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Al pari di Isili la colonia di San Bartolomeo nasce come appendice del penitenziario di Cagliari. Carlo Alberto infatti, al suo undicesimo anno come re di Sardegna, nel 1842 fondò il nuovo stabilimento che avrebbe ospitato i lavoratori delle regie saline di Cagliari e di Carloforte.[1] Oltre che nelle saline, i detenuti venivano utilizzati a bordo di una nave addetta “spurgo del porto di Cagliari.”[2]
Il bagno penale di San Bartolomeo rimase tale fino a quando il ministero dell’Interno, lo sottrasse al ministero della Marina,[3] avocando a sé la diretta amministrazione e facendolo diventare una colonia agricola, senza per questo rinunciare all’impiego dei condannati nelle saline, attraverso ditte private che pagavano l’amministrazione penitenziaria per farsi ‘cedere’ dei detenuti per i lavori.
La colonia di San Bartolomeo si trovava a circa quattro chilometri dal centro di Cagliari: essa si estendeva su due colli di pietra calcarea e di un terreno che si dipanava tra il golfo di Cagliari ad ovest e la spiaggia cittadina ad est: il terreno fu ricoperto da una rigogliosa vegetazione di viti, ulivi e alberi da frutto, grazie a una diligente opera di bonifica dalla malaria e dalle terre paludose.
Pasquale Cugia descrive così lo stabilimento: “L’edificio è diviso in saloni e corridoi che, nella parte principale, convergono alla cappella. L’ospedale è vasto e diviso nelle due sezioni medica e chirurgica con farmacia ben provveduta. Lo stabilimento è tenuto con somma cura ed è uno dei più importanti d’Italia. Nel luglio 1891 gestiva 1300 condannati. Ognuno di costoro deve lavorare: un direttore intelligente, il colonnello Gallo, trent’anni orsono, li ha indirizzati all’agricoltura. Così questa pianura già incolta e cespugliosa, al presente è ben coltivata e divisa in bei campi e giardini fiancheggiati da larghe e comode strade. Nell’attigua collina si fecero piantagioni di olivi e di viti e furono anche stabilite cave di pietre e fornaci da calce. I condannati attendono anche ai lavori della prossima salina; come pure qualche volta vengono concessi per lavori specialmente agricoli dei privati”[4].
Nelle saline lavoravano ogni anno dai 700 agli 800[5] reclusi della colonia, sia per la fase della raccolta del sale, che del trasporto dello stesso. Le condizioni di vita dei lavoratori delle saline, addetti alla ‘attelatura’,[6] erano molto precarie: costretti a un lavoro che si svolgeva d’estate, dovevano immergere i piedi nel sale, con conseguenti scottature e ulcere da ferita. Per questo si segnalano nella colonia di San Bartolomeo moltissimi scioperi[7] e rimostranze da parte dei detenuti che rivendicavano una busta paga superiore alla lira giornaliera che gli si riconobbe fino alla chiusura della colonia.
Giornate di lavoro nelle saline dal 1907 al 1909 nel resoconto del cavalier Bova:[8]
Anno | Giornate di lavoro |
1907 | 122.605 |
1908 | 125.806 |
1909 | 143.320 |
Nel 1918 la progressiva adozione di macchinari elettrici nelle saline cagliaritane ridusse rapidamente la domanda di forza lavoro detenuta, fino ad annullarla: per questa ragione nel 1925 la colonia, i cui poderi malarici furono comunque bonificati, venne chiusa.
[1] Bova E., Le saline marittime della Sardegna e la raccolta del sale nell’anno 1901 con l’opera dei condannati, 1902, pag.127
[2] Giulianelli R., L’industria carceraria in Italia, Lavoro e produzione nelle prigioni da Giolitti a Mussolini, Franco Angeli, Milano, 2006.
[3] Il ministero della Marina era il ministero atto alla gestione delle saline, oltre che dei porti.
[4] Cugia P., Guida pratica di Cagliari, Cagliari, 1902.
[5] Doria A., La colonizzazione interna nelle sue applicazioni col mezzo delle colonie penali agricole, Tipografia delle Mantellate, Roma, 1912.
[6] L’attelatura consisteva nel rompere con grosse pale i blocchi di sale e creare dei grossi prismi, che poi venivano stivati in grossi barconi a vapore diretti nei porti di Sampierdarena, Genova, Salerno, Napoli, Livorno e Reggio Calabria. Questo lavoro viene descritto dal Doria (vedi nota 127) come “uno dei più faticosi e pesanti lavori, donde la necessità di destinarvi i reclusi forti e attivi.”
[7] Intesi non come lotta sindacale, inaugurata dagli scioperi nelle miniere di Buggerru qualche decennio più avanti, ma come vere e proprie lotte armate contro gli agenti di custodia.
[8] Bova E., Le saline marittime della Sardegna e la raccolta del sale nell’anno 1901 con l’opera dei condannati, 1902, pag.127.
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