Scopri Intelligence & Interview di Scuola Filosofica!
Iscriviti alla Newsletter!
Consigliamo in SF – I paradossi dalla A alla Z di Michael Clark
Se “Credo che p” e “rispetto tutti coloro che non la pensano come me”, allora o ignoro ciò che credono gli altri oppure non li rispetto. Se rispettassi le credenze degli altri, allora dovrei crederci ma io non credo alle credenze degli altri. Se ignoro le credenze degli altri allora non le rispetto perché non posso rispettare ciò che ignoro.
Il paradosso diventa chiaro non appena si espliciti il contenuto implicito di “tutti coloro che non la pensano come me”. Esso significa “l’insieme dei soggetti che non credono che p”. Ciò non equivale necessariamente a dire “l’insieme dei soggetti che credono non-p” perché posso semplicemente non avere la credenza intorno a p senza ritenerla falsa. Bisogna sempre tener distinti il livello del linguaggio fattuale e quello di credenza. Dire “Io credo che p” non è vera se è vera p, ma solo se io credo a quella determinata cosa.
Possiamo riscrivere la prima parte del problema così: “Credo che p” e rispetto “l’insieme di tutti i soggetti che non credono p”. Si può ancora procedere nell’analisi: se le credenze hanno un valore intenzionale, e ciò è vero perché credere o non credere implica una rilevanza degli stati mentali non-rappresentazionali del soggetto ché si riferiscono a qualcosa di ulteriore che la sola percezione del mondo, allora possiamo anche dire che “l’insieme di tutti i soggetti che non credono p” implica che “l’insieme di tutti i soggetti che non credono p hanno intenzioni diverse da chi crede che p”.
Riscriviamo ancora il problema: “Credo che p” e rispetto “l’insieme di tutti i soggetti che non credono p e che hanno intenzioni diverse da chi crede che p”. A questo punto il soggetto che asserisce “Credo che p” è in netta contrapposizione con coloro che si impegnano a dire “Io non credo che p” sia sul piano della credenza che dell’intenzione, in altre parole: colui che sostiene credenze dalle mie ha un’idea del mondo diversa dalla mia, relativamente alla possibilità contenuta nella proposizione di credenza; in secondo luogo avrà anche intenzioni diverse dalle mie nel momento in cui una credenza implica, in qualche modo, anche una certa diversità nell’intenzione. In qualche misura, c’è una differenza anche nella disposizione all’azione tra chi dice “io credo che p” e “io non credo che p”.
Si può rispettare qualcuno che sostenga una credenza che non sia la nostra? Dipende dalla relazione di “rispetto”. Se con rispetto significa che non mi impegno a dimostrare la verità della mia credenza allora ciò è falso perché se ho una credenza, automaticamente devo ritenerla vera rispetto ad un’altra: se dico “Io credo che andrò al circolo di scacchi” è un’altra cosa rispetto a dire “Io non credo che andrò al circolo di scacchi”. Ovviamente, se dico “Io credo che andrò al circolo di scacchi” intendo proprio che quella frase è vera altrimenti starei dicendo il falso. Dunque con la parola “rispetto” non si sta intendendo sostenere che non credo alla verità di una mia determinata credenza. Dunque, se dico “Io credo che p” mi sto impegnando a sostenere che la possibilità espressa da p sia quella che penso vera. Ciò implica che non possa accettare l’incontrario: non posso contemporaneamente sostenere “io credo che p” e “io credo che q” dove “p e q” son due possibilità alternative né posso sottrarmi dal dire “io credo che p, ma non la ritengo vera”: sarebbe chiaramente un’assurdità.
Se con “rispetto” voglio intendere che non arriverò a odiare o far del male ad una persona che la pensa diversamente da me, allora sto mi sto impegnando su qualcosa che nulla ha a che vedere con la credenza giacché odiare e far del male non sono in alcun modo implicate dal credere o non credere in qualcosa. Però se con rispetto intendo che “non arriverò ad odiare” è una frase automaticamente falsa perché l’odio può sorgere indipendentemente nel soggetto anche se è armato di “buone intenzioni”. Ma si può realmente dire “Io credo che p” e “Io so che tu non-credi che p e accetto che tu credi che p”? Mi pare che anche qui sotto si annidi una sorta di contraddizione perché sto dicendo qualcosa di molto simile a: “è possibile p dunque Io credo che p” e “è possibile p dunque Tu non credi che p” dove entrambe le posizioni non possono essere vere e se io dico una certa cosa, credo a me. Posso accettare l’idea che p sia possibile ma non posso accettare l’idea che si creda a qualcosa di diverso da quel che penso io, se con “accettare” si intendere appunto “credere”.
Se con “rispetto” intendo che “aderisco” allora siamo di fronte ad una vera e propria contraddizione perché starei dicendo: “Io credo che p” e “Io non credo che p perché tu non credi che p e io rispetto ciò che credi”. Questo implica contraddizione evidente.
Da tutto ciò sembra seguire che l’accezione “Io credo che p” e “io rispetto tutti coloro che non credono che p” implichi che “rispetto” significhi “ignori”: dunque “io rispetto tutti coloro che non credono che p” voglia dire “io non contemplo tutti coloro che non credono che p”. In questo caso bisogna considerare la parola “contemplare” come “io so che ci sono ma faccio finta che non ci siano” giacché so che ci sono, considerato che lo assumo nella premessa: “Io rispetto tutti coloro che non credono a quel che credo io”. Anche qui c’è la puzza della contraddizione.
In fine, possiamo considerare la parola “ignorare” come la frase: “non considerare tutti coloro che non la pensano come me”. Ma allora come si può dire che “rispetto” le credenze degli altri se le sto ignorando? Sia che non le conosca, sia che le conosca, se dico che le ignoro allora non posso dire che le rispetto.
Dunque, da tutta questa analisi, tutto ciò che si può dire è: se dico “io credo che p” e “rispetto tutti coloro che non credono che p” mi impegno a non alzargli le mani, qualora ci presentassimo faccia a faccia. Il punto è che il problema stesso è già un’ammissione di superficialità e di contraddizione implicita, mascherata da “buone intenzioni”. La verità dell’analisi è, inoltre, suffragata da molti fatti: nella storia coloro che si sono impegnati a credere a qualcosa hanno generalmente o combattuto o ignorato coloro che non la pensavano come loro. Inoltre, il buon relativista del “tutte le credenze sono buone” si contraddice nella misura in cui esistono delle credenze alternative tra loro e, di conseguenza, non si può credere ad una contraddizione proprio perché essa è sempre e comunque falsa. L’unica posizione che consente di dire “tutte le credenze sono buone” è di colui che non si impegna a credere a nulla ma, ancora una volta, non si può dire che egli rispetti le credenze degli altri nel senso generico di “accettare”. In fine, neanche il razionalista può accettare sul piano delle convinzioni che si possa accettare l’idea che tout-court “tutte le credenze sono buone” giacché se esiste una realtà dei fatti, ci saranno delle possibilità automaticamente negate e altre verificabili, altre no. E ciò vale in una qualche misura anche sul piano puramente soggettivo. Per un’analisi di questo problema si veda pure il nostro articolo: “La verità della relatività”.
Questo problema ci è sorto leggendo il buon fumetto “Julia” della Bonelli. L’autore del fumetto è il signor Berardi al quale ringraziamo di aver formulato in modo esplicito il problema.
Be First to Comment