo differente e proiettandole mentalmente nel futuro. Poiché il futuro nella nostra mente è intrinsecamente indeterminato, esso può essere immaginato soltanto come potenzialità. Qui é la radice di tutto il nostro discorso. Qui, se vogliamo, troviamo la spiegazione indiretta del perché la nostra mente risponde a questa teoria. Quella nozione di potenzialità prima introdotta trova qui la sua diretta esplicitazione. Pertanto, diverse possibilità (alternative) possono essere immaginate simultaneamente e con differenti modalità e quindi, in conclusione, ritroviamo alla perfezione la corrispondenza con la sovrapposizione mentale per la predizione di un futuro incerto che coincide con i fondamenti concettuali della nuova teoria. Ancora una volta sembra che ci muoviamo sulla base di principi ben fondati e di pertinenza con la scienza. Capiamo cosa intendiamo per simultanea sovrapposizione, intrinseca indeterminazione, probabilità. Riusciamo a trovare una giustificazione diretta per il loro ruolo a livello mentale.
Come si arriva a dimostrare empiricamente che il pensiero obbedisce alle leggi della meccanica quantistica? A quale livello della spiegazione scientifica ci riferiamo (cognitivo, neurologico, etc.)? Quali sono stati i suoi contributi teorici e sperimentali nell’ambito della cognizione quantistica? Una volta offertele prove sperimentali che il pensiero obbedisce alla logica quantistica, quali sono le implicazioni per la teoria psicologica, per la pratica, e per la visione dell’uomo propria del senso comune?
Tutto sembra girare intorno a questo strano oggetto, la funzione di conoscenza. Il punto è se possiamo misurarla! Possiamo verificare che essa effettivamente esiste a livello della nostra realtà mentale? Come ho già detto, la risposta dei nostri studi di base e sperimentali è positiva. Abbiamo introdotto risultati teorici in base ai quali, nel rispetto completo dei fondamenti della teoria, a partire dai dati sperimentali ottenuti somministrando ai soggetti due test in rapida successione siamo stati in grado di verificare tre punti sostanziali:
- Se esista nella mente del soggetto una funzione di conoscenza, cioè lo stato mentale iniziale. Parliamo di un’entità ovviamente astratta ma che può essere ricostruita a posteriori a partire dai dati sperimentali.
- Se tale ricostruita funzione di conoscenza risponda al regime della teoria classica, cioè una mistura, o se sia invece una funzione di sovrapposizione rispondente elettivamente ai requisiti della nuova teoria.
- Se l’interferenza che si realizza nel caso di due test somministrati al soggetto in rapida successione produca dati sperimentali che rispondono alle regole del calcolo probabilistico della nuova teoria o al caso bayesiano classico.
Tutti gli esperimenti condotti hanno confermato i tre punti menzionati. In particolare, abbiamo identificato che non siamo in presenza di una mistura ma di una pura sovrapposizione degli stati. Sono convinto che possiamo quindi formulare una prima conclusione: gli stati mentali del soggetto rispondono in maniera soddisfacente ai requisiti di base della nuova teoria. Detto in termini diversi, la teoria quantistica ha un ruolo centrale nelle formulazioni e nell’elaborazione della dinamica delle nostre variabili a livello percettivo e cognitivo e della nostra coscienza.
Accanto all’elaborazione teorica, abbiamo quindi realizzato uno spettro piuttosto ampio di esperimenti, eseguendoli con l’uso di figure ambigue, utilizzando l’effetto Stroop che come è noto induce un conflitto semantico, eseguendo esperimenti di priming, utilizzando anomalie cognitive ben note, come la fallacia della congiunzione, eseguendo esperimenti su gruppi di soggetti e sul soggetto singolo, abbiamo esaminato situazioni di conflitto emotivo-cognitivo, in breve, nel limite del possibile, abbiamo dato una conferma iniziale ma sufficientemente articolata della elaborazione teorica che abbiamo formulato. La mia conclusione è che, di fronte ad una formulazione teorica ben articolata avente come controparte una costante verifica sperimentale, non è più lecito presentare gli studi sullaquantum cognition come avventurose o empiriche applicazioni del calcolo probabilistico in ambito cognitivo, perché la sperimentazione indica che il calcolo quantistico fornisce risultati migliori di quello legato ai modelli classici.
Occorre sostenere che i risultati migliori si ottengono perché i fondamenti concettuali e scientifici di questa teoria sono ritrovati e confermati come aventi un ruolo diretto e fondamentale nella nostra dinamica cognitiva e nella nostra coscienza. Siamo certamente agli inizi ma tutto sembra indicare che per la prima volta nello studio della mente abbiamo un solido riferimento scientifico al quale attribuire appropriata significatività. Non possiamo utilizzare il metodo della nuova teoria. Dobbiamo dire che le entità della mente sembrano funzionare in base ai principi di questa teoria. Abbiamo ottenuto conferme anche a livello neurologico.
Di recente abbiamo pubblicato uno studio in cui per la prima volta presentiamo una spiegazione a livello neurologico dello stimolo in condizioni di ambiguità o di incertezza percettiva. Invito i lettori a studiare il lavoro originario. Abbiamo persino indicato le aree cerebrali che sono coinvolte e precisamente la V1 (stryatecortex), la V2-4 (V2secondaryvisual/pre-striate cortex, V3ventral-dorsalcomplex e V4 extra-striate visualcortex/prelunategyrus), la A20 (Inferiortemporal, Fusiform and Parahippocampalgyri). Sulla base degli studi della letteratura e dei nostri studi risulta cheV1 realizza una sovrapposizione di stati in relazione allo stimolo percettivo con due stati che in sostanza portano ad identificare cosa è e dove è in relazione all’oggetto posto alla percezione (tecnicamente l’arrivo dello stimolo da parte dell’oggetto induce una funzione di conoscenza data dalla sovrapposizione di due stati /what is it?> e /where is it?>). V2-V4 si comportano come focusing mirrors che in sostanza caratterizzano nel dettaglio gli aspetti dell’oggetto percepito (definizione ottimale dei contorni, colore etc.) e infine la A20 si comporta come uno splitter che ricombina e contestualizza le informazioni ricevute inducendo la transizione attualizzata finale. Tutta l’elaborazione poggia ancora una volta sullo straordinario fenomeno della interferenza quantistica.
Quali sono, secondo Lei, le prospettive future più significative della cognizione quantistica? Quali sono le sue speranze per il tentativo di unire fisica e psicologia?
La teoria dei quanti fu introdotta da Planck e da Einstein agli inizi del Novecento e raggiunse il massimo della sua elaborazione intorno al 1927 ad opera di alcuni padri fondatori tra i quali cito per brevità soltanto Bohr ed Heisenberg. Il problema all’epoca era di costruire una teoria atomica, valida cioè a livello microfisico. Pertanto è del tutto lecito domandarsi come mai una teoria, nata sostanzialmente per spiegare i fenomeni a livello atomico, risulti oggi ai nostri studi una costruzione teorica i cui fondamenti risultano avere invece un ruolo diretto a livello dei nostri processi mentali. Cosa un atomo può avere a che fare con la nostra mente!
La risposta non sta nella fisica ma nella struttura della nostra realtà. Finché usavamo la fisica classica, sbagliando del tutto, ci affidavamo ad un modello di realtà afflitto da realismo ingenuo, un modello di realtà che non fa dipendere la realtà esterna dalla sua osservazione e rifiuta le sospensioni di giudizio. Avevamo la realtà fisica da una parte e le entità mentali collocate altrove, in uno spazio astratto e per noi di difficile collocazione. Quindi non sbaglio affatto quando affermo che la meccanica quantistica è una teoria selvaggia. Essa cambia del tutto questo modello di realtà.
Se dobbiamo studiare un qualsiasi sistema in laboratorio selezioniamo qualche variabile da misurare e con l’aiuto della strumentazione appropriata procediamo alla sua misura. In sostanza, scegliamo una osservabile di questo sistema. Il punto centrale della nuova teoria è che ogni osservabile che caratterizza un dato sistema è espressa in questa teoria come combinazione dei valori che questa variabile può probabilisticamente assumere nel corso della misura moltiplicata per un operatore logico, uno statement logico, che caratterizza il valore di verità di ciascun valore che quella variabile può assumere a seguito della misura. In termini diversi, la teoria quantistica ha questo aspetto peculiare, associa (non per arbitrio ma come dato imprescindibile) alla proprietà ‘fisica’, osservabile del sistema, un’entità che è rappresentativa di una logica, di un significato e che ovviamente implica un linguaggio e la necessità di un aspetto descrittivo.
La teoria prevede che la realtà nel suo complesso sia sostanzialmente differente da quello che approssimativamente la fisica classica ci rappresentava. Delinea una realtà in cui a priori gli aspetti logici, di significato, semantici, descrittivi sono fusi ab initio con le proprietà del sistema che andiamo ad osservare e misurare. Cognizione e materia in definitiva sono strettamente connessi ab initio. Questo purtroppo è uno schema di realtà che risulta estraneo alla nostra esperienza ordinaria. Di qui l’aspetto selvaggio della teoria. Un elettrone ha uno spin. Lo spin per analogia richiama la rotazione di questa particella intorno al proprio asse. Risponde alle regole della meccanica quantistica e, primo fra tutti, al principio di sovrapposizione. In relazione ad una prescelta proiezione questa particella ha quindi un asse rivolto verso l’alto e uno rivolto verso il basso. Ha soltanto questi due possibili stati. In accordo con il principio di sovrapposizione le due alternative coesistono simultaneamente a livello potenziale. Per la nostra esperienza ordinaria, considerare questa entità materiale che, in assenza di una nostra osservazione, ha simultaneamente lo stato con l’asse rivolto verso l’alto e verso il basso è complesso. Ma è la nostra realtà. E probabilmente, a ben pensarci, dovremmo stupirci se così non fosse. È una realtà quindi che non perde niente. Una realtà che non sceglie ma mantiene tutte le informazioni unsplitted in un unico bit. Ha senso tutto questo? Certamente sì. Le coesistenti alternative sono necessarie alla sua dinamica interna.
Pe noi, ciò che non è assolutamente possibile è non scegliere. Ma se ben riflettiamo, possiamo concludere che nella nostra esperienza ordinaria in definitiva ogni scelta è una perdita. È la perdita di ciò che non abbiamo potuto scegliere. Nelle sua dinamica interna generale invece, la realtà è strutturata a vari livelli di crescente complessità e il mantenimento di tali livelli di complessità è probabilmente raggiunto grazie alla possibilità di trattenere simultaneamente tutte le alternative possibili e l’informazione relativa non in forma consequenziale come noi facciamo con i nostri computer tradizionali ma in modo tale che le diverse sussistenti alternative siano al tempo stesso disponibili alla sua dinamica. Di certo la nostra esperienza ordinaria non potrebbe mai funzionare se a livello mentale operassimo soltanto per sovrapposizione di alternative. Non sapremmo mai regolare il traffico di una strada se il semaforo fosse rosso e verde simultaneamente. Ciò dimostra soltanto che la nostra logica booleana è semplicemente una proiezione necessaria di un precursore generalizzato in cui entrambe le alternative, sì e no, vero e falso, coesistono potenzialmente. In buona sostanza, ogni quantità fisica deriva il suo significato finale dai bit di informazione, cioè da indicazioni binarie sì o no.
Ci sono quindi due aspetti tra loro legati. La simultanea potenziale esistenza delle alternative e la sua proiezione attualizzata. E se le alternative coesistono, esse sono poi legate imprescindibilmente al processo di attualizzazione del soggetto cosciente (processo di attualizzazione che comunque è rappresentato sempre da un atto semantico intrinseco ad ogni misura e osservazione). Anche la misura della nostra temperatura mediante un termometro sotto l’ascella rappresenta un atto semantico legato ad una logica binaria sì o no. Pertanto, diventa importante che, sussistendo più alternative, ad ognuna delle alternative e del valore possibile della osservabile sia funzionalmente legato il suo valore di verità in relazione al valore che può assumere e quindi il valore di verità diventa esso stesso una variabile che viaggia insieme al valore che la osservabile può assumere in una fusione di aspetti logici, di significato, descrittivi e di linguaggio senza i quali nel soggetto cosciente non potrebbe mai essere indotta conoscenza alcuna o informazione a seguito della osservazione e della misura. Di qui l’aspetto peculiare della teoria di fondere ab initio la osservabile da misurare con la probabilità del valore assunto e con il contenuto di verità da associare a ciascun valore che probabilisticamente quella osservabile può assumere.
Esistono quindi livelli di realtà in cui perdiamo la possibilità di esprimere incondizionatamente il contenuto di verità. Esso dipende dalla descrizione che operiamo. Più descrizioni sono relativamente possibili e l’oggetto in sé non può più essere ammesso indipendentemente dalla descrizione e dalla cognizione che ne abbiamo. Nell’elettrone queste due alternative coesistono come coesistono le due alternative ‘vaso’ e ‘volto di donna’. Ora attrezziamoci sperimentalmente, andiamo a verificare se in una data condizione sperimentale il suo spin sia rivolto verso l’alto o verso il basso. Otterremo uno dei due risultati possibili e accerteremo anche che i due possibili risultati si presenteranno probabilisticamente. Avremo soltanto una proiezione nell’attuale della più generale condizione potenziale. L’informazione, l’aspetto semantico, il significato, il linguaggio non sono soltanto strumenti con i quali noi impariamo circa il mondo, sono ciò che fa il mondo.
D’accordo con Bohr, ciò non implicala negazione dell’esistenza della realtà fisica. La nostra posizione riconosce soltanto che è sempre necessario un linguaggio come strumento che l’essere umano ha tra le mani per analizzare l’esperienza. Il linguaggio, nella nostra prospettiva, è strutturato a priori nello schema del reale, e non è una semplice traduzione del pensiero in parole, perché pensare è operare con segni, per dirla con Wittgenstein. La meccanica quantistica, così come risulta dai nostri studi, rivela quindi che la struttura della realtà è un Dio Giano bifronte che da un lato guarda alla realtà fisica (elettroni, atomi, molecole, strutture biologiche e così via) e dall’altro lato alle entità mentali, ma non separatamente, piuttosto fondendoli ab initio nella medesima struttura retta dal concetto di informazione. La mia opinione è che le scienze della mente possano avanzare di molto se cominciamo a studiare meglio questo modello che esclude di fatto separazioni artificiose e anzi, per la prima volta nella storia della scienza, conosce i principi scientifici e le regole della teoria dei quanti su cui poggiare e analizzare tale fusione.
Intervista realizzata da Francesco Margoni
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